La Legge dell'Amore

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  1. valedr
     
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    Ciao a tutte le stordite! Ho deciso di mettere anche qui le due storie che ho scritto, visto che mi trovo meglio su questo forum...

    Era un tranquillo pomeriggio di ottobre. L’avvocato Paolo De Nardi guardava fuori dalla finestra del suo lussuoso ufficio, perso nei suoi pensieri. Con una mano sorreggeva il mento, mentre con l’altra giocherellava con una matita. Di fronte a lui, dall’altra parte della strada, un giovane padre stava uscendo dalla scuola elementare tenendo per mano il suo bambino; correvano felici verso la macchina, forse li aspettava una partita di pallone, forse solo una bella merenda prima di fare i compiti insieme.
    Paolo li guardava con non poca invidia, magari fosse stato lui al posto di quell’uomo. Gli capitava spesso ultimamente, alla soglia dei 38 anni si chiedeva perché Dio non gli avesse ancora concesso il dono di avere un figlio, ma la risposta la sapeva benissimo: sua moglie Isabella, che aveva sposato cinque anni prima, non ne voleva sapere di diventare madre. Era una donna molto bella e appariscente, la tipica donna mediterranea, con lunghi capelli neri e forme prosperose: dicevano assomigliasse a Monica Bellucci. Era un’ex modella e indossatrice, ed era anche la figlia del suo principale, il famoso avvocato Serbelloni. Dopo il matrimonio aveva lasciato il lavoro e si era dedicata alla splendida villa che possedevano, alle feste della buona borghesia, alle vacanze in crociera o in beauty farm con le amiche; almeno così lei diceva, se poi in realtà erano degli amici lui non lo sapeva con certezza, e a questo punto nemmeno gli importava. Dopo qualche anno di matrimonio quella che all’inizio sembrava una grande passione si era trasformata in routine, per non dire noia. Ormai non parlavano quasi più. Non che sua moglie fosse mai stata particolarmente dotata dal punto di vista intellettuale, ma almeno lui sperava che sarebbe arrivato un figlio. Ma Isabella diceva ridendo che non voleva rovinarsi la linea, senza tentare nemmeno di capire quali erano i desideri più profondi di suo marito. La delusione della vita matrimoniale lo aveva portato a concentrarsi sempre più sul lavoro, sulla carriera, e in pochi anni era diventato uno dei cinque avvocati più importanti della città; ovviamente grazie anche all’influenza del suocero, che da subito aveva creduto in lui e nelle sue capacità. Certo, a volte Paolo usava metodi poco ortodossi, se voleva vincere una causa passava sopra a tutto e tutti, ma chi non era senza scrupoli nel loro campo?
    All’improvviso bussarono alla porta, Paolo fu destato dai suoi pensieri e con un colpo secco delle dita spezzò la matita in due. Era suo suocero.
    “Allora, come andiamo oggi? Ti stai annoiando, vero?”, esordì l’anziano avvocato.
    “In effetti, questo è un periodo fin troppo tranquillo”, rispose Paolo.
    “Beh, finirà presto! Abbiamo appena avuto l’incarico dall’industriale Vergani di rappresentarlo nella causa di divorzio dalla moglie!”, esultò l’avvocato Serbelloni.
    “Lo sapevo che avrebbe scelto noi!” , esclamò Paolo, improvvisamente eccitato.
    “Già, ma non cantare vittoria troppo presto; non sarà facile vincere, dopo che è stato beccato in flagrante con la sua giovane amante a quel party; le foto sono su tutti i giornali di gossip in questi giorni, e ha l’opinione pubblica contro”.
    “Immagino che la signora vorrà una bella fetta del suo patrimonio, oltre all’affidamento dei figli”.
    “Infatti, e ho appena saputo dai miei informatori che lei ha scelto lo studio Salvemini per la causa”.
    “Allora sarà una passeggiata”, rise Paolo, “i Salvemini non vincono più una causa da mesi!”.
    “Può darsi, ma dobbiamo stare attenti. Pare che stavolta non saranno i titolari in persona ad occuparsi del caso, ma un loro dipendente specializzato in diritto di famiglia, l’avvocato Bianchi”.
    “Mai sentito nominare”, rispose annoiato Paolo.
    “L’avvocato Anna Bianchi, è una ragazza, e anche piuttosto carina a quanto dicono. Ma la cosa più importante è che è molto, molto intelligente. Era la prima del suo corso di laurea e ha seguito un master prestigioso alla Sorbona; si sta ancora facendo le ossa, è vero, ma sarebbe meglio non sottovalutarla.”.
    Un lampo passò negli occhi azzurri dell’avvocato De Nardi. Finalmente un caso interessante!
    “Ah Paolo”, disse Serbelloni sulla soglia della porta, “Isabella ti ha detto della cena di stasera?”.
    “Quale cena?”, rispose Paolo cadendo dalle nuvole.
    “Verranno alcuni nostri cari amici da Milano; sarebbe meglio che ci fossi anche tu, sono persone piuttosto importanti, potrebbero tornarti utili per il lavoro”, rispose seccamente Serbelloni.
    “Non ne sapevo niente, e comunque pensavo di restare in ufficio fino a tardi per cominciare a studiare bene la causa. Magari faccio un salto dopo cena”.
    “Mi raccomando, non ti ammazzare di lavoro”, rispose ironico il suocero, che uscendo passò davanti al vero motivo delle lunghe serate in ufficio del genero: la bionda segretaria in minigonna e tacchi a spillo.

    Anna Bianchi entrò in casa carica di borse della spesa, pensando a cosa avrebbe preparato per cena. Doveva essere qualcosa di speciale, aveva appena avuto un incarico importante nello studio di avvocati dove lavorava, e voleva festeggiare con il suo fidanzato.
    Sul frigorifero trovò un biglietto di Stefano, che le annunciava che avrebbe fatto un po’ tardi quella sera, perché doveva finire un progetto per l’indomani.
    “Beh, poco male”, pensò la ragazza, “avrò più tempo per prepararmi”. Decise di farsi un bel bagno caldo prima di mettersi a cucinare.
    Immersa nella vasca da bagno si lasciò andare ai suoi pensieri. Era stato un giorno speciale per lei, per il suo lavoro. L’avvocato Salvemini le aveva finalmente affidato la sua prima causa importante, per il divorzio della signora Vergani, che aveva deciso di lasciare quel porco di suo marito. Erano mesi che se ne parlava in città, ed ora il momento era arrivato, e lei era stata scelta per rappresentare la moglie tradita e umiliata. Certo, Anna sapeva che non sarebbe stato facile, l’industriale era un uomo molto potente, ma lei pensava di avere la grinta e la preparazione necessaria per farcela. Soprattutto, per Anna era importante che i bambini della coppia non soffrissero, come spesso accade quando i genitori si separano.
    Non vedeva l’ora di comunicare la notizia dell’incarico ai suoi genitori, sarebbero stati così orgogliosi di lei. Veniva da una famiglia modesta che aveva fatto molti sacrifici per farla studiare, ora finalmente i loro sforzi sarebbero stati ripagati.
    Dopo il bagno ristoratore andò in cucina a preparare una bella cenetta. Accese la radio e cominciò a canticchiare felice.
    Le piaceva tanto cucinare, la rilassava e così metteva a frutto le lezioni di sua nonna. “Gli uomini si prendono per la gola!”, le diceva sempre, e aveva ragione. Stefano adorava i suoi piatti, e tutto ciò che la riguardava. Era proprio fortunata ad avere un ragazzo come lui. Si erano conosciuti al liceo ed erano sempre stati insieme, anche quando all’università avevano preso strade diverse, lei giurisprudenza e lui ingegneria. Solo quando era stata un anno a Parigi per il master avevano avuto una piccola crisi, perché lei si era presa una cotta per un ragazzo francese, ma poi era tornata in Italia dal suo Stefano. Non riusciva ad immaginarsi con nessun altro uomo al mondo, e ora facevano progetti di matrimonio. L’anno prossimo forse, chissà.
    “Annaaaa!”, eccolo, era lui. Stefano entrò in cucina con un enorme mazzo di fiori esclamando: “Come sta la mia avvocatessa preferita?”. Anna rise e lo baciò con tenerezza.
    Passarono una bella serata guardando un bel film e facendo progetti per il weekend.
    “Per festeggiare degnamente il tuo incarico potremmo andare al mare per un paio di giorni”, propose Stefano.
    “Ma non si era detto di risparmiare? Se vogliamo sposarci l’anno prossimo, è ora di cominciare a farlo”, rispose Anna.
    “Uhm, vabbè ma questa è un’occasione speciale, no?”, replicò Stefano.
    Così decisero per il mare, e quando domenica sera rientrarono in città, Anna pensò che era veramente la ragazza più fortunata del mondo.

     
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  2. Stellin@_18
     
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    Valeeee!
    Sono felicissima che hai deciso di mettere le tue storie anche qui :D :D
    Questa ormai è un cult
    ahahah :P :P
    Bella bella... adesso me la rileggo!!
     
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  3. valedr
     
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    Lunedì mattina, Paolo De Nardi camminava nervosamente su e giù per il corridoio del tribunale, parlando con il suo cliente. “Capisce avvocato? Quella donna vuole portarmi via i miei figli, la cosa a cui tengo di più al mondo!”, diceva l’industriale, “non glielo posso permettere, costi quel che costi!”.
    “Sì sì, la capisco, ma anche lei deve capire che non sarà facile ottenerne l’affidamento, i giudici notoriamente favoriscono le madri, lo sa”, rispose l’avvocato, e all’improvviso s’interruppe.
    Era appena entrata una giovane donna, che con passo elegante si avvicinava all’aula dove si sarebbe svolta la prima udienza. Poteva avere circa 27 anni, pensò Paolo, era snella e piuttosto alta, vestiva un sobrio tailleur grigio scuro con una camicetta bianca. I suoi capelli erano lunghi e lisci, di un coloro tra il biondo e il castano.
    La ragazza entrò nell’aula e Paolo e l’industriale la seguirono. La signora Vergani era già lì.
    “Piacere, Paolo De Nardi”, si presentò l’avvocato stringendo la mano alla ragazza. Anna arrossì alla sua stretta vigorosa e si presentò a sua volta: “Anna Bianchi, piacere”, mormorò timidamente.
    Ora che erano più vicini poteva osservarla meglio, e quello che vide lo lasciò quasi senza parole. La giovane donna aveva gli occhi di un verde chiaro, che gli ricordava l’acqua del mare più pulito e trasparente, ma la cosa stupefacente era il suo viso, dai lineamenti delicati e perfetti. Paolo pensò che sembrava uscita da un quadro del Botticelli.
    Anna, dal canto suo, rimase a guardarlo un po’ imbarazzata; sapeva chi era quell’uomo, il suo capo gliene aveva parlato come di un avvocato senza scrupoli, freddo e calcolatore, ma certo non gli aveva detto che era anche un uomo affascinante, dagli occhi azzurro ghiaccio e dal profilo nobile.
    L’udienza cominciò e come tutti si aspettavano i figli della coppia vennero affidati temporaneamente alla madre.
    Uscendo dall’aula Paolo rivolse la parola ad Anna: “Complimenti avvocato Bianchi, ha vinto la prima battaglia, ma si ricordi che la guerra è ancora lunga”, esclamò sfoderando il suo affascinante sorriso.
    “Lo so bene, non si preoccupi”, replicò freddamente Anna, e se andò dal tribunale.
    Paolo rimase a guardarla con l’aria ironica e pensò che, dopo tutto, questo caso non sarebbe stato così noioso come si sarebbe aspettato.

    Anna tornò in ufficio e scrisse la relazione per il suo capo sull’udienza appena terminata, poi insieme a lui studiò la strategia per il proseguimento della causa.
    “Allora, signorina, cosa mi dice dell’avvocato De Nardi? Non dev’essere stato facile affrontarlo, conoscendo i suoi metodi”, indagò l’avvocato Salvemini.
    “Non mi dato una cattiva impressione, ma forse era solo perché eravamo alla prima udienza e l’esito era abbastanza scontato; penso che affilerà le armi la prossima volta”, rispose Anna.
    “Già. Sa, signorina, deve stare molto attenta: ha fama di donnaiolo, più di una volta ha vinto le cause seducendo le avvocatesse sue avversarie, spesso rovinando loro la carriera. Ma so che lei è una persona seria e professionale”.
    “Sì, certo, stia tranquillo dottore”, rispose balbettando Anna, e tornò al suo lavoro.

    Anche Paolo De Nardi era tornato nel suo ufficio, dopo essersi sorbito le lamentele dell’industriale per come era finita l’udienza. Aveva fatto finto di ascoltarlo, ma in realtà non riusciva a togliersi dalla testa la bella avvocatessa che aveva appena conosciuto. Anche ora, alla sua scrivania, faceva fatica a concentrarsi sulle carte da studiare. Era davvero particolare quella ragazza, non ricordava di aver mai conosciuto una bellezza così naturale e sofisticata al tempo stesso. E, cosa incredibile, sembrava immune al suo fascino! Ricordava ancora la collega con cui due anni prima aveva avuto una storia, non c’era voluto molto a conquistarla. E ce n’erano state altre; il suo successo con le donne era cosa risaputa. Chissà quanto tempo ci sarebbe voluto per far capitolare anche la signorina Bianchi? Un sorriso beffardo gli illuminò il viso. Decise che per quel giorno ne aveva abbastanza di documenti e tribunali, e uscì a fare un giro sulla sua Mercedes.
     
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  4. valedr
     
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    Il giorno della seconda udienza, Paolo decise di passare all’attacco, in tutti i sensi. L’ex-moglie dell’industriale avanzò le sue richieste materiali, che vennero da lui rifiutate. De Nardi aveva deciso di far sembrare il patrimonio di famiglia molto meno ingente di quel che era in realtà, per evitare che il Vergani venisse depredato di tutti i suoi beni. Inoltre fecero figurare anche molti debiti inesistenti.
    Durante la pausa Anna andò al bar, e mentre sorseggiava il suo cappuccino pensando alla prossima mossa, fu raggiunta da Paolo. Tutti i tavolini erano occupati, per cui Paolo si sedette accanto a lei.
    “Posso?”, le chiese cortesemente. “Faccia pure”, rispose lei freddamente.
    “Le volevo fare i miei complimenti per come si è comportata finora, per essere alle prime armi è davvero brava!”, esclamò Paolo.
    Anna lo squadrò e replicò ironica: “Lei è un vero gentleman”.
    Paolo proseguì: “Mi stavo chiedendo, dove ha preso la sua laurea?”. Lei glielo disse e lui replicò: “Ah, è anche la mia università! Ha avuto anche lei il professor Deborri? Era il migliore secondo me. Tutto il contrario del professor Signorini, quello era un perfetto idiota!”, rise Paolo al ricordo.
    “Mai sentito nominare”, rispose Anna in tono annoiato.
    “Aveva un debole per i bei ragazzi, non so se mi spiego”, continuò Paolo divertito.
    “Ah, ecco come riusciva a passare gli esami: facendo il carino con l’insegnante!”, esclamò Anna sardonica.
    “Guardi che io studiavo tanto quanto lei per gli esami!”, rispose arrabbiato Paolo, e se ne tornò in aula. Anna scoppiò a ridere e finì il suo cappuccino.

    Un’altra udienza era finita, quel giorno pioveva a dirotto e Anna era senza macchina. La ragazza si stava dirigendo alla fermata dell’autobus, quando Paolo la bloccò e le offrì un passaggio. Anna rifiutò cortesemente, andavano in due parti opposte della città e poi lei si doveva fermare in ospedale a salutare un’amica, inventò lì sul momento.
    Paolo insistette con tono suadente e lei stava quasi per cedere, quando all’improvviso nel corridoio del tribunale si materializzò Stefano.
    “Amore!”, esclamò lei felice.
    “Con l’acqua che viene ho pensato che avresti avuto bisogno di un passaggio!”, disse il suo fidanzato dandole un bacio sulla guancia.
    Anna fece le presentazioni e Paolo uscì nel parcheggio.
    “Così quello è il suo fidanzato”, pensò tra sé e sé. Chissà perché non aveva mai pensato che potesse averne uno.
    “Così quello è il famoso avvocato”, disse Stefano.
    “Già. Allora andiamo?”, rispose Anna cercando di evitare l’argomento.
    “E’ per colpa sua che lavori fino a tardi e la sera sei sempre stanca”, si lamentò Stefano.
    “E’ il mio lavoro, lui non c’entra!”, rispose Anna seccata.
    “Lo sai, il mio capo lo conosce, è stato suo cliente; dice che è un playboy, pur essendo sposato con una donna bellissima, passa le serate nei locali con le modelle”, continuò Stefano, “io certi uomini non li capisco!”.
    Anna fece finta di niente e ripensò agli sguardi che le lanciava Paolo di continuo durante le udienze. Non sembravano quelli di un dongiovanni, piuttosto pareva quasi che volesse leggerle nel pensiero. Ma di sicuro si sbagliava.

    Anna tornò a casa molto stanca quella sera di febbraio, il lavoro la stava impegnando moltissimo, ma per fortuna stava anche dando i suoi frutti. Ancora un paio di mesi e la causa sarebbe finita, e c’erano ottime probabilità che finisse a favore della sua assistita.
    Si gettò sul divano distrutta e ripensò all’ultima udienza.
    L’avvocato De Nardi era così sicuro di sé, così arrogante che la stava facendo innervosire più del dovuto, doveva controllarsi di più. E poi, perché mai la invitava di continuo al bar durante le pause, o le offriva passaggi in macchina quando lei non l’aveva? Erano rivali, non l’aveva capito?!? Ci stava provando, voleva solo aggiungerla alla sua collezione. Strano, perché lei non era certo il suo tipo di donna, non andava in giro in minigonna, tacchi a spillo e non faceva mostra delle sue forme, anche perché non le aveva, sospirò.
    Il suo fidanzato non si era mai lamentato di questo, era un tesoro! Ma allora perché pensava sempre più spesso a De Nardi? Lei lo odiava quell’uomo! Certo che, se non fosse stato così freddo e senza scrupoli, sarebbe stato un tipo veramente affascinante. Quando posava il suo sguardo su di lei si sentiva rimescolare dentro, e come gli stavano bene quei completi blu che indossava di solito, con il panciotto e l’orologio antico. Le ricordava un attore che aveva visto una volta in una fiction. oddio, basta! Rimproverandosi Anna si ridestò dalla sue fantasticherie e si buttò sotto la doccia, con la ferma intenzione di cancellare il collega dalla sua mente, almeno fino alla prossima udienza.


    Le udienze per la causa Vergani continuavano tra i litigi dei due contendenti, che non riuscivano a mettersi d’accordo sull’entità del patrimonio che sarebbe andato all’ex-moglie.
    A questo punto l’industriale decise di passare alla maniere forti, e una mattina entrò furioso nell’ufficio dell’avvocato.
    “Questa storia deve finire al più presto! Mi sta rovinando gli affari quella strega!”, sbraitava Vergani.
    “La prego si calmi, così non otterremo niente. Mi stia a sentire, è chiaro che sarà molto difficile ottenere la custodia dei figli se non dimostriamo che sua moglie non è una brava madre. Ha qualche idea in proposito?”, disse De Nardi.
    “Le idee deve averle lei avvocato, io ho i soldi! E lei sa meglio di me che con un po’ di soldi alla persona giusta si ottiene tutto”, suggerì l’industriale.
    “Lei ha ragione. Vediamo un po’, cosa potrebbero dire i suoi domestici della loro ex-padrona? Potremmo chiamare loro a testimoniare; sono sicuro che con qualche “regalino” non avremmo problemi a fargli dire quello che vogliamo, no?”.
    “Finalmente ha trovato la strategia giusta, avvocato, cominciavo a dubitare delle sue capacità! Allora siamo intesi, le manderò qualcuno a colloquio prima possibile”, rispose arrogante l’industriale, e se ne andò.
    Paolo tirò un sospiro di sollievo. Prima finiva quella causa e meglio era, non gliene importava nulla di Vergani e dei suoi affari. Non sapeva neanche lui cosa gli stava succedendo, ma il lavoro non lo appassionava più come una volta. Durante le udienze era spesso distratto, confuso. Ascoltava come rapito la giovane avvocatessa Bianchi, che faceva egregiamente il suo lavoro senza ricorrere ai mezzucci che lui spesso utilizzava, quando si trovava con le spalle al muro. Ricordò che quando ancora studiava anche lui era come lei, aveva grandi ideali e lottava per la vera giustizia, ma poi il mondo reale lo aveva disilluso, e la smania di successo aveva avuto il sopravvento.
    Anna Bianchi invece credeva ancora negli ideali, aveva una purezza nel cuore e nell’anima, e poi era così intelligente, e bella, anzi, splendida. Spesso nelle pause delle udienze l’aveva invitata a bere un caffè, ma lei rifiutava sempre sdegnata. Possibile che le era così indifferente? A pensarci bene, più che indifferenza sembrava odio. Paolo sospirò, tenendosi la testa tra le mani. Non era degno di lei, ecco la verità.

    Una sera di marzo, Anna stava facendo la valigia mentre Stefano la osservava silenzioso appoggiato alla parete.
    “Quanti giorni hai detto che stai via?”, le chiese per l’ennesima volta.
    “Solo 4, quante volte te lo devo dire?”, rispose Anna.
    “E ci sarà anche il “tuo avvocato” al convegno?”
    “NON è il “mio avvocato”! E non ho la minima idea se ci sarà o meno. Senti Stefano, il dottor Salvemini ha deciso di mandarmi a queste conferenze perché crede in me e ritiene che possano essermi utili per il futuro, e io non ho intenzione di deluderlo, chiaro? Quindi smettila di comportarti come un bambino.”.
    Stefano la guardò di malumore. Ultimamente le cose non andavano più molto bene tra di loro, Anna era diventata sfuggente e anche lui era sempre più preso dal lavoro. Ormai non parlavano più di matrimonio, soprattutto da quando il giorno di San Valentino qualcuno aveva mandato a casa loro un enorme mazzo di rose bianche con una sola rossa in mezzo. Non c’era nessun biglietto, Stefano le aveva fatto il terzo grado ma lei non era stata in grado di dire chi poteva averle mandate. In realtà un’idea ce l’aveva, ma non poteva esserne sicura, e non poteva certo dirlo al suo fidanzato.
    Qualche giorno dopo ne aveva avuto la conferma, quando alla fine dell’udienza aveva affrontato l’avvocato De Nardi.
    Era lui il mittente.
    “Si può sapere come ha fatto ad avere il mio indirizzo?”, chiese Anna arrabbiata all’avvocato.
    “Ho i miei mezzi”, rispose con tono di sfida De Nardi.
    “Me l’immagino! Senta avvocato, mettiamo le cose in chiaro: lei non è il mio tipo, non abbiamo niente in comune e io sono già felicemente fidanzata, ha capito?”,disse tutto d’un fiato Anna.

    Paolo la guardò spalancando i suoi occhi azzurri: “Come fai a dire che non sono il tuo tipo? Non mi conosci neanche, tu conosci solo l’avvocato, non l’uomo”.
    “Beh, quello che ho sentito dire su di lei mi basta! E un uomo sposato che corteggia le altre donne per me è una persona indegna, oltre che inaffidabile”, replicò Anna.
    Paolo la prese per un braccio e disse con gli occhi che fiammeggiavano :“Tu non sai niente di me e del mio matrimonio! Se solo tu volessi conoscermi meglio, capiresti che…”.
    “Io non voglio capire niente! Mi lasci per favore!”, disse Anna liberandosi dalla sua stretta, e corse fuori dal tribunale. Paolo rimase a guardarla ferito, aveva una gran voglia di correrle dietro, di dirle che non faceva che pensare a lei. Ma restò immobile a chiedersi cosa avrebbe fatto quando la causa sarebbe finita e non l’avrebbe più vista.



    Anna era appena arrivata a Parigi per il convegno e stava salendo nella sua camera d’albergo. La porta dell’ascensore si aprì e si trovò davanti l’avvocato De Nardi! Per un lungo istante i due si guardarono stupefatti senza sapere cosa dire. Paolo fu il primo a riprendersi.
    “Anna, anche lei qui?”, le disse imbarazzato.
    “Già, incredibile vero?”, rispose Anna, “scommetto che non si aspettava di trovare una principiante come me ad un convegno così importante!”
    “N-o, non è per questo”, rispose Paolo sempre più imbarazzato.
    “Ora mi scusi, ma vorrei andare in camera mia a disfare la valigia”. Lui si fece da parte per farla passare, seguendola con lo sguardo.


    Quella sera, Anna scese in sala da pranzo per la cena. Le avevano assegnato un tavolo in compagnia di due avvocati amici dei Salvemini, così non si sarebbe sentita sola, le aveva detto il suo capo.
    Stava avendo una interessante conversazione con loro, quando in sala entrò l’avvocato De Nardi. Indossava un completo grigio fumo di Londra e una camicia bianca, con passo elegante si diresse ad un tavolo verso il fondo dove sedeva una bella donna dai capelli rossi. Tutte le signore in sala lo guardavano ammirate, ma lui sembrava non farci caso. Si sedette al tavolo e fece il baciamano alla signora che lo aspettava, l’avvocato Lucrezia Vannucci De Boer. Anna ne aveva sentito parlare, ma certo non poteva sapere che i due erano stati amanti in passato.
    Paolo cominciò a parlare del più e del meno con l’amica, guardandosi intorno, e finalmente la vide. Anna distolse lo sguardo e si impose di concentrarsi sui suoi compagni di tavolo.
    La cena proseguì, Anna cercava di fare finta di niente, ma ogni volta che “per sbaglio” guardava in direzione di Paolo, lui la stava fissando. Quell’uomo era un tormento! Perché non la lasciava in pace?!?
    Dopo la cena Anna si scusò con i suoi commensali e uscì sul terrazzo dell’hotel a prendere un po’ d’aria. La vista era bellissima, si vedeva tutta Parigi con il fiume, la Tour Eiffel in lontananza. Ripensò con nostalgia ai mesi che aveva passato lì quando studiava per il master, era stato un bel periodo. Si chiese che fine avesse fatto Jean Pierre, l’amico con cui aveva trascorso bei momenti e che era stato quasi causa di rottura tra lei e Stefano.
    Scacciò entrambi dalla mente e si irrigidì quando sul terrazzo comparvero Paolo e Lucrezia. I due sembravano molto intimi, lei lo abbracciava stretto e flirtava con lui. Anna si nascose dietro una colonna.
    “Pensa che fortuna, io e te soli in questa meravigliosa città per qualche giorno”, cinguettava la donna tentando di slacciargli un bottone della camicia.
    “Mi dispiace Lucrezia, credo sia meglio non rivangare il passato”, fece lui togliendosi la mano ingioiellata dal petto.
    “Non mi dire che sei diventato un marito fedele!”, esclamò ridendo lei.
    “E se anche fosse?”,replicò lui.
    “Ma fammi il piacere! Se tua moglie ti annoiava due anni fa, non vedo perché ora le cose dovrebbero essere cambiate”.
    “Forse non è grazie a lei che sono cambiate”, disse lui fissando le luci sul fiume.
    “Vuoi dire che sei innamorato di un’altra? TU???”, rispose incredula Lucrezia.
    “Potrebbe anche essere”, ammise lui imbarazzato.
    “E chi sarebbe la fortunata? La conosco?”, chiese curiosa lei.
    “No! E ti prego, non farmi altre domande”, concluse lui in tono imperioso.
    Anna aveva sentito abbastanza, rientrò in sala e se ne andò dritta in camera sua. Doveva telefonare a Stefano e ai suoi genitori, dopodiché andò a dormire, ma continuava a rigirarsi nel letto senza riuscire a prendere sonno. Gli occhi azzurri di Paolo la tormentavano, e anche il suo sorriso ironico, e il suo profilo importante, e le sue spalle larghe, e tutto il resto. Ad Anna sembrava di impazzire, cosa mai le aveva fatto quell’uomo? Desiderava essere abbracciata da lui, voleva i suoi baci. si lasciò andare alle sue fantasie e scivolò nel sonno.

    Il mattino dopo il convegno era in pieno svolgimento. Anna aveva dormito poco e male, ma cercava comunque di essere attenta e sveglia durante la conferenza. L’argomento la interessava molto, trattandosi della difesa dei minori nei casi di divorzio, e poteva tornarle molto utile nella causa su cui stava lavorando.
    Si guardò intorno, ma non c’era traccia dell’avvocato De Nardi.
    Forse aveva fatto tardi la sera prima con la sua Lucrezia, pensò sarcastica Anna.
    Dopo la conferenza andò in un caffè vicino per un pranzo leggero, non aveva molta fame. Poi decise di fare una passeggiata a Montmartre, dove sapeva che c’erano botteghe di antiquari e negozietti carini. Le era sempre piaciuta quella zona della città, era così romantica!
    Mentre camminava tra i vicoli, vide una piccola bottega di quadri e stampe antiche, non ricordava di averla vista la prima volta che era stata lì, ma erano passati tre anni da allora.
    Entrò incuriosita e cominciò ad osservare con attenzione gli oggetti esposti. Si spostò nel secondo locale; di fronte a lei un uomo alto girato di spalle stava ammirando un quadro. Anna lo riconobbe subito, sebbene fosse vestito in abiti casual e non “da avvocato” come al solito. Indossava jeans e un leggero maglioncino azzurro che faceva pendant con i suoi occhi, e sopra portava un giubbotto di pelle.
    “Bonjour Mademoiselle”, la apostrofò Paolo, “sembra proprio che il destino voglia farci incontrare spesso”.
    “Buongiorno avvocato, o forse dovrei dire buonasera, vista l’ora. Ha deciso di fare il turista invece di seguire le conferenze?”, rispose Anna ironicamente.
    Lui rise: “L’ho vista stamattina, sono arrivato tardi e mi sono seduto in fondo alla sala. Lei era così seria e concentrata in prima fila. Non capita spesso di trovare persone così interessate alle conferenze dei convegni, di solito ci si viene per divertirsi un po’.Qualche giorno di vacanza in un bel posto, e tutto spesato! Mi ricordo l’anno scorso a Barcellona, ci siamo proprio diverti…”. Paolo si bloccò vedendo lo sguardo di disapprovazione di Anna.
    Poi si schiarì la voce e lanciò una proposta: “Che ne dice di una tazza di tè? C’è un bel bistrot proprio qui dietro l’angolo”.
    “Che fa, ci riprova avvocato?”, rispose Anna sospettosa.
    “Avanti, non sono mica il lupo cattivo!”, disse Paolo con voce suadente.
    “E io non sono Cappuccetto Rosso!”, rispose Anna. “Questo lo so bene.”, concluse lui con il viso serio.
    Uscirono dalla bottega e dietro l’angolo trovarono il bistrot: era piccolo e ben arredato in legno, alle pareti stampe antiche ritraevano fanciulle del primo novecento.
    Dopo aver ordinato tè e pasticcini Paolo le chiese: “E’ la tua prima volta a Parigi Anna?”.
    “No, ci sono stata tre anni fa, per seguire un master alla Sorbona”, replicò con orgoglio la ragazza.
    “Davvero?” fece lui impressionato, “non ne avevo idea! Quindi parli bene il francese?”.
    “Non bene come vorrei, ma me la cavo”, replicò Anna.
    “E quando eri qui a Parigi come facevi con il tuo fidanzato? Riuscivate a vedervi?”, chiese curioso Paolo.
    “sì certo, ci si vedeva appena si poteva, ma per un breve periodo siamo stati un po’ in crisi. Avevo un amico qui ed ero un po’ confusa", rispose lei imbarazzata.
    “Capita quando si è giovani. Ma certe esperienze vanno vissute, altrimenti si rischia di legarsi alla persona sbagliata”, disse lui tristemente, come parlando a se stesso.
    Anna lo guardò intenerita, voleva chiedergli di più, ma non osava. Lui continuò: “E la tua famiglia? Immagino che saranno molto orgogliosi di te”.
    Lei gli raccontò che era figlia unica, i suoi genitori erano semplici impiegati e avevano fatto molti sacrifici per farla studiare. Anche Paolo parlò della sua famiglia, suo padre era morto quando lui aveva sei anni, aveva solo la madre e una sorella maggiore, che vivevano in provincia e che lui vedeva poche volte all’anno.
    “La famiglia è importante, non bisogna dimenticare le proprie origini”, disse Anna.
    “Hai ragione, ma quando me ne sono andato di casa per studiare, per forza di cose mi sono allontanato da loro”,rispose Paolo vergognandosi un po’; “e dopo il matrimonio le ho viste sempre meno. Loro non capivano il mondo di cui ero entrato a far parte, speravo che col tempo ci saremmo riavvicinati, magari sarebbero arrivati dei nipotini, invece…”, mormorò Paolo fissando la tazzina.
    “Vorresti avere dei figli?”, chiese Anna dolcemente.
    “Certo, ma mia…la donna che ho sposato non ha l’istinto materno.”, concluse Paolo con la voce che tremava.
    “Mi dispiace”, disse Anna, e istintivamente gli strinse la mano. Lui ricambiò la stretta, poi avvicinò la testa a quella della ragazza, ma lei si ritrasse.
    “ehm, forse è meglio se andiamo, si sta facendo tardi”, sussurrò l’avvocato.





    Anna era tornata in camera sua e si stava cambiando per la cena. Ripensò al pomeriggio passato in compagnia di Paolo, finalmente aveva conosciuto l’uomo che c’era dietro l’avvocato. Ora riusciva a vederlo sotto un’altra luce, il suo lato fragile era uscito fuori, con le sue insicurezze e delusioni che si portava dietro da anni, e che tentava di nascondere nel lavoro comportandosi in modo arrogante e freddo.
    “Ma che razza di donna è sua moglie?”, pensò Anna, “non si preoccupava di lui, dei suoi bisogni!”. Poi si bloccò,
    Si guardò allo specchio e si rese conto che anche lei, in quel momento, non si stava comportando bene con Stefano.
    Le vennero le lacrime agli occhi, e decise che quando sarebbe tornata a casa gli avrebbe parlato, non poteva continuare a quel modo, doveva essere onesta con lui. Stefano sembrava il marito ideale, era un ragazzo serio e affidabile, ma era pur sempre un ragazzo. E lei, invece, voleva un Uomo.

    La hall dell’albergo era piena di gente che aspettava di andare a cena. Paolo stava parlando con un collega, quando dallo scalone centrale vide scendere Anna Bianchi. Indossava una gonna longuette che metteva in risalto la sua figura elegante, una camicetta di chiffon a fiori e scarpe con i tacchi. Portava i capelli raccolti in uno chignon e dei piccoli orecchini di perle. A Paolo sembrava una Dea, e non era l’unico ad ammirarla, a giudicare dagli sguardi degli altri uomini presenti.
    Andò verso di lei e la invitò al suo tavolo, quella sera era con altri due colleghi e c’era un posto per lei.
    Lei accettò volentieri. Si sedettero al loro posto, e Anna si guardò in giro. Non c’era traccia di Lucrezia.
    Paolo conversava in modo brillante con gli amici, mentre Anna lo ascoltava sorridendo. E quando era lei a parlare, lui la guardava come ipnotizzato, rapito dal suo fascino e dalla sua intelligenza.
    Alla fine della cena, si trasferirono al bar, dove in un angolo c’era un pianoforte chiuso. Paolo chiese se si poteva usare, e si sedette sullo sgabello. Cominciò a suonare una canzone napoletana, sembrava una serenata.
    Mentre cantava posava il suo sguardo su Anna, che lo ricambiava con gli occhi che brillavano.
    La canzone finì e la gente presente in sala lo applaudì, aveva cantato davvero bene. Paolo tornò al tavolo, gli amici se ne andarono e lui propose ad Anna di fare una passeggiata.
    Stavano per uscire dal bar quando entrò Lucrezia. Era ubriaca e agitata.
    “Paolo, amore mio! sei qui! Ti ho cercato dappertutto!”, disse la donna buttandosi tra le sue braccia.
    “Ma che fai? Sei impazzita? Smettila Lucrezia!”, rispose Paolo cercando di sorreggerla.
    “Sei l’unico amore della mia vita! ti voglio!”, continuava Lucrezia.
    “Ti stai rendendo ridicola! Siediti qui per favore”, le disse Paolo.
    Anna guardava esterrefatta la scena, poi decise che era meglio andarsene, non voleva essere coinvolta.
    Paolo la vide e le corse dietro. ”Anna! Aspetta, ti prego!”, le gridò.
    Ma lei era già fuori dall’hotel, avrebbe camminato un po’ da sola.
    Paolo affidò Lucrezia ad una collega che la conosceva e corse dietro ad Anna.
    Dove era finita quella benedetta ragazza? Non la vedeva più. Camminò per qualche minuto, finchè la vide al di là della strada, sul ponte sulla Senna che scorreva lì vicino.
    La raggiunse di corsa e si fermò senza fiato vicino a lei.
    “Anna, perché sei scappata?”, le chiese dolcemente.
    Lei fissava i barconi illuminati sul fiume, e aveva gli occhi pieni di lacrime: “Paolo, ti prego, lasciami sola!”.
    Lui era dietro di lei, l’afferrò per le spalle e la fece girare verso di lui. Poi l’abbracciò stretta, dicendole: “Non ti devi preoccupare di quella donna! Non m’importa niente di lei, te lo giuro! Conti solo tu adesso: sei la donna più bella, dolce e intelligente che abbia mai conosciuto! Io TI AMO!”, le disse accarezzandole il viso. E la baciò.
    Ad Anna girava la testa, non era mai stata baciata in quel modo, così tenero e passionale al tempo stesso.
    Poi lo guardò negli occhi, con le lacrime che le scendevano lungo le guance.
    “Anch’io ti amo, ma noi non possiamo! Tu hai ancora una moglie, e io ho un fidanzato, non è giusto. E ti sei dimenticato che siamo rivali nella causa? Non è corretto se noi adesso…”, mormorò Anna piangendo.
    “Tesoro, tutto questo si può risolvere! Appena torniamo a casa lascerò mia moglie, e chiederò a Serbelloni di sollevarmi dall’incarico, la causa la seguirà qualcun altro. A me non importa più nulla, solo tu sei importante!”.
    “Non te lo posso permettere! Anche il tuo lavoro è importante! Non è giusto che ti rovini la carriera per me, non potrei mai perdonarmelo!”, rispose Anna allontanandosi da lui.
    E cominciò a correre verso la strada, non accorgendosi che stava arrivando una macchina a tutta velocità.
    “Anna, aspetta, fermati! Anna, attenta!”, le urlò Paolo vedendo l’auto. Ma lei non capì, finchè Paolo la raggiunse e la spinse con tutta la forza che aveva lontano dalla strada. Caddero entrambi sul marciapiede, erano salvi.
    “Anna, amore, stai bene?”, le chiese lui preoccupato, “vieni qui”.
    Lei lo guardò con gli occhi pieni di tristezza e gli disse: “No, non posso! non posso rovinarti la vita, Paolo! Ti prego, non cercarmi più! lasciami in pace!”, e si mise a correre verso l’albergo.
    “Annaaa, torna qui!”, gridò lui disperato, ma la ragazza non si fermò. Paolo la guardava impotente, non sapeva che fare. Cominciò a camminare lungo la Senna, rimuginando sulla sua vita, su ciò che avrebbe fatto una volta tornato in Italia.
    Era stanco dell’ipocrisia del suo matrimonio, e di una carriera che lo aveva portato a tradire i suoi ideali di ragazzo.
    Fissò le luci al di là del fiume e decise che avrebbe dato una svolta alla sua esistenza, era ancora in tempo per farlo.

    Anna si buttò sul letto della sua camera d’albergo e si mise a piangere disperatamente. La sua vita stava andando a rotoli, era innamorata come non lo era mai stata, ma non poteva stare con lui, sarebbe stata la causa della sua rovina!
    Domattina presto sarebbe partita, e una volta arrivata a casa doveva trovare il coraggio di dire la verità a Stefano, non poteva continuare a prenderlo in giro. I suoi genitori le avevano trasmesso forti valori, come l’onestà. Era l’unica cosa da fare, per quanto dolorosa potesse essere.






    Il taxi imboccò il viale che portava alla lussuosa villa dei Serbelloni. Paolo scese dall’auto, pagò l’autista ed entrò in casa. Si diresse verso il salone con l’intenzione di versarsi un bicchiere di whisky, ne aveva proprio bisogno. Rimase di sasso quando vide la donna che lo stava aspettando.
    “Isabella! Che ci fai qui? Credevo fossi in crociera!”, esclamò stupito.
    “Invece eccomi qua, mio caro. Stavo aspettando il mio maritino!”, rispose lei sarcastica.
    Paolo non sapeva cosa dire, si limitava a fissarla.
    Lei continuò: “Mi è stato riferito che una certa “signora” non ha fatto altro che strusciarsi addosso a te mentre eri a Parigi. Non mi va di essere presa in giro pubblicamente, hai capito?”.
    “Ma di che parli?”, rispose lui balbettando.
    “Ma della “cara” Lucrezia, di chi altri?!? Senti Paolo, lo so che non sono stata una buona moglie negli ultimi anni, ma sono ancora in tempo per rimediare”, disse la donna avvicinandosi a lui con fare seduttivo.
    “Il tempo ormai è scaduto, Isabella”, rispose lui cercando di evitarla.
    “Io non credo! lo so che vuoi un figlio: beh, penso che dopotutto non mi dispiacerebbe averne uno”, disse lei tentando di slacciargli la cintura dei pantaloni.
    Paolo la allontanò da sé e le disse: “Mi dispiace, ma non voglio figli da te!”.
    Isabella era furiosa. “Come osi? Chi ti credi di essere? Ricordati che se sei un avvocato importante lo devi soprattutto a mio padre!”.
    “Sei solo una bambina viziata!”, rispose lui freddamente, “non ne voglio più sapere di te!”.
    Prese la valigia e si diresse verso il garage.
    “Dove credi di andare adesso?”, gridò lei mentre lui metteva in moto la sua auto.
    “Domani manderò qualcuno a prendere il resto delle mie cose, addio Isabella!”, e se andò.
    “Te la farò pagare, Paolo De Nardi!”, urlò lei sulla porta di casa.
    Paolo guidò fino al piccolo appartamento che aveva in centro città, lo teneva per dormirci quando faceva troppo tardi la sera, e per portarci le sue amanti.
    Si buttò sul letto esausto, e si chiese cosa sarebbe successo l’indomani, quando sarebbe dovuto tornare in ufficio.

    Una volta a casa, Anna decise che avrebbe subito parlato a Stefano. Voleva chiudere la questione prima possibile.
    Entrò in casa e posò la valigia in corridoio. Delle voci venivano dal salotto.
    Stefano era in compagnia di una ragazza, stavano ridendo e scherzando.
    “Ah, ciao Anna”, disse lui quando la vide, “com’è andato il viaggio? ti ricordi la mia collega Daniela, vi siete conosciute ad una festa l’anno scorso”.
    Anna squadrò la ragazza, che immediatamente si alzò e se ne andò.
    “Stefano, ti devo parlare”, disse lei con voce grave.
    “Senti, è solo un’amica, te l’assicuro!”, cominciò lui imbarazzato.
    “Non è facile quello che ti sto per dire, Stefano, ma lo devo fare; è una questione di principio e di onestà”, proseguì Anna, “non voglio continuare a prenderti in giro. Penso che dovremmo chiudere qui la nostra storia”.
    “Anna, senti, lo so che ultimamente ti ho tartassato con la mia gelosia, e abbiamo avuto poco tempo per stare insieme, tra il mio lavoro e il tuo insomma, però le cose si possono sistemare”, disse lui speranzoso.
    “Allora non hai capito! io non ti amo più, ti voglio benecome ad un fratello ma…”, continuò lei guardando per terra.
    “E’ quell’avvocato vero?”, gridò lui arrabbiato, “è lui la causa di tutto! Da quando l’hai conosciuto non sei stata più tu!”.
    “Mi dispiace! ti prego perdonami!”, disse lei cominciando a piangere.
    Il ragazzo se ne andò in camera a fare le valigie, poi uscì di casa. Anna pianse tutte le sue lacrime quella sera. Era rimasta sola.

    Il mattino dopo, Paolo De Nardi varcò la soglia dello studio Serbelloni. Non aveva chiuso occhio quella notte, e sapeva che sarebbe stata una giornata pesante.
    Si chiuse nel suo ufficio e cominciò a rivedere le carte della causa Vergani. Voleva chiuderla il prima possibile, e la settimana dopo ci sarebbe stata l’ultima udienza.
    Si chiedeva cosa avrebbe fatto quando si sarebbe trovato di fronte Anna. Doveva essere professionale, ecco tutto.
    All’improvviso la porta si spalancò e Serbelloni entrò. Non sembrava contento di vederlo.
    “Eccolo qui il grande avvocato!”, cominciò l’uomo scuro in volto, “ti sei divertito a Parigi, da quel che ho sentito!”.
    “Senta Alberto”, tentò di dire Paolo, ma fu interrotto.
    “Non cercare scuse, tanto è inutile. Isabella mi ha detto tutto! Ti informo che da questo momento la causa Vergani sarà seguita dal dottor Marini, tu qui dentro hai chiuso! Hai 20 minuti per raccogliere le tue cose.”, disse l’uomo furente.
    “Alberto, la prego, mi ascolti! Non è successo niente con quella donna, glielo assicuro!”, gridò Paolo.
    “Non sono fatti miei con quali e quante donne te la spassi, il punto è che hai mancato di rispetto a mia figlia! E non è solo questo Paolo: ultimamente non sei più quello di una volta sul lavoro, ti mancano la grinta e la determinazione necessarie, sei poco concentrato. Insomma, non sei più adatto al nostro studio, questa è la verità”, concluse Serbelloni.
    “Su questo credo che abbia perfettamente ragione”, mormorò Paolo.
    “Mi fa piacere che siamo d’accordo”, rispose l’anziano avvocato calmandosi, poi aggiunse: “Mi dispiace Paolo, ma tu capisci…è la mia unica figlia, ho solo lei al mondo.” E se ne andò.
    Paolo si accasciò sulla poltrona. Improvvisamente si sentiva leggero, come svuotato da un peso. Poi si ricordò che non aveva quello che desiderava di più al mondo, la donna che amava. E si mise a piangere.

    La settimana dopo, Anna entrò in tribunale per l’ultima udienza della causa Vergani.
    Per giorni non aveva chiuso occhio la notte, e mangiato pochissimo; si era buttata sul lavoro per non pensare, ma all’improvviso i bei momenti passati con Paolo a Parigi le tornavano in mente, e le facevano sanguinare il cuore.
    Si chiedeva cosa avrebbe provato quando se lo sarebbe trovato di fronte, ma nell’aula dell’udienza c’era uno sconosciuto al suo posto.
    “Salve signorina, sono l’avvocato Marini, sostituisco De Nardi, che è in malattia.”, si presentò l’uomo.
    “Malattia?”, disse Anna con un filo di voce.
    “Sì beh, questa è la versione ufficiale! In realtà Serbelloni l’ha cacciato dallo studio”, rivelò Marini.
    Anna non sapeva cosa dire né pensare.
    “Sembra che Paolo abbia lasciato la moglie, nonché figlia del capo, capisce! quindi non poteva certo continuare a lavorare per lui.”, concluse l’uomo.
    L’udienza cominciò, e finì con un accordo tra le parti che soddisfaceva entrambi. L’ex signora Vergani ringraziò Anna, e Marini la salutò: “Arrivederci avvocato Bianchi, è stato un vero piacere lavorare con lei.”
    Anna ricambiò il saluto e si precipitò fuori dal tribunale. La testa le girava, si sentiva svenire e non era solo per il poco sonno e cibo degli ultimi giorni. Si sedette sugli scalini, mille pensieri le passavano per la testa. E adesso? Cosa poteva fare? Avrebbe voluto andare da lui, cercare di consolarlo, ma non sapeva come rintracciarlo, non aveva neanche il suo cellulare. E poi, con quale coraggio l’avrebbe rivisto? Era stata veramente la causa della sua rovina. No, l’unica cosa da fare era cercare di dimenticarlo. Chiese al principale tre giorni di ferie e andò a trovare i suoi genitori, che vivevano in una città vicina.






    Paolo aveva passato gli ultimi giorni cercando di rilassarsi e di non pensare, nel suo appartamento in città. Quando non ne poteva più di stare chiuso lì dentro, prendeva la macchina e girava nei dintorni in campagna, oppure in altre zone della città. Una sera capitò per caso sotto casa di Anna, le luci erano spente e sembrava non ci fosse nessuno in casa.
    Rimase un po’ lì ad aspettare, senza saper bene cosa fare. Alla fine accese il motore e se andò. Stava piovendo piuttosto forte e l’asfalto era viscido, Paolo era distratto dai suoi pensieri e perse il controllo dell’auto, uscì di strada e andò a sbattere contro un albero. La vista gli si annebbiò e perse i sensi.

    Anna stava tornando a casa dopo aver trascorso qualche giorno dai suoi. Ora si sentiva meglio, stava recuperando le forze fisiche ma non sapeva quando anche il suo spirito si sarebbe ripreso. I suoi genitori non avevano preso bene la notizia della sua rottura con Stefano, ma lei non volle dirne il motivo e loro la lasciarono in pace.
    Dopo colazione scese all’edicola per comprare il giornale, quando fu attirata dal gazzettino locale che riportava questo titolo in prima pagina: “Noto avvocato in coma dopo incidente d’auto”.
    Anna lesse l’intero articolo, che diceva che Paolo De Nardi era ricoverato in gravi condizioni all’ospedale cittadino dopo un serio incidente d’auto avvenuto la notte precedente. La sua auto era sbandata per la forte pioggia e adesso lui lottava per la vita. La ragazza sentì un colpo al cuore, le tremavano le gambe. Non poteva credere a ciò che aveva letto.
    Si precipitò a prendere la macchina e guidò verso l’ospedale.
    Quando arrivò lì, la diressero in rianimazione. Chiese notizie di Paolo, ma l’infermiera le disse che se non era parente non potevano dirle niente, né farglielo vedere. Anna crollò su una sedia disperata.
    Nella sala c’erano altre due donne che aspettavano. Un dottore si avvicinò a loro e disse: “Le signore De Nardi? Seguitemi prego.”.
    Dovevano essere la madre e la sorella, pensò Anna. Dopo pochi minuti le due donne tornarono, sembravano sollevate.
    Anna si fece coraggio e disse: “Scusatemi se v’importuno, siete parenti di Paolo?”.
    “Sì signorina, lei chi è? Lo conosce?”, rispose la più giovane delle due.
    “Sono una sua collega, volevo sapere come stava”, disse Anna con un filo di voce.
    “Ora meglio per fortuna, ha un leggero trauma cranico ma niente di grave. Come sapeva che era qui?”.
    “L’ho letto sul giornale locale, diceva che era in coma”.
    “I giornali esagerano sempre! il dottore ha detto che si riprenderà presto, con qualche giorno di riposo.”
    “Non sarebbe possibile, magari, vederlo un attimo?”, chiese speranzosa Anna.
    La sorella di Paolo la squadrò e pensò che forse quella ragazza non era solo una sua collega. Con un sorriso la prese per un braccio e la portò davanti alla stanza.
    “Vada pure signorina, ma solo pochi minuti!”, e se andò.
    Anna raccolse tutto il suo coraggio ed entrò. Paolo stava dormendo. Si sedette vicino a lui e gli prese la mano.
    Paolo si svegliò all’improvviso: “Anna, sei proprio tu?”, disse con voce stanca.
    “Sì, come ti senti?”.
    “Adesso molto meglio”, rispose lui con un sorriso.
    “Mi hai fatto prendere un bello spavento, sai?”, disse la ragazza.
    “Mi sei mancata da morire, amore!”, rispose lui, e si abbracciarono.
    “Mi dispiace, per tutto quello che è successo. Ho saputo dei tuoi guai”.
    “Non ha più importanza adesso che sei qui! Giurami che non mi lascerai mai più”, le disse dolcemente.
    “Mai più tesoro! starò sempre con te!”, rispose Anna tra le lacrime.
    E finalmente un lungo bacio suggellò il loro amore.

    Quando Paolo uscì dall’ospedale, si trasferì a casa di Anna per la convalescenza. In seguito avrebbero cercato un appartamento più grande dove andare a vivere insieme. Per fortuna lui aveva una bella somma da parte, aveva guadagnato parecchio negli ultimi anni.
    Una sera erano seduti sul divano a guardare la tv, quando Anna gli disse:
    “Tesoro, non abbiamo ancora parlato del tuo futuro. Che farai ora? Prima o poi dovrai riprendere a lavorare”.
    “Lo so cara”, rispose lui accarezzandola, “io un’idea ce l’avrei. Ci pensavo già da un po’, prima di conoscerti, che mi sarebbe piaciuto aprire il mio studio di avvocato: beh, penso che il momento sia arrivato! E vorrei che tu fossi la mia socia. Noi due insieme faremmo faville! Lo so che forse non è il momento giusto per te, stai facendo una bella carriera dai Salvemini”.
    “ma lavorare con te sarebbe ancora più bello! Però..”.
    “Però cosa?”.
    “Penso che nel primo anno non ti sarei di grande aiuto, sarò già impegnata!”, rispose Anna dolcemente.
    “A fare che?”, le chiese Paolo.
    “A fare la mamma”.
    Paolo la guardò a bocca aperta, poi gridò felice: “Aspetti un bambino?!?!”.
    “Sì!”, confermò la ragazza. Paolo l’abbracciò stretta e le diede un lungo, tenero bacio.
    “Hai proprio deciso di rendermi l’uomo più felice del mondo?”, le disse poi.
    “Sì caro avvocato!”, e passarono il resto della serata a fantasticare sul loro futuro bambino.

    Qualche mese dopo, Anna diede alla luce una bella bambina, aveva gli occhi azzurri del papà e il visino grazioso della mamma. La chiamarono Elisa, come la nonna di Anna.
    Paolo aveva aperto lo studio Bianchi-De Nardi, anche se al momento era più lui a lavorarci; Anna lo sosteneva e lo aiutava come poteva quando i suoi doveri di madre glielo consentivano. Gli inizi non furono facili, ma a poco a poco Paolo riuscì a crearsi la sua clientela, e dopo un paio d’anni decisero di avere il secondo figlio. Questa volta arrivò un bel maschietto con gli occhi verdi. Intanto Paolo aveva ottenuto il divorzio dalla prima moglie, e quando la bambina compì tre anni, finalmente i due giovani si sposarono.
    Un giorno erano sul lungomare dove Paolo aveva portato la famiglia in gita..osservava felice la moglie e i figli che giocavano, e tra sé e sé pensò che la Legge più importante, e l’unica che valesse la pena seguire era quella dell’Amore.


    FINE




     
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