Alessandro è "Don Giovanni" di Molière

regia di Alessandro Preziosi

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    ... e no, eh... non si fa! -_- E mai possibile che io rientri a casa quasi alle 8 dopo una giornata di lavoro praticamente non stop, apra il giornale locale su cui c'è una lunga intervista ad Alessandro e, venuta qui dopo cena con l'intenzione di segnalarla, la ritrovi già postata e commentata? :woot:
    Va be', battuta sul tempo... e io che pensavo di darvi un'esclusiva :unsure:
    Che posso aggiungere? Da conoscitrice di certe dinamiche del nostro teatro, mi ha colpito quell'accenno all'embargo del 2013 :rolleyes: ... ad ogni modo, è ancora e solo merito di Calenda se quest'anno approda da noi il Don Giovanni...
    E sabato ci sarò, tranquille ;)

    Edited by *dani - 13/1/2015, 21:18
     
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  2. gabri3
     
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    triscia ..è evidente che tu non connetti con lui....non c'è connessione..no..no....vuoi aiutino? ahaha :)
     
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  3. gabri3
     
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    ma noi le spieghiamo..tu no...è troppo bella l'intervista

    CITAZIONE (lusy66 @ 13/1/2015, 14:30) 
    Nuova bella intervista e bellissima notizia soprattutto per gli amanti del cinema ;)

    L'INTERVISTA: Alessandro Preziosi fa il Don Giovanni
    Di Arianna Boria


    In televisione l’abbiamo visto pochi giorni fa ne “La bella e la bestia”, dove non era un animalaccio irsuto - metamorfosi che, dato il soggetto, avrebbe richiesto effetti speciali di trucco - ma un principe col volto sfregiato nascosto da una maschera, al quale l’amore restituirà sembianze apollinee. In teatro, al Politeama Rossetti, lo rivedremo da domani, questa volta nei panni del “Don Giovanni” di Molière, di cui è regista e protagonista. Il prossimo impegno di Alessandro Preziosi sarà però sul grande schermo. Al termine di questa intervista, ieri mattina, l’attore incontrava un noto regista italiano, con cui ha già lavorato alcuni anni fa. «Confermo, per ora solo questo: tornerò al cinema». Intanto ci racconta il “suo” Don Giovanni, la sua attualità.
    Pochi giorni fa in tv, ora ricomincia la tournée teatrale. Questi ambiti diversi sono una costante della sua carriera...
    «Me l’ha insegnato Antonio Calenda: un buon attore deve avere la capacità di alternare. Quindi il teatro, il cinema d’autore che ho fatto con Corsicato, con Faenza, con i Taviani, e da parte mia ci ho aggiunto la televisione. Certo, il teatro lascia allo spettatore un metro di giudizio che non è solo quello dell’attore in sè, ma del contesto in cui si muove, delle scelte che fa. Però oggi quest’alternanza di ambiti è anche un’esigenza lavorativa, che permette di crescere e di rimanere allenati professionalmente. Ricominciare a girare dopo un lungo periodo di palcoscenico è difficile».
    Mai avuto paura di saltare dalla platea televisiva “pop” a quella più “alta” della prosa?
    «Mah, dovrebbero essere altri a dire se ha giovato... La popolarità serve bene per il teatro, meno per il cinema, dove essere troppo “usurato” può rappresentare un problema. Il teatro crea discontinuità rispetto alle attività propedeutiche alle produzioni cinematografiche, o ti fa assumere una recitazione troppo “teatrale”. Il fatto che io non sia presente in molti film, in realtà mi dice qualcosa... Comunque, è un rischio che ho messo in conto. Le mie sono scelte che si legano sempre a progetti, non faccio differenza tra un mezzo e l’altro. Rende la strada più impervia, ma mi piace così. Va anche detto però che la popolarità è necessaria per fare questo mestiere tutta la vita, anche Manfredi ha accettato la pubblicità di Lavazza e Gassman gli sceneggiati in tv. E ora in Italia la confusione è tale, che è bene armarsi di lavoro...»
    Che Don Giovanni è il suo?
    «Un Don Giovanni che non sopporta l’abuso mascherato dell’ipocrisia. In questo senso è specchio della società odierna: oggi si è ipocriti con la consapevolezza di esserlo. Questa nota dolente viene sostenuta con grande forza da Molière. Don Giovanni è la vittima sacrificale della società in cui vive, colui che ha il compito di mostrarci quello che è giusto e quello che è sbagliato, quello in cui credere e quello in cui non credere. Al mio Don Giovanni attribuisco una carica di speranza: è importante scegliere in modo autentico, non giocare sull’ambiguità del “posso ma non voglio” o “voglio ma non posso”. Sono sfumature tutte presenti nel monologo sull’ipocrisia, che è come una doccia fredda, una scarica elettrica: crea nello spettatore che ascolta il dubbio di essere così. Ecco, è il tema dell’autenticità il punto centrale di questo lavoro. Perchè drammaturgicamente Don Giovanni è monotematico, è un viaggio, mentre offre spunti di riflessione di grande attualità, che sottolineo con effetti visivi, con la sonorità».

    E come interpreta la seduzione compulsiva del personaggio?
    «È una seduzione del linguaggio, non della donna, quindi molto più sofisticata e meno elementare. Don Giovanni punisce l’interlocutore col suo essere diretto e cinico, gli apre il fianco e lo mette di fronte alle sue contraddizioni attraverso la persuasione della parola. Mette un eremita in crisi sul concetto di utilità, davanti al quale non c’è morale o religione che tenga. Un eremita, non una donna...».
    Anche Alessandro Preziosi per le riviste di gossip è un seduttore seriale. Si sente tale?
    «Ma come si permette? Scherzo... E poi se lo dicono le riviste di gossip per partito preso direi di no. Ho due figli, direi che sono un padre seriale. È vero che amo le sfide e riconosco la persuasione del linguaggio come un modo di sedurre l’altro. Seduzione a fin di bene, s’intende, e non solo di donne. George Bernard Shaw diceva che Don Giovanni è anacronistico perchè la società è cambiata, le donne non restano più incantate ma ti portano in tribunale. Non sono oggetti dell’uomo, anzi è il contrario. Don Giovanni è un “burlador burlado”, come in Tirso de Molina, un seduttore fregato. Tornando a me, la serialità che mi riconosco è piuttosto quella dei lavori in tv».
    Questo classico come può parlare alla generazione dei “social”?
    «Attraverso la componente estetica il classico può essere attualizzato. Non si tratta di stravolgere il testo, nè di adattarlo, nè di spostarlo nel tempo. Lavoriamo sulla musica, sulla scenografia, sul tono. La generazione dei social network è in perenne sfida a chi ha più visualizzazioni, più contatti, più amici. È la sfida fine a se stessa porta alla dannazione - oddio forse questa è una parola troppo grossa - ma porta certo all’annichilimento. Don Giovanni è come un teorema geometrico, infallibile: tutto quello che è esterno, a casa mi si rivolta contro. Quando pensiamo di essere più furbi degli altri, restiamo fregati».
    Prima ha nominato Calenda, che, possiamo dire, è stato il suo “scopritore”. Quindi anche con Trieste ha un legame particolare...
    «No, diciamolo pure, Antonio Calenda è stato proprio il mio scopritore. Mi ha insegnato una grande disciplina e l’amore per il lavoro che faccio. Trieste è una città che mi dà molta ispirazione. Meglio, mi dà una grande concentrazione di intenti. Adesso ci torno più rilassato. Quando sono venuto qui con “Cyrano”, nel 2013, era una specie di embargo Cuba-America, un evento eccezionale. Intendo dire che ci tornavo da “privato”, con la mia compagnia, e c’erano fattori esterni e interni problematici. Adesso mi hanno richiamato, sono più sereno».
    Pensa davvero che se lei non fosse così attraente avrebbe avuto successo in tv, al cinema, in teatro?
    «Innegabilmente sull’aspetto fisico c’è una grande attenzione. Poi bisognerebbe rivolgersi a uno psicanalista - degli altri, intendo - per sapere se il successo sarebbe arrivato lo stesso o no. Attenzione: bisogna saper sfruttare non tanto la bellezza, quanto le occasioni che ti dà. Io ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno aiutato a fare un percorso. Dopo “Elisa di Rivombrosa”, quanti avrebbero accettato di recitare “Re Lear” in teatro per duecento euro lordi al giorno? La bellezza conta, poi bisogna contare».
    Crede nei talent show?
    «Se sono vetrine per talenti sì, se sono vetrina per meteore no».
    Lei ha due figli, di diverse età. Che tipo di padre è?
    «Un padre che cambia con i figli. Credo non si debba mai fossilizzarsi in un modello di educazione prestampato. Se c’è un vantaggio nell’essere separati, è che si presta più attenzione ai cambiamenti e si fa tesoro dei propri errori. È necessario in un società così contraddittoria e così pericolosa».
     
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  4. tramonto 1
     
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    Grazie bella intervista senza se è senza ma...
    E soprattutto intelligente non banale e sincera. Dani aspettiamo il tuo resoconto.
     
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  5. triscia
     
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    bellissima gabri ...da non dormirci la notte ahahahah!
     
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  6. gabri3
     
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    vedo che adesso l'hai capita...bene! :) anche a te...dcBa5RJ
     
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    CITAZIONE (tramonto 1 @ 13/1/2015, 21:31) 
    Grazie bella intervista senza se è senza ma...
    E soprattutto intelligente non banale e sincera. Dani aspettiamo il tuo resoconto.

    Condivido... ho sempre pensato che il famoso fascino di Preziosi non consista tanto nell'aspetto fisico, quanto nel suo modo d'essere e la parola, mai banale, mai scontata, è la sua vera arma di seduzione... tanto per rimanere in tema con il Don Giovanni
    Domani c'è la prima, ma io lo vedrò appena sabato, penultima recita... una mia amica sarà a teatro domani, casomai vi faccio sapere qualcosa della serata per interposta persona :)
     
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    condivido anch'io con voi! ciò che ho sempre apprezzato di Alessandro è la sua capacità di non rimanere in superficie (nonostante le semplicistiche considerazioni di chi si ferma lì, alla superficie appunto, senza riuscire ad andare oltre i propri preconcetti), di scavare in profondità, di cercare le risposte ragionate, anche esponendo parte di sè e dei suoi pensieri, con il risultato, non scontato, di risultare autentico e sincero ...mai banale o superficiale.... ;)

    Grazie infinite Lusy per aver postato questa bella intervista..... :)
    Dani, se riesci ad avere le impressioni della tua amica in anteprima sarebbe carino....ma noi aspettiamo comunque le tue ;) :D
     
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    Buongiorno a tutti

    Bella intervista
    Anche non molto tempo fa ho letto in un'intervista in cui dice che gli piace incantare, sedurre con le belle parole (qualcosa di simile, in questo senso).
    Se lui é o non é un seduttore seriale, questo sa solo lui.
    Qualunque sia la verità, una cosa è certa, certe faccende non si possono confessare in pubblico ;) :)
     
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  10. marystone3
     
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    ...dani...sissi..... condivido con voi...il suo fascino maggiore deriva dal suo saper sedurre con la...parola....con lo sguardo.....e le sue interviste non sono mai banali nè scontate! :D

    ....dani...aspettiamo il tuo resoconto.... ;) ...Calenda.... di certo sarà seduto in prima fila! :)
     
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    Come la maggior parte di voi, provo sempre un gran piacere nel leggere le risposte di Alessandro. Intelligenza, cultura, profondità di analisi sono i suoi punti di forza. Non nego di aver riletto più volte alcuni passaggi prima di riuscire a coglierne appieno il messaggio. Mi è piaciuta, in particolare, la riflessione intorno al concetto di "burlador burlado", che rappresenta un'interessante chiave di lettura del Don Giovanni, ma che è altresì riferibile a molte situazioni della vita moderna. Lì per lì mi ha fatto pensare alla canzone "Master and servant" dei Depeche Mode, nella quale però i due ruoli sono descritti come distinti e difficilmente interscambiabili.
     
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    Ecco un'altra gradita intervista ^_^
    www.genius-online.it/2015/01/13/pre...onda-su-genius/

    Preziosi: la “seconda” su genius

    Di Serena Cappetti

    Già ospite della nostra rivista con il “dietro le quinte” del Don Giovanni, Alessandro Preziosi aveva già avuto modo di scambiare battute ed opinioni con il nostro direttore Francesco La Bella ed il comune amico Fabrizio Pertot: lo incontriamo per la seconda volta, parlando proprio di teatro, regia e filosofie.

    Alessandro, ti abbiamo visto negli ultimi anni a teatro prima in Amleto, poi in Cyrano: ora, il Don Giovanni. Ci spieghi la scelta di interpretare questi personaggi e testi teatrali? È una scelta legata a un ciclo ben preciso, quello del Seicento. I tre spettacoli sono in qualche modo un approfondimento editoriale per raccontare tramite queste tre figure teatrali le tematiche del tempo, segnato dalle grandi passioni, dagli eccessi, dalle innovazioni. La filosofia baconiana in Amleto, l’avvento dell’età moderna e la nascente letteratura scientifica con Cyrano, personaggio oltretutto realmente esistito, l’evoluzione costante rispetto all’estetica e al decoro popolare nel Don Giovanni.

    Quali sono la caratteristiche e gli aspetti peculiari della tua regia? In che modo ti distingui?
    La regia è basata su un voler raccontare il Don Giovanni partendo da tutti i Don Giovanni della storia, del teatro, della musica e della letteratura; due ore di spettacolo che arrivano fino al Don Giovanni del XXI secolo. Ciò che ho poi voluto far emergere è l’incredibile uso dialettico del linguaggio mirato alla persuasione utilizzato del protagonista, e dare ai personaggi, grazie all’aiuto di attori di grande valore come Nando Paone, le caratteristiche con cui poter ostacolare la coerenza del protagonista verso la sua dannazione. Ho voluto dare una speranza al Don Giovanni che va, solo, verso la morte. Dare al Don Giovanni uomo (il mito è infatti già condannato a morte) maggiore consistenza grazie al rapporto con Ravanello, ma anche alzando la sfida a tutti i personaggi, creando scontri, opposizioni, dicotomie che possano far emergere la riconversione di un uomo che vorrebbe riconvertirsi, ma che di fatto non può, avendo un destino ormai già segnato.

    Quali opportunità offre la possibilità di dirigere e al contempo interpretare uno spettacolo teatrale e quali sono le difficoltà?
    Sicuramente la possibilità di possedere lo spettacolo in maniera piena, assoluta, dove il regista riesce a definire l’interprete inquadrandolo in modo migliore, man mano che si sviluppa lo spettacolo. Si tratta di un viaggio meraviglioso, accompagnato da collaboratori grazie ai quali poter intervenire su ogni aspetto, dalla musica alla scenografia. Un percorso dove la difficoltà è data dalla ricerca quasi maniacale del movimento e del gesto, che mira quasi in maniera ossessiva alla generazione della costante curiosità dello spettatore.

    A tuo avviso, perché è importante riproporre i classici e come possono essere riportati al presente? Fedelmente rispetto alla loro stesura o con alcune contestualizzazioni riconducibili ai giorni nostri?
    I classici, nella loro interezza, rappresentano una società non ancora finita. Rendere moderno un testo classico non vuol dire cambiarlo ma creare delle interazioni, senza apportare degli sconvolgimenti che cambino l’essenza e la cultura del classico. Nello spettacolo, ad esempio, sono stati inseriti alcuni elementi della cultura moderna attraverso musiche, piuttosto che immagini e proiezioni in 3D, al fine di dare allo spettatore il senso di essere all’interno di una finta classicità, diversa. Tra gli obiettivi del regista, infatti, vi deve essere, a mio avviso, la volontà di far immergere lo spettatore nella forza delle emozioni grazie alle nuove e differenti possibilità date dalla tecnologia.

    Nel testo emerge spesso il termine cielo con un significato che rimanda a una dimensione letteraria, mitologico-classica. Nella lettura presentata nel tuo spettacolo, il soggetto giudicante e punitivo mantiene questa identità divina oppure rappresenta, forse, un’entità più sociale o personale?
    Il Don Giovanni vive nell’irrisione sociale e del cielo. Un nobile come lui non ammette altro giudice della sua vita che non sia la sua stessa coscienza. Del cielo, di Dio, non ha nessun rispetto perché si accorge che sotto il falso mantello della religione si accorre solo per tutelare e coprire la proprie malefatte. Per cui, l’unica apertura che si concede è quella di morire per incontrare Dio personalmente. Sintesi, questa, della denuncia che Molière fa dell’ipocrisia, o meglio, dell’abuso di ipocrisia, rifiutando una religiosità prettamente esteriore e conformista.

    Il teatro di Molière rispecchia gli atteggiamenti critici dell’epoca e analizza con ironia e vivacità comica le debolezze della natura umana. A tuo avviso, sono ancora questi gli scopi della comicità dei giorni nostri, oppure si è persa una certa profondità di pensiero che sta dietro la risata?
    La comicità è sempre il risultato dato dalla ricezione dello spettatore collegata al cinismo della società in cui viviamo. Lo spettatore dimostra una profonda sensibilità verso le provocazioni di Don Giovanni, sorridendo con piacere alla stravaganza del personaggio e al contempo all’ignoranza di Sganarello. La debolezza altrui è ciò che scatena sempre la comicità, che cambia di Paese in Paese e di città in città. La magia della scrittura di Molière è data dal far riflettere e commuovere, e dal riuscire a provocare il pianto dove prima era nata la risata.

    Edited by AlessandraVR - 14/1/2015, 18:17
     
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  13. patriziafi4
     
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    In bocca al lupo ad Alessandro x queste serate del D:Giovanni a trieste!
     
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    CITAZIONE (marystone3 @ 14/1/2015, 12:19)
    ...dani...sissi..... condivido con voi...il suo fascino maggiore deriva dal suo saper sedurre con la...parola....con lo sguardo.....e le sue interviste non sono mai banali nè scontate! :D

    ....dani...aspettiamo il tuo resoconto.... ;) ...Calenda.... di certo sarà seduto in prima fila! :)

    Ne dubito :rolleyes: ... considerata la guerra che gli è stata fatta a Trieste nell'ultimo periodo

    CITAZIONE (AlessandraVR @ 14/1/2015, 17:58)
    Ecco un'altra gradita intervista ^_^
    www.genius-online.it/2015/01/13/pre...onda-su-genius/

    Preziosi: la “seconda” su genius

    Di Serena Cappetti

    Già ospite della nostra rivista con il “dietro le quinte” del Don Giovanni, Alessandro Preziosi aveva già avuto modo di scambiare battute ed opinioni con il nostro direttore Francesco La Bella ed il comune amico Fabrizio Pertot: lo incontriamo per la seconda volta, parlando proprio di teatro, regia e filosofie.

    Alessandro, ti abbiamo visto negli ultimi anni a teatro prima in Amleto, poi in Cyrano: ora, il Don Giovanni. Ci spieghi la scelta di interpretare questi personaggi e testi teatrali? È una scelta legata a un ciclo ben preciso, quello del Seicento. I tre spettacoli sono in qualche modo un approfondimento editoriale per raccontare tramite queste tre figure teatrali le tematiche del tempo, segnato dalle grandi passioni, dagli eccessi, dalle innovazioni. La filosofia baconiana in Amleto, l’avvento dell’età moderna e la nascente letteratura scientifica con Cyrano, personaggio oltretutto realmente esistito, l’evoluzione costante rispetto all’estetica e al decoro popolare nel Don Giovanni.

    Quali sono la caratteristiche e gli aspetti peculiari della tua regia? In che modo ti distingui?
    La regia è basata su un voler raccontare il Don Giovanni partendo da tutti i Don Giovanni della storia, del teatro, della musica e della letteratura; due ore di spettacolo che arrivano fino al Don Giovanni del XXI secolo. Ciò che ho poi voluto far emergere è l’incredibile uso dialettico del linguaggio mirato alla persuasione utilizzato del protagonista, e dare ai personaggi, grazie all’aiuto di attori di grande valore come Nando Paone, le caratteristiche con cui poter ostacolare la coerenza del protagonista verso la sua dannazione. Ho voluto dare una speranza al Don Giovanni che va, solo, verso la morte. Dare al Don Giovanni uomo (il mito è infatti già condannato a morte) maggiore consistenza grazie al rapporto con Ravanello, ma anche alzando la sfida a tutti i personaggi, creando scontri, opposizioni, dicotomie che possano far emergere la riconversione di un uomo che vorrebbe riconvertirsi, ma che di fatto non può, avendo un destino ormai già segnato.

    Quali opportunità offre la possibilità di dirigere e al contempo interpretare uno spettacolo teatrale e quali sono le difficoltà?
    Sicuramente la possibilità di possedere lo spettacolo in maniera piena, assoluta, dove il regista riesce a definire l’interprete inquadrandolo in modo migliore, man mano che si sviluppa lo spettacolo. Si tratta di un viaggio meraviglioso, accompagnato da collaboratori grazie ai quali poter intervenire su ogni aspetto, dalla musica alla scenografia. Un percorso dove la difficoltà è data dalla ricerca quasi maniacale del movimento e del gesto, che mira quasi in maniera ossessiva alla generazione della costante curiosità dello spettatore.

    A tuo avviso, perché è importante riproporre i classici e come possono essere riportati al presente? Fedelmente rispetto alla loro stesura o con alcune contestualizzazioni riconducibili ai giorni nostri?
    I classici, nella loro interezza, rappresentano una società non ancora finita. Rendere moderno un testo classico non vuol dire cambiarlo ma creare delle interazioni, senza apportare degli sconvolgimenti che cambino l’essenza e la cultura del classico. Nello spettacolo, ad esempio, sono stati inseriti alcuni elementi della cultura moderna attraverso musiche, piuttosto che immagini e proiezioni in 3D, al fine di dare allo spettatore il senso di essere all’interno di una finta classicità, diversa. Tra gli obiettivi del regista, infatti, vi deve essere, a mio avviso, la volontà di far immergere lo spettatore nella forza delle emozioni grazie alle nuove e differenti possibilità date dalla tecnologia.

    Nel testo emerge spesso il termine cielo con un significato che rimanda a una dimensione letteraria, mitologico-classica. Nella lettura presentata nel tuo spettacolo, il soggetto giudicante e punitivo mantiene questa identità divina oppure rappresenta, forse, un’entità più sociale o personale?
    Il Don Giovanni vive nell’irrisione sociale e del cielo. Un nobile come lui non ammette altro giudice della sua vita che non sia la sua stessa coscienza. Del cielo, di Dio, non ha nessun rispetto perché si accorge che sotto il falso mantello della religione si accorre solo per tutelare e coprire la proprie malefatte. Per cui, l’unica apertura che si concede è quella di morire per incontrare Dio personalmente. Sintesi, questa, della denuncia che Molière fa dell’ipocrisia, o meglio, dell’abuso di ipocrisia, rifiutando una religiosità prettamente esteriore e conformista.

    Il teatro di Molière rispecchia gli atteggiamenti critici dell’epoca e analizza con ironia e vivacità comica le debolezze della natura umana. A tuo avviso, sono ancora questi gli scopi della comicità dei giorni nostri, oppure si è persa una certa profondità di pensiero che sta dietro la risata?
    La comicità è sempre il risultato dato dalla ricezione dello spettatore collegata al cinismo della società in cui viviamo. Lo spettatore dimostra una profonda sensibilità verso le provocazioni di Don Giovanni, sorridendo con piacere alla stravaganza del personaggio e al contempo all’ignoranza di Sganarello. La debolezza altrui è ciò che scatena sempre la comicità, che cambia di Paese in Paese e di città in città. La magia della scrittura di Molière è data dal far riflettere e commuovere, e dal riuscire a provocare il pianto dove prima era nata la risata.

    Grazie Alessandra per l'intervista, bella densa e tutta incentrata sulla grande passione di Alessandro: il teatro. E' sempre un piacere leggere riflessioni critiche fatte da un attore o regista, invece di chiacchiere sulla vita privata... l'analisi che ruota attorno al proprio lavoro e ai personaggi che si portano in scena è sempre più interessante dell'analisi del proprio ego, almeno per me.
     
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    grazie per l interviste e in bocca al lupo ad alessandro
     
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