Il fantasma del lago

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Stellin@_18
     
    .

    User deleted


    Nota d'inizio:questa storia ha cominciato a frullare nel mio cervelletto qualche mese fa. Poi è come se il mondo volesse farmela scrivere fornendomi sempre l'ispirazione nel momento meno probabile. E' un po' surreale... cioè per me è una cretinata, però scriverla mi rilassa...

    Il fantasma del lago

    image

    Personaggi
    Laura Ferrari: Giulia Bevilacqua
    Claudia Ferrari: Vittoria Puccini
    Sofia Della Rosa: Claudia Pandolfi
    Sivlia Della Rosa: Gabriella Pession
    Riccardo Bentivoglio: Simone Corrente

    Capitolo 1: Le bimbe dentro

    [Il bimbo dentro - Tiziano Ferro]
    Che fine ho fatto io?
    Col viso più rotondo ma mai pallido
    Meno sicuro ma
    Più forte a volte per la grande umiltà
    Che dormivo sui banchi di scuola
    Non trattenevo mai i nodi alla gola
    Che di lottare al volte ero stanco
    Ma per pensare avevo sempre tempo
    E ora no
    Adesso
    Ti guardo assente e dico:
    "tu non entri tu dentro di me non entri
    ora non più non mi ferisci più!".
    Che stringo a tutti i costi i denti
    E pur di non scoprirmi mi tiro
    Indietro un po' e ancora un po'
    Luna ascoltami
    Se da quell'angolo
    Di altitudine
    Ne sai di più di me
    Ora stringimi
    Non voglio perdermi
    Ma ora non trovo più
    Il bimbo dentro me

    Che fine hai fatto anche tu?
    Cos'è, sei stanca ormai di dirmelo
    Che non ci sono più?
    Tu che conosci con sincera umiltà
    La versione integrale di me
    Che custodisci gelosa i "perché"
    Prova a ridarmi quell'assurda ironia
    La voglia matta di andare via
    Ma tornare a casa
    Ma ora ti guardo assente
    E dico:
    "tu non entri!
    Tu dentro di me non entri più!"
    E tu neanche ti ribelli
    Non discuti e ti rassegni
    Aiutami
    Ti prego

    Luna ascoltami
    Se da quell'angolo
    Di altitudine
    Ne sai di più di me

    Scavalca i ponti tra mente e cuore
    La soglia estrema del dolore
    L'orgoglio ed il suo mare immenso
    Per far capire che ci penso
    Che soffro per amore intenso
    Che gioco ancora con il vento
    Ma non trovo più il bimbo dentro
    Che rido ancora senza un senso
    E navigo distratto e attento
    Ingenuo ma con la testa
    O tutto o niente..o sempre o basta!
    E che sono qui per ritrovarmi
    E chiedo aiuto a te


    Una giovane donna guidava una auto grigio metallizzato. Era preoccupata ma ciò non alterava il suo bell’aspetto. Era di una bellezza particolare: mora, gli occhi castani con una sfumatura di verde molto espressivi, la bocca un po’ larga e il fisico asciutto con un seno abbastanza prosperoso. Si chiamava Laura Ferrari ed era una giovanissima pittrice di grande talento e ora si dirigeva a un appuntamento a Piazza di Spagna con sua sorella minore, Claudia. Lei aveva 27 anni mentre la sorella solo uno di meno, 26. Insieme dovevano andare a Tritora, il paesino dove era nato loro padre. La loro nonna paterna, che non vedevano da più di vent’anni, era morta lasciando loro un’eredità e dovevano quindi recarsi dal notaio al paesello.
    Chissà perché non l’avevano più vista… Forse a causa della loro madre, Charlotte, poetessa francese, che aveva abbandonato figlie e marito quando Laura aveva solo 8 anni per un ballerino di flamenco. Da allora, loro padre, Enrico Ferrari, non si era mai risposato e aveva affidato le figlie alle tate viaggiando di continuo per lavoro fino a quando la figlia minore, Claudia, non era diventata maggiorenne, dopodichè lui si era definitivamente stabilito a Francoforte. Laura aveva ereditato dal padre, non solo alcuni tratti del viso, ma in particolare il carattere, timido e un po’ schivo; tuttavia aveva i colori di sua madre, gli stessi occhi vispi e i capelli corvini, e la sua classe. Ricordava ancora quando tutto a casa loro era sereno… quando la mamma e il papà sembravano innamorati e la bella Charlotte si divertiva a giocare a mosca cieca con le due bambine nel giardino della grande villa fuori città dove vivevano, e quando aveva insegnato a lei e Claudia ad andare in bicicletta e quando le aveva insegnato a disegnare, facendo nascere in lei una passione per quest’arte che era poi diventata il suo lavoro.
    Mentre mentalmente riviveva suoni, giochi e colori della sua più tenera età, Laura era ormai giunta all’appuntamento con sua sorella. Si guardava intorno alla disperata ricerca del suo viso ma non dovette cercare a lungo: una giovane donna dai capelli ramati le correva incontro. Era così tanto che non si vedevano…

    Claudia abbracciò stretto sua sorella e poi la guardò fisso con i suoi occhi verdi. Nessuno a guardarle avrebbe mai detto che erano sorelle. La maggiore con gli occhi castano-verde e i capelli neri, la minore con occhi verdissimi e capelli ramati. Così diverse eppure così unite. Condividevano segreti che nessuno avrebbe mai saputo e condividevano una sofferenza che nessuno avrebbe mai capito. Claudia era magrissima e aveva un seno piccolo, a differenza di Laura. Aveva gli stessi occhi del padre ma i capelli ramati erano la sua vera particolarità perché non erano, apparentemente, appartenuti a nessuno in famiglia prima di lei. Nel carattere aveva la stessa vitalità e la stessa allegria di sua madre, la stessa dolcezza nell’osservare il mondo che le girava intorno, la stessa forza nel rialzarsi, la stessa fragilità ma al contempo la stessa invulnerabilità. Era una giornalista. Viaggiava e girava il mondo curiosa alla ricerca di storie nuove da raccontare. Curiosa come fin da piccola lo era stata.

    Non vedevo l’ora di vederti, sorella. Mi sei mancata tantissimo in Russia – disse guardandola dolcemente.
    “Anche tu mi sei mancata tanto, Cla. Allora hai portato le valigie?” chiese amorevolmente.
    “Si, giusto uno zaino. Spero non resteremo lì a lungo”
    “Già. Chissà perché poi non è andato papà… infondo noi siamo le nipoti…non le figlie”
    “Non saprei. Sai… l’ho sentito l’altro giorno, nostro padre. È a Berna per affari adesso. Ha detto che ci raggiungerà a settembre per qualche settimana. Credi che lo farà?”
    “Di solito è di parola…” – rispose Laura incerta.
    “Beh, io per fortuna ho te. E tu hai me…”
    Laura sorrise. In quel momento Claudia sembrava essere tornata quella piccoletta di dieci anni che in riva al mare una volta le fece fare una promessa che, neanche volendo, avrebbe potuto rompere. Si avvicinò alla sorella e l’abbracciò forte. Chiudendo gli occhi mentre era ancora stretta in quell’abbraccio, poteva sentire ancora le onde rompersi sulla spiaggia di Sabaudia, dove andavano sempre in vacanza, poteva sentire ancora il fruscio del vento e poteva sentire il pianto di una bimbetta dai capelli rossi. Riusciva anche a vederla, Claudia, con la faccia poggiata sulle ginocchia strette al petto, seduta con il suo vestitino a fiori viola sulla sabbia. Riusciva anche a sentire le loro voci.
    “ Ma che ci fai qui? Ti stiamo cercando ovunque. Ci hai fatto spaventare tanto” chiese Laura, sedendosi accanto alla sorellina.
    “ Volevo stare un po’ da sola” rispose la rossa piagnucolando “ Mi sento tanto sola, La” aggiunse con voce rotta e continuò a piangere, stavolta più forte e così rumorosamente che la mora non poté ignorarla e la abbracciò asciugandole le mani.
    “ Ma tu non sei sola, Cla. C’è Maria, c’è Angela, c’è Carlo, c’è papà, ci sono io… io non ti lascerò mai”.
    “ Promettimelo. Prometti solennemente che tu non mi lascerai mai, ma proprio mai, sola!” disse con voce così seria e perentoria che Laura la guardò sbalordita.
    “ E va bene sorellina. Giuro solennemente che non ti lascerò mai, ma proprio mai, sola”. Claudia annuì soddisfatta e sorridente e poi aggiunse “ Adesso però ci vuole la stretta di mano. Lo fanno sempre nei film per suggellare le promesse. Laura che significa suggellare?”.
    Laura rise per un po’ e poi pensandoci su disse: “ Suggellare… diciamo che è un termine che si usa per ufficializzare, per rendere più vera una promessa o un’altra cosa”.
    Claudia la guardò pensierosa e poi sussurrò “ Allora noi abbiamo proprio bisogno di una stretta di mano” e le tese la manina. Laura, divertita, la afferrò e la strinse. Poi guardò la sorellina soddisfatta e l’abbracciò ancora.

    L’aveva abbracciata come stava facendo adesso.
    “Adesso sarà meglio andare, no? Altrimenti facciamo tardi dal notaio” disse Claudia staccandosi e poi seguendo Laura, che aveva annuito, verso la macchina le sussurrò piano “Ti voglio bene, La”
    “Anche io te ne voglio, Cla. Ma proprio tanto” rispose sorridente.
    Così diverse e così unite. Così adulte. Laura e Claudia. Le sorelle Ferrari. Cresciute senza madre. Cresciute così bene. Cresciute da donne vere. Forti per forza. Cresciute senza potersi permettere debolezze. Cresciute chiudendo il cuore alle vere bimbe dentro di loro.
    E quasi per uno scherzo del destino alla radio trasmisero “Il bimbo dentro”, una vecchia canzone di Tiziano Ferro.
    Mai canzone fu più idonea a cogliere lo stato d’animo delle due giovani donne, che da tempo ormai, avevano chiuso il cuore ai ricordi appannati della loro infanzia. Quando erano ragazze passavano le ore a cercare di ricordare qualcosa di più, qualcosa che le avrebbe potute indurre a capire che la madre si allontanava progressivamente e poi una sera decisero di non farlo più, di chiudersi a quella tortura. Entrambi ricordavano ancora la sera in cui presero quella decisione…
    Erano a Sabaudia, nella loro casa delle vacanze: una piccolissima villetta a schiera a 20 mt dal mare. Andavano lì con la tata Maria e ogni tanto le raggiungeva il padre. Quella sera erano nella loro cameretta. Avevano due letti in ferro rossi, l’uno di fianco all’altro. Laura aveva 14 anni, Claudia 13. La lampada era già stata spenta, i libri erano già sul comodino. E poi Claudia aveva parlato, rompendo il silenzio presente tra lei e la sorella maggiore.
    “ La, ma tu… la ricordi la mamma?”
    La domanda aveva spiazzato la maggiore che si era messa a sedere sul letto e aveva acceso la luce. I capelli in testa erano arruffati, gli occhi un po’ spaventati dalla domanda. La ragazza tirò un respiro profondo e con voce calma rispose: “ Solo un po’...”
    Da quando Charlotte se n’era andata le due sorelle avevano stretto tra loro un tacito accordo: quello di non nominare mai la madre. Ma Claudia era sempre stata più brava e diretta nel rompere dei tabù.
    “ Io ricordo solo poche cose” disse lei rassegnata. I lunghi capelli rossi le cadevano sulle spalle un po’ ribelli, gli occhi verdi, solitamente tanto curiosi, trasmettevano una tristezza infinita.
    “ E’ normale eri piccolina, più di me” rispose dolce la mora “ E poi… visto che rende triste sia me che te parlare di lei, perché non… non smettiamo di parlarne e di pensarci? È meglio, no?”
    Claudia annuì e disse:” Si, è meglio. Hai ragione. Ora dormiamo che altrimenti domani mattina ti alzi tardi perché non dormi abbastanza” aggiunse in tono canzonatorio.
    “ Bugiarda! N-non è vero!” rispose Laura mettendosi le mani sui fianchi autoritaria.
    “E invece si! Anzi domani mattina se fai di nuovo tardi ti faccio un megagavettone!”
    “Non oserai, Claudia Ferrari!”
    “Scommettiamo?”
    “Ehm… n-no.. che c’entrano le scommesse?”
    “Hai fatto la faccia buffa” cominciò a prenderla in giro Claudia.
    “E tu hai fatto la faccia scema!”
    “Io non ho mai la faccia scema, tu buffa si” e cacciò la lingua.
    “E va bene. Tregua. E ora dormiamo.”
    “Va bene, sorella”
    Si rimisero a letto e, mentre spegneva la luce, Claudia disse “ Tanto il gavettone te lo faccio comunque”.
    Laura non rispose ma si addormentò con un sorriso.


    Laura guardò la sorella e disse: “Allora, amore in vista?”
    Claudia la fissò stralunata e poi cominciò a ridere: “Magari! È che io in amore ho i gusti difficili: aspetto ancora il principe azzurro a cavallo dell’unicorno bianco.”
    “Guarda che il principe usa il cavallo non l’unicorno” corresse Laura ridendo.
    “E’ per questo che è difficile trovarne uno. Quelli che cavalcano gli unicorni sono pochi”
    Laura rise e poi disse “Ma quanto sei scema?!”
    “Non sono scema, ho solo gusti particolari… esatto.. particolari. Piuttosto tu? Con quel… come si chiamava? Ah, si… Bernardo” calcò il nome del ragazzo “hai ripreso gli incontri?”.
    “Assolutamente no. Io con gli uomini ho chiuso”.
    “Ma sta’ un po’ zitta che prima o poi arriverà un bell’uomo a cavallo di un unicorno”.
    “Non un principe?”
    “No, il principe è per me. Per te è disponibile un… duca!” e, detto ciò, si aprì nella più contagiosa delle risate dalla quale la sorella maggiore fu inevitabilmente travolta.


    image

    Capitolo 2: La nonna Ginevra

    [Festa - Alex Britti]

    Du Dududurududu Bo Bobobonbo
    Du Dududurududu Bo Bobobonbo

    In un vecchio castello
    Vive un conte dimesso
    Con duemila ricordi ormai parla da solo
    E gli capita spesso
    Sempre una sigaretta
    Fra le dita ingiallite
    Una macchiana arriva
    Lascia pacchi e bottiglie e poi se ne va
    Il paese è in festa due sospiri più in la
    Ma i ricordi son troppi ed il conte ingiallito
    Da solo se ne sta

    Du Dududurududu Bo Bobobonbo
    Du Dududurududu Bo Bobobonbo

    In un altro paese
    c'è una donna simbolica
    Con un figlio da crescere e un uomo impegnato a cercare l'America
    Vive un mondo di sogni e speranze virtuali
    Aggrappati ad un filo i suoi giorni che passano uguali
    Se qualcuno fa festa un sorriso più in la
    Lei neanche s'accorge
    Colleziona promesse
    E da sola se ne sta

    Du Dududurududu Bo Bobobonbo
    Du Dududurududu Bo Bobobonbo

    In un viaggio improbabile
    Su una barca ferita
    Ci sta un giovane uomo che guarda curioso la sua vita in salita
    Affamato di tutto
    Spaventato da niente
    I suoi occhi hanno visto gia il diavolo sorridere in mezzo alla gente
    Lui si aspetta una festa qualche mare più in la
    Intanto guarda l'orizzonte
    Si rannicchia in un angolo
    E da solo se ne sta

    Du Dududurududu Bo Bobobonbo
    Du Dududurududu Bo Bobobonbo

    In un attico in centro c'è un attore famoso
    Sotto casa lo aspettano un fotografo, un cane e un marito geloso
    Lo vedrai in copertina con la faccia felice
    Ma nella sua strana vita la solitudine fa da cornice
    E quando è giorno di festa, lui festa farà
    Apre un' altra bottiglia
    Poi raggiunge il divano e da solo se ne sta

    Du Dududurududu Bo Bobobonbo
    Du Dududurududu Bo Bobobonbo


    Erano soltanto le 11 del mattino quando le due sorelle Ferrari giunsero a Tritora. Era un paesino piccolo che si adagiava sulle sponde di un piccolo lago. Le case in centro erano in pietra rossiccia, rivelando l’antichità delle mura.
    Laura accostò a un marciapiede e disse alla sorella: “Aspettami qui. Vado a chiedere dov’è via Gabriele D’Annunzio”. Claudia annuì continuando a canticchiare “L’aurora” di Ramazzotti.
    “Hai capito?” chiese Laura e Claudia rispose “Si… stavo cantando… Sarà, sarà l’aurora… per me sarà così. Come uscire fuori, come respirare un’aria nuova, sempre di più. E tu, e tu, amore, vedrai che presto troverai…”
    “Va bene. Io entro un attimo. Ti devo prendere qualcosa?”
    “Mm… no, grazie… ecco perché continuerò a sognare ancora un po’”.
    Laura scosse la testa sorridente: a volte sua sorella era ancora troppo una bambina. Con passo rapido e felpato entrò nel bar e si avvicinò al bancone.
    “Mi scusi, potrebbe indicarmi via Gabriele D’Annunzio?” chiese con tono cordiale.
    La donna, che stava sciacquando alcune tazzine da caffé, rispose sbrigativamente “Dopo la Rotonda di Santa Maria, tira dritto per la chiesa di Sant’Anna poi gira a sinistra, fa un po’ di lungolago e poi dove sta la fontanella delle quattro madonne parcheggia e cammina dritto per via Antonino Pio poi gira sulla destra e via D’Annunzio là sta”. Laura strabuzzò gli occhi, le scocciava chiedere di spiegare meglio e così si disse che l’avrebbero trovata girando un po’. Stava per ringraziare quando da un tavolino si alzò un giovane uomo dai capelli castani e disse alla barista “Marine’, ma non vedi che non è del posto? Come la trova la chiesa di Sant’Anna o la fontana delle Quattro Madonne? Ora glielo spiego io.”
    Laura rispose rapida“Grazie ma non c’è bisogno”. L’uomo la guardò divertito e, come se avesse capito le sue intenzioni, rispose “Non la troverà girando… allora le spiego io bene. Venga fuori che le faccio vedere bene”. E le indicò elegantemente la porta. Laura biascicò un “Arrivederci” alla barista e uscì seguita dall’uomo.
    “Comunque mi chiamo Riccardo Bentivoglio” disse l’uomo tendendole la mano.
    “Piacere Laura Ferrari” rispose Laura ricambiando la stretta di mano.
    “Parente di Ginevra Ferrari?”
    “La nipote”
    “Capisco. Comunque per arrivare in via Gabriele D’Annunzio deve andare sempre dritto, da qui si intravede la Rotonda, lei deve praticamente girare sulla destra nel viale Margherita, ossia la traversa dopo il ristorante “La dama bianca”, mi segue?”
    “Per ora si, grazie” sorrise Laura.
    Riccardo ricambiò il sorriso e si soffermò per un po’ a guardare la giovane innanzi: bella come poche, un top nero le aderiva al seno e ai fianchi, il jeans calzava a pennello mettendo in risalto la linea perfetta della ragazza, sui capelli neri un paio di occhiali da sole neri fungevano da frontino. Sbatté le palpebre e cominciò a parlare, se fosse rimasto un altro po’ con quel sorriso ebete sulla faccia avrebbe fatto la figura dell’idiota. “Dunque nel viale Margherita sulla sinistra a un certo punto troverà una chiesa, ossia la chiesa di Sant’Anna, percorre 150 metri e poi gira a sinistra finendo sul lungolago, percorre altri 50 metri e si ferma al Parcheggio nella piazza delle Quattro Madonne, la riconoscerà subito: al centro della piazza c’è la fontana che le diceva prima la barista. Ci sono Quattro Madonne dalle cui mani esce dell’acqua. Nella piazza la prima cosa che dovrebbe saltarle agli occhi è l’agenzia di viaggi “Holiday”, non si ha molta fantasia in questo paese quindi non si aspetti stramberie o cose originali. In ogni caso l’agenzia occupa un intero marciapiede lei deve girare a sinistra in via Antonino Pio, la percorre fino alla fine e all’incrocio gira a destra ed è in via D’Annunzio”.
    “Credo di aver capito tutto. Ma non ci si può arrivare in macchina?”
    “E’ isola pedonale” rispose Riccardo sorridendole.
    “Grazie comunque”
    “Per così poco” si strinse lui nelle spalle “Spero di rivederla”.
    Laura si sentì avvampare: certo che in quel villaggio andavano subito al sodo quando si trattava di dire qualcosa, senza preamboli! Imbarazzata sussurrò “Anch’io”.
    Rientrò nella macchina e Claudia cantava ancora “…c’è un principio di allegria che mi spinge a dondolare tra il mio dire ed il mio fare… Oh, finalmente!”.
    “Scusa ma la barista spiega malissimo e un ragazzo, un uomo, gentile mi ha spiegato per bene” disse sorridendo e sperando che il rossore fosse sparito dal viso.
    “Non ti preoccupare. Il paesino non è male ma non è che mi aspettassi chissà che”.
    ”Idem. Allora, questo è il viale Margherita sulla sinistra deve esserci una chiesa”.
    “Eccola lì” indicò Claudia “Stile romanico, no?”
    “Esatto. Anche se, personalmente, preferisco il barocco o il gotico. Ora dobbiamo girare sulla sinistra e, voilet, ecco il lago”.
    “E’ carino” disse Claudia sorridente ma poi si incupì di botto e Laura accostò subito al lungolago. Lo sguardo di entrambe era rivolto all’altra sponda del lago e un ricordo riaffiorò nelle loro menti.
    Erano nella villa della nonna. Avevano 5 e 4 anni e stavano giocando vicino alla terrazzata che si sporgeva sul lago. Avevano delle bambole di porcellana in mano: un regalo del nonno dalla Normandia. La bambola di Laura aveva un vestitino azzurro di taffettà mentre quella di Claudia ne aveva uno di mussola verde. La piccolina si alzò in piedi con la bambola in mano ma inciampò in una sedia lì vicino e cadde lasciando andare la bambolina che precipitò con un tonfo nelle acque del lago. Laura era corsa subito dalla sorellina che aveva cominciato a piangere, un po’ per il dolore al ginocchio sbucciatosi per la caduta, un po’ per la perdita della bambolina. Con loro c’erano due bambine, la cui identità era stata però dimenticata dalle due sorelle. Ai pianti di Claudia e ai richiami di Laura accorsero la madre Charlotte e la nonna Ginevra. La madre si sedette sulla sedia mettendosi la figlia minore sulle gambe e stringendola al petto.
    “Non è niente, amore. Passa subito. Adesso lo disinfettiamo e ci mettiamo un cerottino”.
    “Io voglio la mia bambola” piangeva la piccola disperata.
    “Dov’è la bambola di Claudia?” chiese la nonna.
    “Nel lago. È caduta” disse Laura mogia “Come facciamo adesso?”.
    La nonna non rispose. Claudia continuava a piangere forte poi arrivò una signora sui quarant’anni con il disinfettante e i cerotti, che medicò la bambina.
    Charlotte rimise a terra la figlia che andò alla ringhiera accanto alla sorellina tentando di scorgere la bambolina che lentamente affondava lasciando di sé solo un nastrino verde.

    Forse ricordavano anche altro ma fermarono entrambe in quel punto i loro ricordi ricacciando di nuovo il ricordo di quelle due bambine allegre che ancora erano dentro di loro.
    L’umore delle due ragazze era triste e cupo. Laura parcheggiò nella piazza delle Quattro Madonne e, seguita da Claudia, si incamminò verso via D’Annunzio.
    “Credi che sia ancora quella?” chiese Claudia all’improvviso, mentre svoltavano nella traversa.
    “Che cosa?” Laura si guardava intorno alla ricerca del palazzo del notaio “Il numero civico è il 56”.
    “Si… io intendevo secondo te la casa della nonna è ancora quella?”
    “Penso di si… per quel poco che ricordo, la casa è della famiglia Ferrari da secoli”.
    “Già… eccoci” disse Claudia “Sono un po’ preoccupata.”
    “Anche io” rispose Laura comprensiva e, spingendo il portone, salirono ad affrontare il ricordo della nonna.

    Non c’era un ascensore in quel palazzo quindi dovettero salire fino al terzo piano a piedi. Su una porta in ferro tinteggiata di marrone c’era un’insegna dorata: Notaio Giacomo Sorvillo. Claudia suonò il campanello e una donna di circa trent’anni venne ad aprire.
    “Siamo le nipoti di Ginevra Ferrari. Ci ha convocato il notaio” disse Laura tutto d’un fiato.
    La signorina annuì e fece segno di accomodarsi sulle poltroncine lì fuori. Oltre a loro nella sala d’attesa c’erano solo altre due donne che se ne stavano in silenzio, dovevano avere circa la loro età, anno più anno meno. Da una porta uscirono un uomo e una donna e poi un cinquantenne che disse “Le nipoti di Ginevra Ferrari?” Laura e Claudia si alzarono.
    “Siamo noi”. Chi aveva parlato però erano le due donne di fronte a loro.
    “Siamo anche noi” balbettò Claudia spiazzata.
    “Ehm… sarà meglio che entriate tutte e quattro” disse il notaio imbarazzato e indicando la strada con un braccio fece passare le quattro ragazze. Le sedie davanti alla scrivania erano solo due e le quattro donne si guardarono imbarazzate.
    “Siediti tu” disse una delle due donne alla sorella. Questa annuì e si sedette. Claudia fece segno a Laura di fare lo stesso. Lei e l’altra ragazza erano in piedi dietro di loro.
    Il notaio prese posto e le guardò silenziosamente. Passarono alcuni minuti e poi questi finalmente parlo. “E così voi siete Sofia, Silvia, Laura e Claudia”.
    “Ehm… mi scusi dottor Sorvillo” disse la donna seduta su una sedia “forse a lei sembrerà strano ma noi non ci conosciamo”.
    “Non conoscete neanche i vostri nomi?” chiese quello sbalordito. Laura a quel punto parlò a nome di tutte “No, per quanto riguarda me e mia sorella Claudia non sapevamo neanche di avere due cugine”.
    “E questo vale anche per me e Sofia” disse quella che doveva essere Silvia, che stava in piedi dietro la sorella.
    Claudia constatò che anche loro erano poco simili tra loro. Sofia aveva gli occhi castani, era fisicamente in forma ed era abbastanza formosa. I lunghi capelli castani le ricadevano sulle spalle. Era vestita con una mogliettina bianca a maniche corte e un pantalone lungo nero.
    Sua sorella Silvia, invece, aveva i capelli castano chiaro, quasi biondo cenere e gli occhi verdi come quelli di Claudia, forse solo un po’ più scuri. Anche lei aveva un corpo asciutto e delle curve abbastanza delineate. I capelli erano raccolti in una coda e lei indossava un vestito azzurro lungo fino a sotto il ginocchio.
    Claudia era molto nervosa, giocherellava con una mano con un nastro del suo top lilla, mentre l’altra mano era appoggiata sulla gonna di jeans.
    “Come sapete vostra nonna è spirata ieri sera e lei mi aveva chiesto, in nome della nostra antica amicizia, di contattare tutte e quattro le sue nipoti prima del funerale. Per mia fortuna ci sono riuscito. Ora vi leggerò il testamento…”
    “Va bene” disse in un soffio Sofia.

    Io sottoscritta, Ginevra Taverna Ferrari, in pieno possesso delle mie facoltà dichiaro eredi del mio patrimonio le mie nipoti, Laura e Claudia Ferrari, figlie del mio amato figlio Enrico e di Charlotte Breton, e Sofia e Silvia Della Rosa, figlie della mia carissima figlia Cristina e di Alberto Della Rosa. Inoltre dispongo che Villa Ferrari sia equamente divisa tra le mie quattro eredi nell’augurio che sia tramandata per altre tante generazioni. A mia nipote Laura Ferrari lascio l’appartamento in Rue de la Senne, a Parigi, nella speranza che sia d’ispirazione per la sua arte e tutto ciò che si trova nel laboratorio artistico di Villa Ferrari, dove, un tempo, mi rinchiudevo a disegnare e il diadema che ho ereditato da mia suocera Cristina. A mia nipote Claudia lascio la casa sul mare a San Francisco dove, sono sicura, riuscirà a scrivere una storia che nessuno, tranne lei, avrebbe potuto raccontare e le lascio, inoltre, il mio ciondolo di diamanti a forma di Stella Marina, regalo del mio defunto marito Giovanni, che tante volte ho immaginato al suo collo, e la libera gestione della biblioteca familiare. A mia nipote Sofia lascio la baita a Cortina, ricordando il suo amore per la montagna nella speranza che anche i suoi figli abbiano ereditato questa passione, oltre che la sua vitalità, e le lascio poi la libera gestione dello studio medico del nonno Giovanni, chirurgo prima di lei. Come mio personalissimo ricordo le lascio poi i brillanti che indossai il giorno delle mie nozze. Infine, a mia nipote Silvia lascio la cascina in Umbria, ad Amelia, in via Cavour; lì potrà trovare,come me prima di lei, la tanto ambita pace. Le lascio inoltre il pianoforte bianco di Villa Ferrari, che sua madre soleva suonare nel pomeriggio, a cui ho tanto sperato di vederla seduta leggendo dei suoi successi di pianista. Come ultimo personale ricordo le rendo il mio anello di fidanzamento, accuratamente riposto, come gli altri gioielli, in banca.
    A Laura, Claudia, Sofia e Silvia lascio inoltre quattro bambole di porcellana provenienti dalla Normandia, simili a quelle che il nonno gli regalò quando erano solo delle bambine.
    Nella speranza di non aver dimenticato nessuno, chiedo alle mie eredi di ricordare la signora Amalia Da Dio, che ha fedelmente lavorato per la nostra famiglia da quando aveva poco più di sedici anni.
    Per quanto riguarda la mia morte, desidero che la funzione del mio funerale avvenga nella chiesa di Sant’Anna e che la mia tomba sia tra quella di mio marito e quella di mia figlia Adriana, nella cappella di famiglia al cimitero di Tritora
    18 maggio 2007
    Ginevra Taverna Ferrari

    Giacomo Sorvillo




    Le quattro ragazze erano sorprese da quel testamento e nessuna parlò. Il notaio aspettò qualche minuto prima di parlare e poi disse: “Vostra nonna mi aveva affidato anche questa”. A quel punto mostrò una busta bianca. “E’ per voi. Io non so cosa ci sia scritto ma ha detto che deve essere aperta dopo il funerale. A proposito di questo… me ne sono già occupato io: è oggi alle 17 nella chiesa di Sant’Anna”.
    “Ci saremo” rispose Claudia. Le altre tre annuirono, poi firmarono le altre pratiche per il testamento e salutarono il notaio. “Un’ultima cosa” disse Silvia “visto che sia nostra madre sia loro padre sono ancora vivi perché nostra nonna non ha lasciato a loro tutto?”.
    “Non sono la persona più idonea a dirvi questo” disse il notaio dispiaciuto “Ci vediamo in chiesa”.
    Poco dopo Sofia, Laura, Claudia e Silvia uscirono dalla stanza e, sempre in silenzio, scesero le scale. Laura aveva in mano la lettera della nonna e non appena chiusero il portone del palazzo parlò.
    “Allora? Come ci organizziamo?” disse sventolando la lettera.
    “Beh alle 17 c’è il funerale poi dobbiamo aprire quella” disse Sofia.
    “Ha ragione. Perché non andiamo a pranzo insieme? Giusto per conoscerci meglio?” propose Silvia. “E’ un’idea bellissima!” ribatté Claudia.
    “Va bene ma noi dovremmo ancora trovare ancora una pensione” aggiunse Sofia.
    “Anche noi, dovremmo. Possiamo provare a chiedere, no?”
    “Non ce ne sarà bisogno guardate lì? C’è un Bed & Breakfast. Vado a prendere le stanze?”
    “No. Ragazze ma andiamo alla Villa. Infondo è nostra!” disse Silvia tutto d’un botto.
    “Effettivamente non hai tutti i torti” rifletté Claudia prendendo la sua copia di chiavi “Allora si va?”. Le altre ragazze annuirono in silenzio. “Andiamo alle macchine?” propose Sofia.
    “Si, dai… andiamo” disse Laura avviandosi.
    “Un attimo!” le fermò Claudia “Che cosa mangiamo?”
    “Facciamo una cosa” spiegò Silvia “Io e Claudia andiamo a comprare qualcosa e ci vediamo alle macchine. In piazza Quattro Madonne, no?”
    “Si… allora ci vediamo lì” disse Claudia “Un po’ più avanti c’è un supermercato, vedete?”.
    “Ok, ma non metteteci troppo” disse Laura.
    “Tranquilla”. Claudia e Silvia si avviarono verso il supermercato mentre Laura e Sofia si incamminavano verso le auto.
    “La nonna ci ha fatto una bella sorpresa, neh?” disse Laura.
    “Già… peraltro io non la vedo da quando avrò avuto 9 anni o cosa”
    “Anche noi. E poi il fatto che abbia lasciato tutto a noi nipoti… non è strano? Cioè i suoi figli sono vivi e il notaio sa perché. Ci sono tante cose che non mi spiego”.
    “Infatti… anche io… “fece una breve pausa e poi chiese “E così sei una pittrice?”
    “Esatto. Sono anche assistente alla Facoltà di Storia dell’Arte”
    “Mi piacerebbe vedere qualcosa fatta da te”
    “Se non sbaglio dovrei avere un ritratto di Claudia nella mia cartellina. Gli altri hanno bisogno di essere rifiniti”.
    “Non importa…”
    “Tu sei un chirurgo invece, giusto?”
    “Oh si… a Santo Stefano a Latina. E ho due figli, Fabio e Roberta”
    “Quanto hanno?”
    “Fabio sei anni mentre Roberta quattro”
    “Li hai avuti prestissimo! Hai un anno più di me, no?”
    “Si… ho avuto Fabio a 22 anni. Mi sono sposata molto presto. Ma mia madre mi ha aiutato tanto e sono riuscita a terminare tutti gli studi”
    “Beata te… e tuo marito?”
    “Mi sono separata più di un anno fa da Ascanio, mio marito”
    “Oh mi spiace”
    “Un matrimonio si porta avanti in due. E io ero sola, da quando è nata Roberta. Sai, Ascanio è un buon padre ma… lavorava lontano, a Lucca, e ho scoperto per caso che aveva una relazione con una collega. Allora ho detto basta e l’ho lasciato”
    “I bambini sono con lui, adesso?”
    “Si… era a Latina, dove viviamo e mi ha fatto questo favore. Abbiamo un buon rapporto comunque, nonostante tutto. E tu? Fidanzato?”
    “Dopo diverse storie andate a male, ora sono single. Tu hai un nuovo compagno?”
    “No, e dove lo trovo il tempo?! Tra l’ospedale e i bambini non ho un attimo per me. Ma tu hai un’idea di come arrivare alla Villa?”
    “Assolutamente no!”
    “Va bene, vorrà dire che troveremo la strada a intuito”

    Intanto Claudia e Silvia erano entrate nel supermercato.
    “Certo che qui i negozi sono proprio piccoli, eh?” disse Silvia.
    “Hai ragione. Senti prendo del pesto? Lo mangiate?”
    “Si, certo. Io prendo un po’ di verdura per fare l’insalata russa. Vi piace?”
    “Moltissimo. Anche se sai che in Russia la “nostra insalata russa” la chiamano Insalata all’italiana?”
    “Davvero?”
    “Si, sono tornata lunedì da San Pietroburgo. È una città straordinaria”
    “Ci sei andata per lavoro?”
    “Si. Dovevo scrivere un pezzo sul Palazzo d’Inverno e così…”
    “Sei una giornalista?”
    “Si, una critica letteraria. Ma scrivo anche pezzi di cultura generale”
    “Ho capito… e scrivi per un giornale in particolare?”
    “Per Repubblica, attualmente. Tu invece sei una pianista?” disse afferrando un pacco di penne.
    “Si. Diplomata con 10 al conservatorio e laureata con 110 e lode in Storia della Musica. Sono una concertista adesso ma prima suonavo in una compagnia. Poi io ebbi successo e gli altri no. Ho cominciato a suonare come solista e ho finito da poco una tournee”
    “Fantastico. È un peccato che non ti abbia vista o meglio… sentita. Dove hai suonato?”
    “Era una tournee europea con tappe a Parigi, Madrid, Lisbona, Londra, Dublino, Berlino e Vienna. È stato un successo. Adesso però mi sono presa una pausa”
    “Io a San Pietroburgo ho terminato tantissimi articoli. Li ho consegnati tutti insieme e ho detto che mi prendevo un po’ dei miei due anni di ferie arretrate!”
    “Hai fatto bene… sono contenta di essere venuta qui. Anche se…”
    “C’è qualcosa di misterioso nell’aria?”
    “Esatto. Li prendo i cornflakes?”
    “Si. Io prendo il caffé e lo zucchero”.

    Un quarto d’ora dopo erano alle auto dove Laura e Sofia le aspettavano.
    “Scusateci, ma la cassiera era di una lentezza unica” disse Silvia.
    “State tranquille. Avete qualche idea su dove possa essere la Villa?”
    “Io ricordo che era sul lago” disse Claudia “quindi ci conviene costeggiare”.
    “Si hai ragione” disse Silvia caricando nel portabagagli la spesa. Si diresse verso le altre tre ma da dietro sbucò una macchina che inchiodò a pochi centimetri da lei.
    “Ma guarda dove vai!” disse Silvia un po’ spaventata. L’uomo in auto scese e disse “Ma guarda tu scusa! Eri in mezzo alla strada!”
    “Stavo attraversando!”
    “E io stavo guidando!”
    “Ma eri distratto!” urlò Silvia. L’uomo che era davanti a lei aveva i capelli non troppo corti ma abbastanza in disordine e gli occhi azzurri. “Si potrebbe dire lo stesso di te” rispose quello con fermezza.
    “Adesso basta. Rimettiti nella macchina e continui a guidare!”
    “La mattina cosa prendi al posto del caffé l’aceto?”
    “Ma come ti permetti, che nemmeno mi conosci?”
    Quello fece una risata e risalì in macchina, riprendendo la sua strada.
    “Poverino lo hai massacrato” scherzò Laura.
    “Se lo meritava” rispose Silvia ridendo.
    “Andiamo adesso prima che mia sorella si sfoghi su qualcun altro” disse in tono canzonatorio Sofia.
    Salirono tutte nelle rispettive auto e subito partirono alla ricerca della casa. Il lago risplendeva sotto la luce del sole e le persone in strada erano poche a causa del caldo.
    Erano arrivati ad un bivio e Laura stava automaticamente girando a sinistra quando la voce della sorella la fermò “No! Vai a destra!”
    “Ma perché?” obiettò lei.
    “Perché sento che a destra è la strada giusta!”
    Laura pensò che accontentare la sorella non le costava niente e così andarono a destra imboccando un lungo viale alberato. Verso la fine del viale Claudia fece segno di entrare in un vicolo. La strada per terra era ben fatta, ancora ben alberata. Era una strada chiusa: al termine di questa, infatti, c’era un cancello tra due colonne sulle quali erano posate due statue di angeli. Ma ciò che attirò l’attenzione delle ragazze fu la scritta sulle colonne “Villa Ferrari”.
    Claudia scese dall’auto per aprire il cancello e poi continuò a piedi. A terra c’erano dei piccoli ciottoli tondi e al centro del giardino una grande aiuola dove crescevano piccole margherite.
    Sofia e Laura avevano fermato le auto sulla parte sinistra del giardino e, insieme a Silvia, erano scese a guardare la villa. Agli angoli del giardino, quasi attaccate al muro, c’erano diverse siepi, molto ben curate, due erano a forma di cigno. Due aiuole erano state coltivate tra la scalinata marmorea e una porta. La grande Villa era color ocra anche se la tinta era alquanto scolorita. Tutti gli infissi erano ben chiusi.
    Le quattro cugine si diressero verso la porta e cominciarono a cercare la chiave giusta.
    “Provo io” disse Laura “Dovrebbe essere questa”. Era una chiave abbastanza grande e antica. La porta era molto robusta e Laura dovette imprimere un po’ di forza per riuscire ad aprirla.
    Non appena la serratura scattò Silvia, Sofia, Laura e Claudia si guardarono e quest’ultima spinse la porta. L’ultima a entrare fu Silvia che lasciò aperta la porta mentre Sofia accendeva la luce. Si trovarono in un piccolo atrio, a terra quattro cigni erano raffigurati in cerchio e alle pareti c’erano alcune nature morte. Silvia si era avvicinata a una porta e, abbassando lentamente la maniglia, spinse la porta ed entrò seguita da Sofia e Claudia. Laura si attardò un po’ a guardarsi intorno. Quando entrò si trovò nella cucina.
    “E qui dovremmo mangiare” disse Sofia. Passando un dito sul fornello aggiunse “Non è stata inutilizzata”.
    “Si, ma il frigo è vuoto!” disse Silvia.
    “L’avranno svuotato ieri o quando la nonna è stata ricoverata” azzardò Laura.
    “Andiamo a fare un giro?” propose Claudia. Le altre tre annuirono.
    Tornarono nell’atrio ed entrarono in un'altra stanza. Era un piccolo salottino in stile umbertino. I quadri alle pareti raffiguravano quelli che dovevano essere presumibilmente i loro antenati. In una cornice bianca sulla credenza c’era una foto a cui Sofia si avvicinò.
    “E’ il nonno”. Le altre tre la raggiunsero e si fermarono a fissare il quell’uomo.
    Era in banco e nero. Il nonno Giovanni nella foto dimostrava una sessantina d’anni. Se chiudevano gli occhi, Silvia, Sofia, Laura e Claudia potevano ancora sentire i baffi fastidiosi del nonno quando le baciava e vedere i suoi bei occhi azzurri. Era morto a sessantasei anni, il nonno. Vent’anni prima della consorte. E le quattro ragazze ebbero la sensazione che finché lui era stato in vita la famiglia era stata saldamente unita.
    Sofia riappoggiò la cornice sulla credenza e aprì la finestra. Affacciava sul giardino e, inspirando il profumo dei fiori lì intorno, sorrise.
    Intanto Claudia e Silvia erano andate in un’altra stanza.
    “Laura, Sofia correte! Venite a vedere!!”. Era Claudia che urlava. Leggermente allarmate le due cugine corsero nell’atrio e videro un’altra porta spalancata. Entrarono bruscamente e si trovarono in una veranda.
    I mobili erano tutti bianchi in vimini. Quattro poltroncine e due divanetti, un tavolino basso in vimini e una piccola credenza. Su una parete erano state attaccate tante foto di famiglia. La prima che saltò agli occhi delle ragazze fu quella che ritraeva Enrico e Cristina Ferrari da bambini. Dalle facce che avevano quando erano stati fotografati sembrava che avessero appena fatto una marachella. Nelle altre foto, alcune in bianco e nero, erano ritratti i nonni sposi o comunque giovani, Enrico e Cristina cresciuti, nei giorni delle loro rispettive nozze, loro quattro cugine insieme o in foto singole e nella foto centrale tutta la famiglia insieme.
    Laura poi si incamminò verso la porta che dava sul giardino. La spalancò e uscì. Si trovavano sul retro: c’era una ringhiera. Si sporse un po’ e si trovò a fissare il lago. Riusciva a intravedere la grotta su cui era stato posto il giardino. Alcune siepi di rose si intervallavano lungo il perimetro della ringhiera fino a un muro. Alzando lo sguardo si poteva scorgere un terrazzo e Laura sapeva che era quello dove tanti anni prima era caduta la bambola di Claudia. C’era una grande vetrata lungo il muro così Laura rientrò aprendo la porta di una stanza. Una targa sulla destra della porta diceva “Studio Medico Chirurgico del Dottor Giovanni Ferrari”.
    “Sofia!” gridò “Qui è il tuo ambito”. La cugina irruppe nella stanza. Un tipico studio medico era stato allestito in quella stanza. Un’intera parete ospitava libri medici di ogni tipo.
    “E’ fantastico qui. È vedendo tutto questo che ho cominciato a desiderare di diventare medico da bambina”. Laura sorrise da dietro la scrivania del nonno. Lo sguardo le cadde su una fotografia… quattro bambine con quattro bambole di porcellana.
    “Guardate che bella questa foto” disse rivolgendosi, oltre che a Sofia, a Claudia e Silvia.
    “Com’eravamo piccole” commentò divertita Silvia.
    “Ma quanti piani sono in questa villa?” chiese all’improvviso Sofia.
    “Altri due” rispose Claudia “Più la soffitta”. Detto questo si avviò nuovamente nell’atrio per vedere cosa c’era nell’ultima stanza rimasta su quel piano. Le altre tre ragazze invece guardavano le altre foto rimaste.
    “Guarda che carini qui i nostri gen…” Sofia non terminò la frase che si sentì l’urlo di Claudia rimbombare nella Villa.
    “Claudia!” Laura, decisamente spaventata, cominciò a correre verso l’altra stanza seguita a ruota dalle cugine. “Laura ma che succede?”
    Claudia indicò con un dito una tela e le tre ragazze rimasero di sasso. Quattro foto che ritraevano loro già adulte erano state sistemate su una tela con delle punesse.
    “C-come faceva la nonna ad avere QUESTE foto se i nostri genitori avevano tagliato i rapporti con lei?” chiese Silvia.
    Laura si era avvicinata alla tela. “Questa foto” disse indicando quella di Claudia “L’abbiamo scattata l’8 marzo a Villa Borghese. E questa” indicò la sua “me l’ha scattata papà a gennaio!”
    “Invece io in quella foto ero al bar con i bambini ad aprile e Silvia in questa foto…”
    “In questa foto io mi sto preparando per il concerto al San Carlo. Me l’ha scattata la mamma a febbraio!”
    “Chiamo papà!” disse subito Laura.
    “Io chiamo la mamma” fece eco Silvia.
    Sofia e Claudia, mentre le due ragazze uscivano in giardino, continuarono a muoversi in quella sala. “Guarda qui!” chiamò Sofia. Claudia corse accanto alla cugina e ciò che vide la lasciò a dir poco sbalordita.
    Un’intera parete era stata affrescata. Raffigurava una ragazza che si dondolava su un’altalena, dai fili di rose, attaccata ad un albero in una radura. Era tutto dipinto nei minimi dettagli e nell’angolo destro in basso riconobbero la firma della nonna
    Ginevra Taverna Ferrari
    “La nonna era bravissima” esclamò Claudia. “Non ho mai visto niente del genere!” ribatté Sofia. Claudia si girò e andò a sbattere contro una tela coperta. Chinandosi per raccoglierla alzò il velo e sorrise nel vedere il quadro: il nonno con i suoi due figli sull’erba, sorridente. Appoggiata al tavolo c’era un’altra tela coperta da un telo nero con una rosa bianca ricamata sopra. “Sofia… perché lì…?”. Indicò il quadro e la cugina, molto timorosa, sollevò il telo. Vi era dipinta una bambina di massimo sei anni sul letto. “E’ una bimba che dorme…” osservò Claudia. “N-no… è una bambina morta!” la corresse Sofia scioccata “Aiutami a girarlo”. Claudia con delicatezza aiutò la cugina a sollevare il quadro e ad girarlo sul tavolo.
    “Addio mia piccola Adriana. 17 agosto 1966”. Sofia aveva recitato le parole scritte dalla nonna dietro la tela. “Adriana… ma certo! E’… era la figlia della nonna. Nel testamento lei dice che vuole essere sepolta tra suo marito Giovanni e sua figlia Adriana, la sorella dei nostri genitori” concluse Claudia brillantemente. Sofia annuì e poi sussurrò “Era così piccola e così poco somigliante ai nostri genitori. Guarda: lei ha i capelli neri e la carnagione bianchissima. Mentre i nostri genitori hanno i capelli castano chiaro e la carnagione piuttosto dorata sin dalla nascita”.
    “E’ vero… sembra un po’… diversa” constatò Claudia.
    “NON NE SAPEVANO NIENTE!” urlò Silvia entrando infuriata nella stanza.
    “Papà ha detto che lui ha smesso di inviare foto alla nonna dal tuo tredicesimo compleanno, Cla” aggiunse Laura.
    “E nostra madre mi ha detto che le ultime nostre foto che la nonna avrebbe dovuto avere risalgono a quando te, Sofia, avevi quindici anni! E io tredici”
    “La cosa è inquietante” commentò Claudia. “Quasi quanto questo dipinto” aggiunse Sofia tornando a posare lo sguardo sul quadro.
    Laura e Silvia osservarono il quadro e ascoltarono la spiegazione delle rispettive sorelle.
    “Credo che i nostri genitori ci avrebbero parlato di una sorella morta, no?” chiese Silvia preoccupata.
    “Tutte le certezze che avevo sulla nostra famiglia stanno cominciando a crollare” ribatté Laura.
    Claudia sorridente rispose “Voltaire diceva Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola.
    Solo gli imbecilli sono sicuri di ciò che dicono. Io propongo un’indagine accurata”.
    “Io sono d’accordo” disse Sofia. Le loro sorelle annuirono e poi tutte insieme si diressero al piano superiore.
    L’atrio era grandissimo. Quadri d’ogni tipo e vasi di fina porcellana erano stati elegantemente disposti. La prima stanza in cui le ragazze entrarono fu la sala da pranzo. Un lungo tavolo era ricoperto interamente da una tovaglia bordeaux e le sedie intorno a questo erano in ferro battuto con i cuscini in tinta. Anche qui le pareti erano interamente affrescate ma l’esperto parere di Laura stabilì che non erano state dipinte dalla nonna. La sala successiva era enorme e quasi interamente vuota. Degli eleganti divani dell’epoca vittoriana erano appoggiati alle pareti, il soffitto era a volta, all’entrata e tra le porte d’accesso sul balcone c’erano delle colonne in pietra verde e a terra un lussuoso pavimento di granito completava lo splendore generale. In un angolo c’era il celebre pianoforte bianco, che la nonna aveva lasciato a Silvia. Sembrava che nessuno avesse usato quella stanza per tanto tempo.
    “Un tempo sarà stata piena di gente…” disse Claudia sognante.
    “Già… è assolutamente meravigliosa!” ribatté Silvia avvicinandosi al pianoforte, sui cui lati c’erano delle fantasie in oro.
    Sofia spalancò tutte le tende e aggiunse “Questo posto tornerà a fiorire… me lo sento!”.
    Claudia intanto era andata in un’altra stanza. Poco dopo la raggiunsero anche le altre. Aveva già spalancato le tende e si guardava intorno strabiliata. Era la “biblioteca casalinga” più grande che avesse mai visto. Gli occhi le luccicavano mentre con un dito scorreva i titoli di alcuni romanzi.
    “E’ fantastica!” disse Silvia. “Io direi meravigliosa!” squittì Claudia “Mi sembra la scena della Bella e la Bestia quando lui la porta lì dentro e… oh… guardate il soffitto!”.
    Tutte avevano alzato la testa. Il soffitto era interamente affrescato: in un cielo azzurro splendente cinque ninfe si tenevano per mano emanando uno strano luccicore. Gli scaffali bianchi sembravano splendere e il pavimento a terra, bianco e azzurro, era lindo e luccicante.
    “Chissà perché i nostri genitori ci hanno portato via da tutto questo!” sospirò Laura.
    Sofia alzò le spalle un po’ malinconica e poi si diresse fuori.
    “Qui dovrebbe esserci il salone” disse spingendo la porta. Innanzi alle quattro apparve un salone antico, diverso da quello del piano di sotto: più allegro, più usato, più vissuto. I mobili erano più chiari, c’era un altro pianoforte e un tavolo da biliardo e una grande tenda oscurava un’altrettanto grande vetrata. Sul balcone Claudia riconobbe il posto dove era caduta e aveva lasciato andare la bambolina. Parzialmente la terrazza era coperta da un elegantissimo porticato sotto il quale c’era un tavolo tondo dove si poteva pranzare all’aperto mentre nella parte scoperta della terrazza c’era un dondolo e un tavolino da caffé bianco in ferro con sedie abbinate. Le quattro ragazze si affacciarono al balcone guardando il panorama. Il lago non era molto esteso in larghezza ma era sicuramente molto profondo. Sofia improvvisamente si voltò e notò una piccola scaletta attaccata al balcone. Era stata fissata da un fabbro ed era in metallo. “Guardate” disse richiamando l’attenzione delle altre. Affacciandosi potevano notare che la loro casa aveva un accesso privilegiato alle rive del lago e anche una piccola barchetta attraccata.
    “Adesso si va alle camere da letto!” annunciò allegra Silvia “Fino ad adesso ho già contato sei bagni”. L’elegante scalinata era coperta da un tappeto verde smeraldo sul quale non c’era nemmeno un granello di polvere.
    Cominciarono a girare per le stanze. Erano sette e tutte elegantissime e ben tenute solo quelle dell’ala sinistra. Nella parte destra c’erano soltanto quattro stanze, naturalmente ogni stanza aveva il bagno personale. Laura spinse la porta della prima stanza dell’ala destra.
    “Non ci posso credere! La stanza di papà!”. Si guardarono intorno e le tracce del padre di Enrico Ferrari da giovane erano ben evidenti. Sul comodino c’era una foto di lui insieme alla sorella. Dovevano essere stati molto complici da bambini ma poi perché avevano impedito alle loro figlie di avere rapporti? Su uno scaffale troneggiavano modellini di macchine, aerei e motociclette insieme a diversi libri.
    Passarono alla stanza successiva, quella di Cristina. Sul letto c’erano una serie di cuscini e una bambola di porcellana che aveva anche nella foto che avevano visto in veranda e nel ritratto della famiglia presente nel salone al primo piano. Sul comodino un’altra foto sua e del fratello, un po’ più recente rispetto a quella presente in camera di Enrico. Un’intera mensola di bambole occupava parzialmente un grande scaffale. Poi c’erano libri, statuette di fatine o ballerine e qualche scrigno vuoto.
    La stanza successiva era la più tetra che avessero visto e tutte e quattro riconobbero la stanza dipinta dalla nonna nel quadro della morte della piccola Adriana. Non era aperta da molto tempo, la polvere era visibile ovunque. Sul letto vi era una coperta nera con una rosa bianca, simile al telo che copriva il quadro. Sul comodino una foto della bambina con sua madre e qualche bambola riempiva lo scaffale praticamente vuoto insieme a pochi libri di fiabe.
    “Questa stanza mi mette i brividi” obiettò Sofia. “Anche a me” disse Claudia “Andiamo nella prossima, vi prego”.
    L’ultima stanza della casa era quella dei nonni. Un enorme letto a baldacchino azzurro troneggiava nella stanza, i comodini erano anche questi azzurrini così come il lunghissimo armadio, lo scrittoio e il tavolino che si trovava al centro della camera. Attorno a questo due piccole eleganti poltroncine rosa e azzurre erano state disposte.
    “Questa stanza ha un che di magico” sussurrò Laura e il suo sguardo si posò, prima, sul comodino sinistro, dove troneggiava la foto del nonno e la nonna il giorno delle nozze, poi su quello destro, dove c’erano tre fotografie. Una di Enrico e Cristina adolescenti, un’altra della nonna Ginevra con la figlia Adriana e una di loro quattro piccole con la nonna.
    Tutte sorrisero ma poi Silvia, ponendo fine a quello strano incantesimo che si era creato, sbottò “Io veramente avrei un po’ fame” facendo scoppiare tutte a ridere.


    Nota di fine capitoli: Purtroppo un mio difetto è quello di associare ai personaggi che creo nella mia piccola testolina da adolescente a un'attrice o a un'attore. I personaggi, così come il paese, e ogni cosa descritta sono di mia invenzione. In ogni personaggio, specie nelle ragazze, ci sono degli aspetti del mio carattere o delle cose che comunque mi appartengono. Per esempio, quando Claudia dice di aspettare il principe azzurro a cavallo dell'unicorno bianco è una cosa che ho detto io a telefono con la mia amica Maria e anche negli aspetti più dolorosi loro più o meno mi assomigliano. Spero che vi piacerà...
     
    Top
    .
  2. M@ry_Me
     
    .

    User deleted


    ...veramente l'ho detto io l'unicorno!!
    quell'unicorno è il simbolo dell' onestà, della sincerita, x questo lo dissi ricordi???
    cmq è bellissima la storia...sei una (puntini sospensivi)
    xkè nn dici cm và a finire!!!
    aspetta aspetta ekko ci sono:
    i rispettivi genitori da bambini hanno ucciso la sorella adriana e poi una volta ke la madrea lo ha scoperto, erano abbastanza adulti da potersene andare per poter rompere qualsiasi forma di comunicazione presente tra loro e la madre, x questo la nonna ha lasciato tt alle nipoti e nn ai figli, perkè x lei i figli sn morti quando ha scoperto ke sn degli assassini!!

    sn un genio vero??????
    dillo ke và a finire così!!!
    cmq ti sei scordata un sakko di gente x esempio Ale, Giampy, Sergio...li hai buttati???
    fede il castello, cioè scusa la villa mi fa pensare ad un incrocio tra Rivombrosa e Villa Isabella!!

    P.S. a proposito di villa isabella quando andiamo sul set??

    baci baci
     
    Top
    .
  3. Stellin@_18
     
    .

    User deleted


    No, non sono psicopatica fino a questi livelli...
    Giampy non figura nel cast al momento.
    La villa è più o meno come te la immagini tu, un mezzo incrocio solo che in molte parti mi sono ispirata al Castello della Bella e la Besta.
    Il fatto dell'unicorno non mi ricordo chi lo disse ma ricordo che ci uscì che noi stavamo ancora aspettando "Il conte Ristori sull'unicorno bianco". Tra poco posto gli altri due capitoli.

    A villa Isabella ci andiamo quando torno ok?
     
    Top
    .
  4. Stellin@_18
     
    .

    User deleted


    Personaggi
    Laura Ferrari: Giulia Bevilacqua
    Claudia Ferrari: Vittoria Puccini
    Sofia Della Rosa: Claudia Pandolfi
    Silvia Della Rosa: Gabriella Pession
    Riccardo Bentivoglio: Simone Corrente
    Tommaso Carnevale: Alessandro Preziosi
    Diletta Carnevale: Cristina Moglia
    Daniele Diamante: Raul Bova
    Marcello Costagliola: Sergio Assisi
    Silvana Carnevale: Virna Lisi
    Antonia Da Dio: Isa Danieli

    Capitolo 3: Segreti di famiglia
    image

    [She – Elvis Costello]
    She
    May be the face I can't forget
    A trace of pleasure or regret
    May be my treasure or the price I have to pay
    She may be the song that summer sings
    May be the chill that autumn brings
    May be a hundred different things
    Within the measure of a day.

    She
    May be the beauty or the beast
    May be the famine or the feast
    May turn each day into a heaven or a hell
    She may be the mirror of my dreams
    A smile reflected in a stream
    She may not be what she may seem
    Inside her shell

    She who always seems so happy in a crowd
    Whose eyes can be so private and so proud
    No one's allowed to see them when they cry
    She may be the love that cannot hope to last
    May come to me from shadows of the past
    That I'll remember till the day I die

    She
    May be the reason I survive
    The why and wherefore I'm alive
    The one I'll care for through the rough and ready years
    Me I'll take her laughter and her tears
    And make them all my souvenirs
    For where she goes I've got to be
    The meaning of my life is

    She, she, she


    Erano le sedici e trenta. Le quattro cugine si stavano preparando, ognuna in una camera diversa. A tavola avevano scherzato e parlato a lungo ma poi la tensione per il funerale cominciò a farsi sentire.

    Sofia era davanti allo specchio. I capelli, sciolti come al solito, erano ben pettinati. Aveva indossato un tailleur nero con una maglia di seta rossa sotto. Le scarpe con i tacchi le davano un leggero fastidio. Si guardò allo specchio sfumando un po’ l’ombretto e poi sospirò preoccupata.

    Silvia si diede un’ultima spazzolata. Il trucco leggero le conferiva un aspetto etereo e i capelli appena legati sembravano splendere di luce propria. Aveva indossato un abitino nero con le maniche a tre quarti e una cintola che si annodava su un fianco. Prese la borsa nera dal letto e, tentando di sconfiggere l’ansia, uscì.

    Laura era pronta. Chiuse la borsa e andò alla scrivania. Il tailleur nero che aveva le metteva in risalto le curve, sotto aveva solo una camicetta bianca. Il rumore dei tacchi alti echeggiava nella stanza. Tra le mani prese un foglio. Lo schizzo del giovane incontrato al bar. Era appena accennato: voleva rifinirlo. Certo che ne stavano accadendo di cose strane… Lei che si metteva a fare lo schizzo del ritratto di uno sconosciuto.. mai accaduto… ma se pensava al suo sguardo dolce, al suo viso, al fisico… Laura scosse la testa. Non era il momento di mettersi a pensare a quell’uomo! Provando a cacciare via quel pensiero si fissò un’ultima volta allo specchio e andò via.

    Claudia sbuffò tentando di fissare una forcina tra i suoi capelli rossi. Aveva indossato un abito nero a mezze maniche e lungo fino a sopra il ginocchio. Le decoltè nere le davano un po’ fastidio: non sopportava i tacchi. Spazientita si diede una spazzolata e gettò via la forcina. Poi afferrando nervosamente una piccola borsa uscì fuori.
    Fu l’ultima ad arrivare nell’atrio. “Allora andiamo?” chiese bruscamente.
    “Si… usiamo la mia auto, ok?” disse Laura.
    Chiusero la casa e poi entrarono in auto. Tutte troppo nervose per parlare se ne stavano taciturne chi a stritolare i manici della borsetta, chi a torturare i propri capelli e chi a battere i piedi a terra.
    Pochi minuti dopo erano fuori la chiesa. Sofia guardò nervosamente l’orologio. Le 16:48.
    “Entriamo” disse tremante. Il rumore dei tacchi delle quattro rimbombò per tutta l’affollatissima chiesa. Le ragazze presero posto alla prima panca, riservata ai parenti.
    Dietro di loro c’era il notaio con sua moglie e un’anziana signora dai tratti familiari che singhiozzava sommessamente. Tante altre persone avevano gli occhi lucidi in chiesa. La signora Ginevra doveva essere molto amata in paese.
    Silvia voltandosi vide il suo “quasi investitore” e, nonostante in un primo momento fosse stata un po’ irritata, si fermò a guardarlo bene e a constatare che alla fine non era poi così male.
    Laura invece aveva incontrato lo sguardo di Riccardo Bentivoglio. Era seduto tra un uomo alto con gli occhi azzurri e una ragazza dagli occhi chiari dall’aria severa.
    Tuttavia una musica straziante distolse la sua attenzione. Il prete stava entrando e cominciò a celebrare la funzione. Alle quattro ragazze arrivavano, come pugnalate, le chiacchiere della gente scatenatesi dopo che il sacerdote aveva detto “… con grande dolore delle nipoti Sofia, Laura, Silvia e Claudia…”.
    “Ma guardale! Tornano dopo vent’anni…”
    “… si saranno prese di certo l’eredità…”
    “… per mangiarsela pezzo pezzo…”
    “… che vergogna… venire qui… al funerale…”
    “…povera cara signora Ginevra… tanto buona lei...”
    “… chissà quelle cosa hanno fatto…”
    “… saranno furbe di certo… con quei genitori…”
    “… eh si… i figli della signora Ginevra se ne sono andati via con il loro bel pezzo d’eredità…”
    “… e le nipoti la signora Ginevra non le ha mai più viste…”
    “… ma il problema non era questo.. era un altro…”
    “.. in ogni caso di quelle quattro non c’è da fidarsi…”
    “… questo mai… con quei genitori…”
    “… ladri i Ferrari…”
    “… la moglie di Enrico se ne scappò con un ballerino di flamenco, so…”
    “… e il marito della signorina Cristina pare che avesse un’altra famiglia in Messico…”
    “… brutta generazione questa”
    E via così… le chiacchiere sulle quattro cugine si susseguivano tra bisbigli in quella chiesa ma tutte quante tenevano alzata la testa, nonostante il dolore di quelle ingiustificate cattiverie bruciasse dentro di loro.
    Venti lunghi minuti e uscirono fuori la chiesa per prime pronte a ricevere le condoglianze.
    Facce ipocrite si dicevano tanto dispiaciute per la perdita “della cara Ginevra”, preoccupate per loro. Visi poco gentili le salutavano bisbigliando un condoglianze.
    “Condoglianze. Mi spiace tanto” la voce di Riccardo attirò l’attenzione di Laura.
    “E’ successo” balbettò.
    “Mi è dispiaciuto averla rivista in questa occasione spero ce ne saranno delle altre… vi fermerete in città?”
    “N-non saprei”
    “A presto allora…” disse Riccardo stringendole una mano forte.
    Subito dopo di lui arrivarono l’uomo e la donna che erano seduti in chiesa accanto a Riccardo, insieme ad un’anziana signora.“Sono Silvana Carnevale. Questi sono i miei figli, Tommaso e Diletta” spiegò.
    “Conoscevamo bene vostra nonna, una donna così buona…” disse la figlia Diletta, sinceramente dispiaciuta.“Se vi tratterrete in città vorrei avervi a casa qualche volta”.
    “Non ne dubiti, signora Carnevale” disse Silvia in tono rassicurante.
    Il figlio trentenne biascicò un “Condoglianze” e seguì la madre e la sorella.
    “Ehm.. condoglianze”
    “L’investitore!” sbottò Silvia “Grazie comunque…”
    “Mi spiace per oggi. Aveva ragione: ero distratto”
    “Non si preoccupi” rispose Silvia sbrigativamente, ma poco convinta.
    Intanto Sofia parlava con un uomo sui quarantaquattro anni.
    “Piacere sono Daniele Diamante. Ero l’avvocato di sua nonna e un caro amico di suo padre…”
    “Mio zio. Io sono la figlia di Cristina…” spiegò Sofia.
    “Ma certo… dovevo immaginarlo. Le somiglia un po’”
    “Grazie. Senta magari uno di questi giorni può passare a casa. Io e le mie cugine avremmo bisogno di diverse spiegazioni.”
    “Certo… dunque…” si frugò nelle tasche “ecco qui. Questo è il mio biglietto da visita”.
    “Oh, grazie” disse Sofia accennando un sorriso.
    “Di nulla…”
    “Voi forse non mi ricordate… io sono Antonia Da Dio. Sono stata la governante della villa per cinquat’anni” disse una donna anziana.
    “Oh… signora ma perché non viene con noi un po’ a casa. Nostra nonna ci ha chiesto di ricordarla nel suo testamento”
    “Grazie, signorina Claudia… si vi ho riconosciuto… quegli occhi e quei capelli non sono di chiunque…” rispose sorridente la donna.
    Claudia ricambiò un sorriso e, mentre Laura e le cugine liquidavano gli ultimi rimasti, condusse alla macchina la signora Antonia.
    “Sono passati vent’anni dall’ultima volta che v’ho visto…” disse singhiozzando.
    “Stia calma adesso. A casa ci racconterà tutto.. con ordine” la rassicurò Claudia.
    Le altre le raggiunsero rapidamente e poi arrivarono alla villa.

    Erano sedute in terrazza sotto il portico con delle tazze da tè in mano quando la signora Antonia cominciò il suo racconto.
    “Arrivai in questa casa che tenevo sedici anni. Mia cugina Mariuccia lavorava qui e mi aveva trovato un posto. Si stavano preparando il battesimo della signorina Cristina. Era il 1957. Mi raccontarono delle nozze tra il signor Giovanni, pace all’anima sua, e la povera signora Ginevra. Io ero stata messa a lavare i piatti in cucina e la cucina, si sa, è il luogo delle chiacchiere. Insomma a farla breve si seppe che la signora Ginevra al signor Giovanni non lo voleva. Lui era un donnaiolo, un casanova ma il vero scandalo era che lei si era innamorata di un sottufficiale pugliese senza nemmeno una lira in tasca e si diceva che si fosse compromessa. Ma alla fine la ragione paterna la obbligò a sposare il signor Giovanni e circa un anno dopo nacque vostro padre Enrico” disse rivolta a Laura e Claudia “sembravano felici insieme e infatti nel 1957, esattamente due anni dopo la nascita del signor Enrico, arrivò la signorina Cristina. Per un paio d’anni si stette tranquilli finché tornò il grande amore della signora Ginevra, il pugliese, che era diventato maresciallo. Il signor Giovanni, di nuovo pace all’anima sua, si occupava solo dei figli e degli affari e la moglie, lei sola stava. E… ragazzì… la carne è debole. Dajè e ridajè, un giorno la signora non si ritira. Enrico e Cristina, di cui io mi occupavo, piangevano e si faceva sempre più tardi. Insomma quando torna il signor Giovanni, molto alterato, consola i figli, li mette a letto e va alla ricerca della moglie. Tornò la sera dopo con la signora Ginevra e, lei, la mise a dormire in un’altra stanza per tanti mesi. Comunque fatto sta, che da quella tresca vostra nonna aveva concepito un figlio… anzi precisamente una figlia, Adriana. Ora io non è che sono più affezionata ai vostri genitori ve lo dico ma mentre loro erano paffutelli, in forma, sorridenti, sani, biondi e con gli occhi chiari, Adriana era uno scheletro, sempre a piangere, continuamente malata e nera nera. Vostro nonno la riconobbe ma non le rivolse mai un buffetto né qualcosa. Tra lui e la signora Ginevra dire che le cose andassero male è poco. Si rivolgevano a stento la parola finchè… era l’agosto 1966 e vostro nonno era uscito con i due figli a pesca. La signora Ginevra stava qua in terrazza con Adriana. Non se ne separava mai. Era la sua prediletta. Comunque, io c’ero quel giorno, ricamavo insieme a lei… salì una domestica e distrasse sia me sia lei e non ci accorgemmo che la povera Adriana era salita in piedi sulla sedia e si era arrampicata sulla ringhiera. A un certo punto scivola e noi sentiamo l’urlo della bambina. Ci affacciammo e c’era lei che tentava di rimanere a galla… ma la bambina non sapeva nuotare e quindi chiama Tizio chiama Caio, quando la bimba viene riportata su era già molto grave. Arrivò il dottore, Giacomo Carnevale, il figlio Tommaso è medico come lui, e la bambina non riesce a riprendersi. Non appena arrivò il signor Giovanni coi due figli, la signora Ginevra cominciò a urlare e là sapemmo che la piccola Adriana non c’era più. Seguirono mesi di grande dolore e solo il signor Giovanni riuscì a far uscire dalla depressione e dall’annullamento la moglie. Ritornarono a dormire insieme e ad andare d’accordo. I figli crebbero e poi si sposarono. E finalmente questa casa rivide giorni felici. Specie nell’arco di quei tre anni in cui nasceste voi quattro. Prima Sofia, poi Laura e nello stesso anno a due settimane di distanza arrivarono anche Silvia e Claudia. Venivate qui così spesso. Poi vostro nonno si ammalò e dopo un anno di dura malattia, il Signore se lo portò. Era aprile… e a settembre, vostra madre” disse guardando Claudia e Laura “se ne andò di casa. Vi stabiliste qui e anche la signora Cristina era qui, stufa di sopportare le insolenze di suo marito” Silvia e Sofia annuirono comprensive “I due fratelli si misero in testa di rimettere a posto studio e altre stanze della casa. Trovarono delle carte e chiamarono la madre. Urla, scenate, pianti e voi tutte la sera stessa eravate tornate a Roma. Da allora arrivavano raramente lettere dei vostri genitori sulle vostre condizioni. Poi la signora Cristina decise che vi sareste trasferite a Bergamo e perse i contatti anche col fratello. Con la loro madre il rapporto si era logorato e la povera signora Ginevra non aveva più notizie di voi e così assunse un detective per avere informazioni e foto su di voi. Tutto raccolto in un album, fino a ieri l’altro. Negli ultimi giorni della sua malattia mi diceva: - Antonia, passami l’album. Voglio guardare un poco le mie bambine. E stava ore e ore a guardare quell’album a raccontarmi aneddoti che già conoscevo e logorarsi dal dolore per non avervi salutato” Claudia e Sofia piangevano, mentre a Laura tremava il mento “Ma venendo qui tutte insieme e cominciando a conoscervi avete fatto esattamente ciò che lei voleva. Non avrebbe sopportato che anche voi vi perdeste”.
    “Signora Antonia… le andrebbe di tornare a fare la governante qui?” chiese Sofia con voce sommessa.
    “Oh ma veramente io…” stava per replicare lei.
    “Sa ho intenzione di rimanere un po’ qui e presto arriveranno i miei figli mi piacerebbe che lei rimanesse qui, almeno fino a settembre”
    “Si signora rimanga” chiese Laura supplichevole.
    “E va bene. Da domani torno qui. Ora me ne vado” e baciandole sulle guance andò via.

    La sera le ragazze decisero di andare a prendere un aperitivo. Prendono l’auto di Laura e chiedi a destra, chiedi a sinistra arrivano a un bar su una collina. Chiacchierano prendono una birra poi qualche stuzzichino e continuano a raccontare di sé.
    “Ragazze, per dindirindina, è quasi mezzanotte. Sbrighiamoci che chissà come ci arriveremo a casa da quassù!” disse Laura.
    “Si, infatti andiamo. Domani sarà una giornata…” cominciò Sofia.
    “… a dir poco piena!” concluse Silvia.
    “Su, via, scattare” le canzonò Claudia entrando in auto e mettendosi con Silvia sul sedile posteriore mentre Laura si metteva alla guida e Sofia accanto a lei.
    “L’avvocato della nonna è stato molto gentile” disse Sofia.
    “Infatti ho visto come lo guardavi!” ribatté Silvia,
    “Ma se era la prima volta che lo vedevo!”
    “Qui scoccherà una scintilla…!” disse Claudia enfatica.
    Laura sorrideva e pensò a Riccardo, alla sua stretta vigorosa e a quella voglia irrefrenabile di cercarlo. Mentre si perdeva in quei pensieri una figura indistinta apparve sulla strada. Sgranò gli occhi senza premere ancora il piede sul freno. Una donna dai capelli rossi, identici a quelli di Claudia, con un vestito bianco e rosso era ferma sulla strada.
    Subito Laura frenò ma la donna scomparve, come per magia. Stava tremando e la voce terrorizzata di Claudia sussurrò “L’avete vista anche voi?”.

    Capitolo 4: Al chiaro di luna

    image

    [Dolcenera – Fabrizio De Andrè]

    Amiala ch'a l'arìa amia
    cum'a l'é cum'à l'é
    amiala ch'a l'arìa amìa
    ch'a l'é le ch'a l'é le
    Amiala cum'a l'aria amia
    amia cum'a l'é
    amiala ch'a l'arìa amìa
    ch'a l'é le


    Guardala che arriva guarda
    com'è com'è
    guardala come arriva guarda
    che è lei che è lei
    guardala come arriva guarda
    guarda com'é
    guardala che arriva guarda
    che è lei che è lei


    Nera che porta via
    che porta via la via
    nera che non si vedeva
    da una vita intera
    così dolcenera nera
    nera che picchia forte
    che butta giù le portee ch'a l'é le
    nu l'é l'aegua ch'a fa baggià
    imbaggià imbaggià non è l'acqua che fa sbadigliare
    (ma) chiudere porte e finestre
    nera di malasorte
    che ammazza e passa oltre
    nera come la sfortuna
    che si fa la tana dove non c'è luna
    nera di falde amare
    che passano le bare
    atru da stramuà
    a nu n'à a nu n'à


    altro da traslocare
    non ne ha non ne ha


    ma la moglie di Anselmo
    non lo deve sapere
    che è venuta per me
    è arrivata da un'ora
    e l'amore ha l'amore
    come solo argomento
    e il tumulto del cielo
    ha sbagliato momento
    Acqua che non si aspetta
    altro che bendetta
    acuqa che porta male
    sale dalle scale
    sale senza sale sale
    acqua che spacca il monte
    che affonda terra e ponte
    nu l'è l'aegua de 'na rammà
    'n calabà 'n calabàma la moglie di non è l'acqua di pioggia
    (ma) un gran casino
    Anselmo
    sta sognando del mare
    quando ingorga gli anfratti
    si ritira e risale
    e il lenzuolo si gonfia
    sul cavo dell'onda
    e la lotta si fa scivolosa e profonda


    amiala cum'a l'arìa amìa
    cum'a l'é cum'a l'é
    amiala cum'a l'arìa amìa
    ch'a l'è le ch'a l'é le guardala come arriva guarda
    com'é com'é
    guardala come arriva guarda
    che è lei che è lei
    Acqua di spilli fitti
    dal cielo e dai soffitti
    acqua per fotografare
    per cercare i complici da maledire
    acqua che stringe i fianche
    tonnara di passanti
    atru da camallà
    a nu n'à a nu n'à altro da mettersi in spalla
    non ne ha non ne ha
    oltre il muro dei vetri
    si risveglia la vita
    che si prende per mano
    a battaglia finita
    come fa questo amore
    che dall'ansia di perdersi
    ha avuto in un giorno
    la certezza di aversi
    acqua che ha fatto sera
    che adesso si ritira
    bassa sfila tra la gente
    come un innocente che non c'entra niente
    fredda come un dolore
    Dolcenera senza cuore


    atru da rebellà
    a nu n'à a nu n'à altro da trascinare
    non ne ha non ne ha
    e la moglie di Anselmo
    sente l'acqua che scende
    dai vestiti incollati
    da ogni gelo di pelle
    nel suo tram scollegato
    da ogni distanza
    nel bel mezzo del tempo
    che adesso le avanza
    così fu quell'amore
    dal mancato finale
    così splendido e vero
    da potervi ingannare
    Amiala ch'a l'arìa amia
    cum'a l'é cum'à l'é
    amiala ch'a l'arìa amìa
    ch'a l'é le ch'a l'é le
    Amiala cum'a l'aria amia
    amia cum'a l'é
    amiala ch'a l'arìa amìa
    ch'a l'é le ch'a l'é le Guardala che arriva guarda
    com'è com'è
    guardala come arriva guarda
    che è lei che è lei
    guardala come arriva guarda
    guarda com'é
    guardala che arriva guarda
    che è lei che è lei


    Rimasero lì zitte e spaventate per diversi minuti. Poi Laura riacquistando la sua solita fermezza ricominciò a guidare tranquillamente e disse tremante “Magari è stata solo un’illusione ottica…”.
    “S-si… le luci dei due lampioni che si sono incrociate e…” balbettò Sofia.
    Quindici minuti dopo erano a casa, sedute in veranda a prendere una camomilla.
    “Domani arrivano i bambini” disse Sofia.
    “Che bello!”
    “Non li vedo da un sacco…” rifletté Silvia.
    “Ma… secondo voi… era davvero un’illusione ottica?” chiese Laura.
    Le facce di Silvia e Claudia cambiarono all’improvviso, se prima erano solo preoccupate adesso erano a dir poco terrorizzate.
    “Ragazze se adesso non possiamo neanche…” cominciò Sofia ma quando Silvia indicò qualcosa alle loro spalle avvertì una brutta sensazione. Lei e Laura si voltarono di scatto e la donna, o meglio il fantasma della donna, visto prima era apparso e “galleggiava” sul pavimento. Stavolta la osservarono bene, somigliava terribilmente a Claudia, la grossa camicia da notte bianca ricamata alle maniche e all’orlo sembrava essere troppo grande per il suo corpo ma ciò che attirò l’attenzione delle ragazze fu attirata dalla grossa chiazza di sangue sul ventre e da una mano, anche questa, sporca di sangue.
    Laura si alzò e in quel momento la donna scomparve.
    “Stavolta non era un’illusione ottica però, eh?” disse Silvia.
    “E’ così simile a me…” sussurrò Claudia “E’ stata uccisa ed è come se stesse cercando di dirci qualcosa!”.
    “Ci penseremo domani, adesso andiamo a letto…” disse Laura categorica.
    “Per la prima volta da quando avevo otto anni ho paura di dormire da sola…” disse Silvia. In circostanze normali avrebbero riso ma quella non era assolutamente una situazione normale.
    “Il letto della nonna se ci stringiamo un po’…” suggerì Sofia.
    Dopo neanche dieci minuti erano nell’enorme letto della nonna a tentare di sistemarsi.
    “La, così mi fai male!”
    “Ahia Claudia, mi hai dato un calcio!”
    “Silvia, hai i piedi freddi!”
    “Sofia, fatti più in là…”
    “Ma più in là cado!”
    Mezz’ora di battibecchi bastò per decidere le posizioni: Silvia e Claudia all’esterno e Laura e Sofia all’interno.
    “E adesso chi la spegne la luce?” disse Laura “Io sicuramente NO!”.
    “Neanche io…” disse Silvia.
    “Vado io, vigliacche” le canzonò Claudia ridendo e mentre il rumore dei suoi passi echeggiava per la grande stanza le tre cugine ridevano e a Claudia sembrò di aver già vissuto quella situazione, tanti e tanti anni prima.
    “Dov’è l’interruttore?” chiese con le mani sui fianchi.
    “Ma lì a destra!” disse Sofia.
    “A destra di cosa?”
    “Della porta!”
    Claudia si avviò verso la porta e si fermò un secondo a guardarsi allo specchio. “Guarda che capelli” pensò tra sé e sé e cominciò a sistemarsi i capelli e a guardarsi le occhiaie. Una figura femminile apparve dietro di lei circondata da un alone bianco. Continuò a fissare nello specchio la figura. Avevano gli stessi capelli e lo stesso fisico ma gli occhi della donna erano neri come la pece e il volto era scavato, probabilmente da una grave malattia. Eppure quella macchia sul ventre… Claudia si girò bruscamente e il fantasma scomparve ancora. Spense la luce e tornò a letto. Continuò a scherzare ancora un po’, prima di addormentarsi, ma qualcosa dentro di lei la rendeva profondamente triste e, più che spaventata, sospettosa.
    Una donna in camicia da notte bianca camminava sulla riva del lago. No, era proprio sul lago… il suo riflesso si poteva intravedere sull’acqua illuminato dalla luce della luna. La donna ballava sola al suono di una dolce melodia. Facendo una giravolta si cambiò d’abito e sembrò indossare un vestito verde lungo di seta con un nastro attorno alla vita. Rideva mentre ballava poi si fermò perché qualcuno la chiamava. “Amore, amore…”. Lei si girò ridendo e fece per avvicinarsi a colui che la chiamava. Ma improvvisamente i pianti di un bambino e una voce infantile che urlava “Mamma! Mamma!” la costrinsero a girarsi nella direzione opposta. Voci urlanti indistinte cominciarono a rimbombare ma una le sovrastò più delle altre. “Peccato! Peccato!”. Adesso la donna aveva di nuovo la lunga camicia bianca e urlava disperata e sofferente. Poi dopo un grido più forte degli altri cadde con un movimento innaturale fu inghiottita dalle acque.
    Claudia si svegliò spaventata. Quel sogno, quella donna. Stava tremando nonostante il lenzuolo in pieno giugno. Accanto a lei Laura, Silvia e Sofia dormivano placidamente. Si alzò tentando di fare piano e, sentendosi percossa da un brivido di freddo, prese la vestaglia appoggiata su una delle poltroncine, la indossò e strinse la cintura in vita. I piedi scalzi erano gelati e andò alla disperata ricerca delle pantofole. Dove poteva averle messe? Alla fine riuscì a prendere gli infradito di sua sorella Laura, che fortunatamente aveva il suo stesso numero di piede. Nell’ombra della casa scese in cucina e prese un bicchiere d’acqua. Ormai il sonno era andato, lo sapeva, inutile tentare di riaddormentarsi. Decise di andare in terrazza a lavorare con il suo notebook. Non lo aveva neanche acceso che alzando gli occhi sul lago e ricordando il sogno appena fatto, richiuse istintivamente il portatile. Non era il caso neanche di lavorare. Si avviò verso la ringhiera e guardò nel lago il riflesso della luna. Di nuovo il sogno le tornò alla mente. Sembrava tutto così reale. Una parte di sé le diceva che era solo un sogno, che si era fatta suggestionare da un’apparizione mentre un’altra diceva che non era un semplice sogno, che doveva indagare e lei sapeva già cosa avrebbe fatto. Stava per tornare a sedersi quando il suo sguardo si poggiò sulla scaletta che conduceva alle rive del lago. “Ma si… tanto cos’ho da fare?” borbottò tra sé e sé e arrampicandosi alla meglio riuscì a scendere. A terra c’erano dei bei ciottoli lisci e l’aria del lago le dava adesso un senso di tranquillità. I lunghi capelli rossi erano scossi dal vento e gli occhi verdi si perdevano tra l’acqua e il cielo. L’abbaiare di un cane echeggiò nel silenzio della caletta e un grosso aski si avvicinò a Claudia cominciando a giocherellarle intorno.
    “Ehi…” Claudia si era inginocchiata e lo stava accarezzando. Una figura maschile adesso la sovrastava. Lei alzò lo sguardo e incrociò quello di un bell’uomo, un trentenne, che le tendeva la mano per rialzarsi. Lei, spinta da un’innata fiducia, afferrò quella mano così rassicurante e si rialzò.
    “Scusi, non volevo infastidirla. Ma lui è fatto così” disse giocando con il cane.
    “No! Ma si figuri. Non mi ha fatto niente…” e continuò a giocare con lui “ … come si chiama?”
    “Athos” rispose lui.
    “Come uno dei tre moschettieri” constatò Claudia sorridendo.
    “Esatto” sorrise lui “comunque io sono Tommaso, Tommaso Carnevale”.
    “Oh piacere Claudia… Claudia Ferrari” disse lei afferrando di nuovo la sua mano.
    “Mi dispiace per tua… voglio dire sua… nonna”
    “Anche a me… e comunque possiamo anche darci del tu” scherzò.
    “Oh va bene. E allora cosa ci fai qui in piena notte?”
    “Potrei rivolgerti la stessa domanda…”
    “Il galateo vuole che si lasci la precedenza alle signore”
    “Ma io sono signorina” rise lei. Quella serata si stava mettendo fin troppo bene. “Comunque non riuscivo a dormire e sono venuta qui”.
    “Non era meglio tentare di riaddormentarsi, signorina?”
    Lei sorrise e poi sussurrò “Non ci sarei riuscita… è da quando ero piccola che… quando la notte mi sveglio non riesco a dormire…”
    “Allora diciamo che abbiamo già un grosso punto in comune. Io vengo spessissimo qui. Stare vicino al lago mi rilassa, anche se sono tornato da poco. Ho vissuto tre anni a Milano”.
    “Ah… e che lavoro fai?”
    “Il medico, più di una volta ho visitato tua nonna…”
    “Pensa che io non la vedo da quando avevo…” chiuse gli occhi per fare il conto e poi disse malinconica “non la vedo da quando avevo poco più di sei anni. Credo che la mia insonnia sia cominciata da qui… per colpa del lago…”
    “Ah si?”
    “Ci persi la mia bambola preferita o forse qualcosa di più… non mi piace ricordare il mio passato”.
    “Neanche a me… visto un altro punto in comune… tu? Cosa fai nella vita?”
    “La giornalista. Critica letteraria nello specifico ma poi scrivo anche altro”
    “Lo so…”
    “Cosa?”
    “Che scrivi anche altro e il resto…”
    “Ah si?” lei lo guardò curiosa, aveva le braccia incrociate e un sopracciglio alzato.
    Lui prese un ciottolo da terra e lo lanciò facendolo rimbalzare nel lago “So tantissime cose di te, di tua sorella e delle tue cugine. Tua nonna veniva spesso a casa mia e ce ne parlava”.
    “Ho capito… e non potevi dirmelo prima?”
    “Se te lo avessi detto avresti pensato che ero un maniaco. Sapere tante cose di te… anche dove vai dal parrucchiere... è a piazza del Popolo, il tuo non è vero?”
    “S-si ma…” esclamò lei sconvolta.
    “E poi tu sei qua in camicia notte alle…” guardò l’orologio “tre… non è decoroso per una signorina, lo sai?” e scoppiò a ridere. Claudia non avrebbe voluto ma ne fu inevitabilmente contagiata.
    “Non mi era mai successo.” Disse lui a bassa voce mentre lei si sedeva su una roccia.
    “Di chiacchierare con una perfetta sconosciuta, anzi no, con una ragazza che conoscevi solo tramite i racconti di sua nonna morta che ha incrociato te e il tuo cane alle tre e mezzo del mattino e indossa solo una vestaglia e una camicia da notte? Neanche a me sai…” disse lei sorridente.
    “Si, intendevo proprio quello…” la sua voce era serena ma, così come i suoi occhi, celava una grande malinconia. Claudia sentì nascere dentro di lei la voglia di chiedergli cosa c’era che non andava, di confortarlo e, se fosse stato necessario, di abbracciarlo. Ma non lo fece. Non poteva farlo. A che diritto? Si poteva ascoltare distintamente una musica, seppur proveniente da lontano. Era una canzone familiare ma Claudia non prestava attenzione a quello. Cominciava a interrogarsi… come poteva provare dell’affetto, della tenerezza e, forse, addirittura dell’attrazione? Oddio, ma che stava pensando e con un brusco movimento della testa, sembrò allontanare del tutto quei pensieri.
    Tommaso, d’altro canto, guardava ammirato quella giovane ragazza. Da quando la signora Ginevra gli aveva mostrato le foto delle nipoti, Claudia aveva sempre avuto, ai suoi occhi, una luce particolare, di singolare bellezza. E adesso che la conosceva cominciava ad esserne sempre più incuriosito. Le note di “Dolcenera” di De Andrè cominciarono a giungere prepotenti alle sue orecchie suggerendogli un’idea alla quale era troppo difficile non cedere.
    “Ti va di ballare?” chiese lui all’improvviso.
    “Qui?”
    “E dove sennò?” ribatté Tommaso.
    “Ma si, dai” disse lei entusiasta afferrando la mano che Tommaso, per la terza volta le porgeva.

    Amiala ch'a l'arìa amia
    cum'a l'é cum'à l'é
    amiala ch'a l'arìa amìa
    ch'a l'é le ch'a l'é le
    Amiala cum'a l'aria amia
    amia cum'a l'é
    amiala ch'a l'arìa amìa
    ch'a l'é le


    Guardala che arriva guarda
    com'è com'è
    guardala come arriva guarda
    che è lei che è lei
    guardala come arriva guarda
    guarda com'é
    guardala che arriva guarda
    che è lei che è lei


    Una giravolta. Il braccio di lui sulla sua schiena, una mano di lei sulla sua spalla e ballare così a ritmo di musica, nascosti al mondo intero.
    “Però te la cavi bene…” constatò Tommaso divertito.
    “Che cosa credevi?” lo canzonò lei, venendo attratta verso di lui con un rapido passo di ballo.

    Nera che porta via
    che porta via la via
    nera che non si vedeva
    da una vita intera
    così dolcenera nera
    nera che picchia forte
    che butta giù le portee ch'a l'é le
    nu l'é l'aegua ch'a fa baggià
    imbaggià imbaggià non è l'acqua che fa sbadigliare
    (ma) chiudere porte e finestre
    nera di malasorte
    che ammazza e passa oltre
    nera come la sfortuna
    che si fa la tana dove non c'è luna
    nera di falde amare
    che passano le bare
    atru da stramuà
    a nu n'à a nu n'à


    altro da traslocare
    non ne ha non ne ha


    “Lo sai che canzone è questa?” la prese in giro lui, convinto che Claudia ne ignorasse il titolo.
    “Certo che lo so! È Dolcenera” affermò convinta e soddisfatta tra le sue braccia.
    “E sai anche di chi è?”
    “E’ di Fabrizio De Andrè…”rispose lei fiera. Lui ridacchiando disse “Ti sei preparata per la lezione?”. E lei questa volta non ribatté, ma rise sonoramente e buttò indietro la testa smuovendo i capelli.

    ma la moglie di Anselmo
    non lo deve sapere
    che è venuta per me
    è arrivata da un'ora
    e l'amore ha l'amore
    come solo argomento
    e il tumulto del cielo
    ha sbagliato momento
    Acqua che non si aspetta
    altro che bendetta
    acqua che porta male
    sale dalle scale
    sale senza sale sale
    acqua che spacca il monte
    che affonda terra e ponte
    nu l'è l'aegua de 'na rammà
    'n calabà 'n calabàma la moglie di non è l'acqua di pioggia
    (ma) un gran casino
    ma la moglie di Anselmo
    sta sognando del mare
    quando ingorga gli anfratti
    si ritira e risale
    e il lenzuolo si gonfia
    sul cavo dell'onda
    e la lotta si fa scivolosa e profonda


    “Ma come mai la caletta è così piccola e riservata?” chiese Claudia mentre ballavano.
    “Perché i nostri schifosamente ricchi antenati hanno fatto scavare per le loro altrettanto schifosamente ricche mogli una caletta dove le poverine potevano abbronzarsi quando ancora non si andava in vacanza”.
    Claudia ridacchiò di nuovo e il volto di Tommaso si illuminò improvvisamente.

    amiala cum'a l'arìa amìa
    cum'a l'é cum'a l'é
    amiala cum'a l'arìa amìa
    ch'a l'è le ch'a l'é le guardala come arriva guarda
    com'é com'é
    guardala come arriva guarda
    che è lei che è lei
    Acqua di spilli fitti
    dal cielo e dai soffitti
    acqua per fotografare
    per cercare i complici da maledire
    acqua che stringe i fianchi
    tonnara di passanti


    Adesso stavano in silenzio, ballavano e si guardavano negli occhi. Due sconosciuti fino a qualche ora prima. I loro sguardi sognanti facevano presagire l’inizio di un idillio…

    atru da camallà
    a nu n'à a nu n'à altro da mettersi in spalla
    non ne ha non ne ha
    oltre il muro dei vetri
    si risveglia la vita
    che si prende per mano
    a battaglia finita
    come fa questo amore
    che dall'ansia di perdersi
    ha avuto in un giorno
    la certezza di aversi


    Adesso lui la stringeva solo un po’ più forte e le sorrideva rassicurante. Ma il latrato di Athos li costrinse a staccarsi e a interrompere quel piacevole ballo.
    “Si è fatto tardi… è meglio che vada. Comincia a far freddo” disse lei sfregandosi le mani sulle braccia mentre Tommaso agganciava ad Athos il guinzaglio.
    “Se vuoi ti do la mia felpa. Sai… ci sono abituato a queste passeggiate in riva al lago…”
    “Io sono abituata alle notti al computer a finire gli articoli. Comunque io devo fare pochi passi e sono arrivata. Invece tu… deduco… abiti più lontano”.
    “Si, infatti. Alla fine della caletta…” fece una pausa e poi mentre lei si stava allontanando disse tutto d’un fiato “Se ti invitassi a casa verresti? Con le tue cugine e tua sorella, naturalmente…”.
    Lei si riavvicinò pensierosa “Solo se a casa tua hai il chiaro di luna artificiale!”. “Che cretinata ho detto?! Mm… voglio il rewind e ridire questa battuta. Sceneggiatori!!”.
    Lui rise e, riuscendo a percepire il suo respiro per la vicinanza, disse: “Non ce l’ho ancora ma per te… potrei fare un’eccezione ma mi devi dare un po’ di tempo…”.
    “Se sono così importante allora posso anche fare a meno della luna artificiale e allora…” si interruppe.
    “E allora?” chiese lui incoraggiante.
    “Beh allora forse potrei prendere in considerazione l’invito” disse con tono canzonatorio e allontanandosi. Lui però la riafferrò subito con una mano avvicinandola a se.
    “Si o no?” disse un po’ divertito.
    Lei si svincolò dalle sue braccia e alzò le spalle. “Buonanotte” sussurrò sfiorandogli la mano e allontanandosi correndo via.
    Tommaso la guardava salire goffamente la scaletta e arrampicarsi poi sulla ringhiera. Poi lei si voltò e alzando una mano lo salutò. Lui fece lo stesso e poi, trascinato da Athos, si avviò verso casa sua.

    Claudia lo vedeva andare via. Era diverso da tutti gli uomini che aveva conosciuto. Ma forse era troppo presto per dirlo. Si avviò verso il tavolo e prese in notebook rientrando in casa.
    Salì subito al piano di sopra. Si sarebbe rimessa a letto, improvvisamente sentiva prendersi dal sonno. Riaprì la porta della camera della nonna e le ragazze dormivano ancora placidamente. Lei si avviò a una finestra e la spalancò, venendo travolta dalla brezza notturna.
    Lontano, ma non troppo, riuscì a scorgere Tommaso salire le scale con il suo cane. Si appoggiò alla finestra e chiuse un attimo gli occhi. Cosa stava succedendo alla sua vita? Quando li riaprì la donna fantasma era riapparsa. Claudia allungò una mano ma quella sorridendo scomparve ancora. A quel punto la rossa si girò e vide che Tommaso la fissava ancora. Sul suo viso poteva scorgere un lieve sorriso. Ricambiò e poi si diresse al suo letto. Alzò il lenzuolo cercando di non far svegliare Laura ma lei sembrava aver percepito la sua presenza.
    “Ehi… ma dove sei stata?”. Claudia sorrise e disse “A bere. Sta tranquilla” e mentre la sorella, girandosi dall’altra parte, si riaddormentò, lei chiuse gli occhi augurandosi solo di non aver sognato.

    Tonf!
    Un forte rumore svegliò Sofia. Accanto a lei vide le cugine muoversi intuendo che anche il loro sonno era stato disturbato da quel rumore. Si girò per cercare sua sorella Silvia ma questa rispuntò da terra massaggiandosi la schiena.
    “Ahia!” si lamentò. “Ma cos’hai combinato?” chiese Sofia ridendo.
    “Mi hai dato una gomitata e io mi sono girata e sono caduta” rispose la sorella sedendosi sul letto “Sono le 7”.
    “E’ tardissimo” disse Claudia, che aveva appena aperto gli occhi.
    “Perché? Siamo in vacanza, Cla” ribatté Laura.
    “Perché hai la vestaglia?” chiese Silvia.
    “Ma chi?” rispose Claudia.
    “Tu!” ribatté Sofia.
    Claudia si guardò e sorrise. “No, stanotte sono uscita e mi sono dimenticata di togliere la vestaglia quando sono tornata a letto”.
    “E dove sei andata?” chiese curiosa Silvia.
    Claudia raccontò cos’era accaduto quella notte molto tranquillamente.
    “Cioè fammi spiegare tu incontri un uomo che definisci carino, con cui balli al chiaro di luna e che ti invita a cena, rivedi due volte la donna fantasma e non ci dici niente?” esclamò Sofia eccitata.
    “Ma dormivate…” si giustificò lei.
    “Claudia Ferrari non hai scuse! Donne, torturiamola!”. Silvia, Laura e Sofia cominciarono a farle il solletico.

    Più tardi bussarono alla porta. Laura in jeans e maglia bianca andò ad aprire. Un ragazzo di sedici anni con una salopette grigia e una maglia blu e il cappello di ugual colore era sulla porta. Aveva in mano un mazzo di rose rosse. Laura lo fissò interrogativa.
    “Abita qui la signorina Claudia Ferrari?” chiese educato. Laura annuì. “Queste sono per lei. Mentre lei può mettere una firma qui?” e cacciò fuori una ricevuta. Laura prese le rose e poi firmò.

    Claudia era in veranda a lavorare quando Laura, seguita a ruota da Silvia e Sofia, che erano state incuriosite da quell’enorme mazzo di rose rosse, arrivò e poggiò le rose sul tavolo.
    “A quanto pare hai un ammiratore!” disse saccente. Claudia si alzò sorridente a guardare le rose e poi prese il bigliettino.

    “Non mi capita spesso di trascorrere notti al chiaro di luna in compagnia di una donna fantastica come te. Ma il mio invito, per te, per tua sorella e per le tue cugine, è sempre valido. Alle 13 a pranzo a casa mia? Stai tranquilla ci sarà tutta la Sacra Famiglia…
    Per il chiaro di luna artificiale però dovrai aspettare… il negozio di gnomi era chiuso
    Con affetto
    Tommaso

    P.S. Non accetto un no come risposta.


    “Siamo già a questi livelli! Però… comunque si va. Altrimenti facciamo la figura delle maleducate!” disse Silvia categorica.
    Il campanello suonò ancora. “Chi sarà adesso?” chiese Sofia. “Ma… forse il suo cavaliere sull’unicorno bianco che l’è venuta a prendere!!” scherzò Laura alludendo alla sorella.
    “Vado ad aprire” si affrettò Sofia.

    “Buongiorno”. Davanti al suo volto, non appena aperta la porta, c’era Daniele Diamante, l’avvocato della nonna, insieme ad un altro uomo, dall’aria familiare.
    “Buongiorno” rispose lei gentile.
    “Ho pensato di passare per sapere se stavate bene” spiegò lui.
    “Oh grazie. Non doveva. In ogni caso accomodatevi” disse ospitale Sofia.
    “Le presento un mio caro amico Marcello Costagliola” e indicò l’uomo accanto a lui.
    “Piacere Sofia Della Rosa. Venite vi faccio strada”.
    Li condusse in veranda dove Claudia stava mettendo in un vaso le sue rose, Laura stava disegnando e Silvia si stava facendo la manicure.
    “Ragazze…” attirò l’attenzione Sofia “Loro sono Daniele Diamante, l’avvocato della nonna, e un suo amico Marcello Costagliola”.
    Silvia alzò lo sguardo e con un’unghia ricoperta dallo smalto azzurro puntò il dito contro Marcello.
    “Tu sei quello che mi ha quasi investito, neh?”
    “Come sarebbe l’hai quasi investita??” chiese scioccato Daniele.
    “E’ stato un incidente. E comunque mi pareva di essermi già scusato!” rispose lui polemico.
    “Tutto bene, avvocato?” chiese Laura gentile.
    “Si… ecco io volevo parlarvi di una cosa… credo di essere la persona più idonea” spiegò imbarazzato “Riguarda il motivo che spinse Enrico e Cristina Ferrari ad allontanarsi dalla madre per sempre”. Le ragazze avevano dipinta in viso un’espressione cupa e triste. Si sedettero al tavolo e invitarono Daniele e Marcello a fare lo stesso.
    “Dunque, circa vent’anni fa, qualche mese dopo la morte di vostro nonno Giovanni, sia Enrico sia Cristina, in seguito alla fine dei loro rispettivi matrimoni, si stabilirono qui con voi quattro. Un giorno scoprirono, rimettendo a posto alcune carte nello studio, che, sin da quando si era sposata, vostra nonna aveva passato alcune somme di denaro a quello che poi era divenuto il suo amante, tutto all’oscuro di vostro nonno, naturalmente. Solo quando morì Adriana, figlia di vostra nonna e dell’amante, lei smise temporaneamente di mandargli dei soldi. Poi la storia ricominciò. Enrico e Cristina trovarono tra queste carte una lettera dell’amante di vostra nonna, che alla morte di vostro nonno aveva 58 anni. In questa lettera Gerardo Sesti, l’amante di vostra nonna, annunciava che sarebbe presto arrivato per sposarla e vivere serenamente con lei alla villa. I figli decisero di fermare questo insulto alla memoria del padre e litigarono duramente con la madre, che però era ancora fermamente intenzionata a ricongiungersi con quello che era stato poi l’amante di una vita intera. Così Enrico e Cristina, anche timorosi per l’eredità, si rivolsero a me e decisero di scrivere a Sesti minacciando che se avesse sposato la madre e attinto dall’eredità familiare sarebbero ricorsi alle vie legali. Parlarono anche con la madre e le proibirono di avere rapporti… chiamiamoli “economici”… con lui e di sposarlo, ovviamente. Loro erano andati a Roma nell’appartamento di famiglia e facevano avanti e indietro con Tritora. Vostra nonna decise di chiudere i rapporti con Sesti dopo avergli inviato una grossa somma e da allora, ch’io sappia non si sono mai più incontrati” concluse Daniele.
    “Ma il nonno se ne sarebbe dovuto accorgere che…” cominciò Silvia.
    “…Che mancavano dei soldi? Purtroppo o per fortuna, vostra nonna era l’unica erede dei Taverna e aveva a sua disposizione un’enorme eredità”.
    Un telefonino squillò. “E’ il mio” disse Sofia rispondendo “Ascanio? Cosa? No, l’accordo era che avresti portato tu i bimbi qui. Ma come sarebbe… va bene. Si, so dov’è! Ciao!” e chiuse nervosa il telefonino.
    “Ora credo che noi dovremmo andare…” disse Daniele.
    “Oh, vi accompagno io” si offrì Silvia.
    Marcello e Daniele salutarono e scortati da Silvia furono accompagnati all’uscita.
    “Io vado a prendere l’auto, tu aspettami qui” disse Daniele.
    Marcello annuì e Silvia disse “Daniele mi sembra troppo intelligente per essere amico tuo”.
    “Gentilissima… comunque ci siamo conosciuti perché lavoravo con sua moglie, poi dopo sono andato a lavorare con lui”.
    “Capisco. Non credevo fosse sposato. Non porta la fede” osservò Silvia.
    “Infatti è vedevo, da più di tre anni” spiegò lui.
    “Mi spiace…” commentò Silvia “Credi che dovremmo indagare di più su questa faccenda della nonna?”.
    “Non lo so… credo di si però… se avete bisogno di aiuto noi possiamo ripassare comunque, nel pomeriggio…”
    “Grazie ma siamo a pranzo dai Carnevale e non so quanto rimarremo lì. Magari facciamo un colpo di telefono e ci mettiamo d’accordo” disse Silvia.
    Daniele suonò il clacson per incitare Marcello a salire in macchina. “Allora ci vedremo dopo pranzo. Tommaso ci ha invitati lì. Arrivederci” rispose salendo in auto.
    Tornò dentro perplessa e raccontò la rapida conversazione con Marcello alle altre tre. Bussarono di nuovo alla porta.
    “Ma che succede oggi?” si alzò Claudia ma questa volta, preoccupate, si alzarono tutte.
    Il campanello suonava ininterrottamente e, quando Claudia aprì la porta, le ragazze videro che si trattava della signora Antonia.
    “Ragazzine, vedete di andarvene che io qua devo pulire e riprendere possesso…” disse categorica.
    “Non si preoccupi, signora…”
    “Claudia, da oggi chiamami Antonia, e pure voi tre… aiutatemi con questi bagagli”
    “Comunque andiamo a mangiare dai Carnevale” rispose Laura sollevando una grossa valigia.
    Antonia sembrava una trottola: si muoveva veloce nella casa. La sua camera da letto era piccola ma confortevole, nascosta in un corridoio al primo piano.

    Verso le 12 le ragazze si stavano preparando per il pranzo.
    “Cosa mi metto?” chiese Claudia. “E certo la principessa si deve preparare per il principe!” la canzonò Laura.
    “Ma la vuoi smettere?”.
    “Ti aiuto io a scegliere” disse Sofia gentile.
    “Che Dio ti benedica…” la ringraziò Claudia scoccandole un bacio sulla guancia.
    Cominciarono a rovistare tra i suoi vestiti. “Questo… elegante, fine e sobrio?”.
    “Ma questo tailleur sembra triste…!” obiettò lei.
    “Allora…” Sofia tornò a frugare in valigia “Ecco.. questo è perfetto”.
    Un abito rosso con delle bretelle bianche e una fascia del medesimo colore in vita.
    “Sofia ha ragione… dai mettilo. Le scarpe… ho io quelle adatte” disse esaltata Silvia.
    In un battibaleno Claudia si ritrovò vestita, truccata e pettinata in maniera perfetta.
    “Grazie ragazze!! Ma voi cosa mettete?”
    “Bel problema…” disse Silvia “Si comincia da Sofia”.
    E a ogni vestito veniva fatto un esame finché Laura trovò una gonna beige bellissima.”Devi assolutamente metterla… e guarda questa camicetta azzurra? È troppo bella! Devi metterla! È un ordine!”.
    Sofia si andò a vestire e poi indossò dei sandali alti alla schiava.
    “Allora, donne, come sto?” disse dopo essersi preparata alla grande.
    “Una favola… farai strage di cuori sorella!” disse Silvia. “Io pensavo di mettere questo” aggiunse indicando un vestitino rosa a fiori.
    “Ma no! È troppo stile contadinella!. Questi sono molto più carini” disse Laura porgendole dei pantaloni bianchi e una maglia blu scuro”.
    “Si, hai ragione. Ora me li metto”.
    Quando anche lei fu pronta, le ragazze guardarono Laura.
    “Adesso tocca a te!” disse Claudia e Laura guardò rassegnata le tre che cercavano un vestito adatto. “Eccolo qui! Questo è perfetto, La”
    “Si, dai mettilo!”.
    Un vestito color panna con alcuni filamenti dorati adesso era indossato da Laura. Nei suoi capelli neri le avevano appuntato un fermaglio a forma di farfalla che racchiudeva due ciocche.

    “Ehi sbrigati!! Che arriviamo in ritardo!” disse Laura a Claudia e Sofia che si stavano attardando.
    “Le persone importanti si fanno attendere” le giustificò Silvia. Le due ritardatarie risero e poi tutte insieme andarono in auto.
    La villa dove abitavano i Carnevale dava un senso di austerità. Era tutta bianca e nel giardino figuravano molte statue, copie di sculture greche.
    Dall’enorme e massiccio portone uscì Tommaso, in giacca e cravatta. Scese la scalinata e si avvicinò a loro.
    “Grazie per essere venute” disse lui.
    “Grazie per averci invitato” rispose Silvia cortese.
    “Vi accompagno dentro. Abbiamo anche un altro ospite. Spero non sia di disturbo. È il fidanzato di mia sorella, Diletta” spiegò indicando la strada.
    “Oh nessun disturbo” disse Laura.
    Stavano percorrendo l’atrio e sulle pareti erano stati appesi quadri di alcuni antenati, come aveva spiegato Tommaso. I suoi occhi cercavano ogni momento Claudia, che sorrideva gentile.
    Aprì una porta nel quale intravidero un salotto, Tommaso lasciò il passo alle ragazze. La prima ad entrare fu Sofia, poi Silvia e poi Laura. Prima di far passare anche Claudia lui le sussurrò “Mi spiace che tu abbia dovuto far a meno della luna”.
    Lei sorrise divertita e poi bisbigliò “Sarà per la prossima volta, no?”.
    Intanto una donna anziana, la signora Silvana Carnevale, si era alzata e abbracciando calorosamente le ragazze aveva detto “Sono così contenta di avervi qui con noi, mie care. Tommaso ha avuto una bellissima idea ad invitarvi proprio oggi. Ieri vi ho presentato mia figlia Diletta, ricordate?”.
    Diletta, una trentenne dagli occhi chiari e dal bel fisico anche se dai lineamenti talvolta un po’ marcati, sorrise gentile e biascicò qualche frase di circostanza poi disse con voce squillante: “Voglio presentarvi il mio fidanzato, Riccardo Bentivoglio”, da uno scaffale sbucò Riccardo che incrociò il viso di Laura ed entrambi ebbero la consapevolezza che qualcosa di semplice si era inevitabilmente complicato.
     
    Top
    .
  5.  
    .
    Avatar

    Ingegnere

    Group
    Member
    Posts
    913
    Location
    Roma

    Status
    Offline
    è fantasico voglio il continuo!!!!!!!!!!!:D:D:D:D
     
    Top
    .
  6.  
    .
    Avatar


    Oltre la ragione, solamente io conosco cosa c'è...quell' AMORE CHE HO PER TE!

    Group
    Member
    Posts
    11,525

    Status
    Offline
    Sister, sono venuta pure qui a dirti che devi continuare....ti prego, voglio sapere che succede tra Laura e Riccardo!!!!!

    baci!!!
     
    Top
    .
  7. mart82
     
    .

    User deleted


    Anch'io continuaaaaa per favoreeeee!!
     
    Top
    .
  8. Stellin@_18
     
    .

    User deleted


    Capitolo 5: Siamo così

    [Siamo così -Fiorella Mannoia]
    Ci fanno compagnia certe lettere d'amore
    parole che restano con noi,
    e non andiamo via
    ma nascondiamo del dolore
    che scivola, lo sentiremo poi,
    abbiamo troppa fantasia, e se diciamo una bugia
    è una mancata verità che prima o poi succederà
    cambia il vento ma noi no
    e se ci trasformiamo un po'
    è per la voglia di piacere a chi c'è già o potrà arrivare a stare con noi,
    siamo così
    è difficile spiegare
    certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
    con le nostre notti bianche,
    ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si".
    In fretta vanno via della giornate senza fine,
    silenzi che familiarità,
    e lasciano una scia le frasi da bambine
    che tornano, ma chi le ascolterà...
    E dalle macchine per noi
    i complimenti dei playboy
    ma non li sentiamo più
    se c'è chi non ce li fa più
    cambia il vento ma noi no
    e se ci confondiamo un po'
    è per la voglia di capire chi non riesce più a parlare
    ancora con noi.
    Siamo così, dolcemente complicate,
    sempre più emozionate, delicate ,
    ma potrai trovarci ancora quì
    nelle sere tempestose
    portaci delle rose
    nuove cose
    e ti diremo ancora un altro "si",
    è difficile spiegare
    certe giornate amare, lascia stare, tanto ci potrai trovare qui,
    con le nostre notti bianche,
    ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro "si"


    “Buongiorno” balbettò Riccardo. “Salve” rispose gelida Laura.
    “Diletta e Riccardo sono prossimi alle nozze… non è splendido?” disse felice la signora Silvana.
    “Un matrimonio è sempre una cosa meravigliosa se la si fa con la persona giusta” osservò saggiamente Sofia.
    “Beh siamo fidanzati da sei anni… è pure arrivato il momento…”
    “Giustamente…” commentò Silvia.
    Nella stanza cadde un profondo e imbarazzante silenzio. Tommaso guardava Claudia sorridente che a un certo punto chiese gentile: “So che mia nonna era molto legata a voi, signora Carnevale”.
    “Oh si. Io e Ginevra eravamo compagne di classe all’elementari. E poi ricordo benissimo vostro nonno Giovanni… ah erano così innamorati… una splendida coppia…” disse lei.
    “Ehm… a noi veramente risulta il contrario” obiettò Laura.
    “Cosa intendete dire, signorina?” chiese, leggermente offesa, la signora Carnevale.
    “Nulla, signora… mia sorella non sta troppo bene” disse Claudia, mentendo e fulminando Laura con uno sguardo.
    “Devo darvi una cosa, ragazze…” disse Tommaso alzandosi.
    “Che cosa?” chiese curiosa la madre. L’uomo si avvicinò alla libreria e prese un grosso libro rosso. “Questo è giusto che lo abbiate voi…” disse porgendolo a Claudia.
    “Grazie, signor Carnevale” ringrazio Sofia con dolcezza.
    “Chiamatemi Tommaso, vi prego…”
    “Signori… il pranzo è servito”. Una cameriera sulla cinquantina con grembiulino, crestina e guanti bianchi di filo era apparsa sulla porta.

    Erano seduti tutti a tavola. La signora Carnevale sedeva austera a capotavola, alla sua destra sedeva Diletta, che non toglieva mai dal suo viso l’espressione composta e severa.
    Le quattro cugine avevano quasi paura di rompere il silenzio perfetto creatosi nella sala mentre due giovani cameriere, anche queste in divisa, servivano la prima pietanza a tavola.
    “Quanto tempo avete intenzione di trattenervi qui?” chiese cordialmente Riccardo.
    “Ancora non lo sappiamo… credo fino al termine dell’estate…” rispose vaga Sofia.
    “Venerdì prossimo organizzeremo un evento di beneficenza…” esordì Diletta.
    “… ossia una intera, interminabile e lunga serata dove tante persone vestite in costosissimi abiti da sera faranno finta di essere estremamente addolorati per qualche popolazione povera della quale non conoscono neanche il nome”
    “Siete molto duro, dottore, nei confronti delle persone benestanti…” obiettò Laura.
    “Oh no.. solo di un certo tipo.. e questo… ahimé… lo conosco fin troppo bene, viste le amiche di Diletta”
    “Non capisco, Tommaso, cosa ti abbiano fatto le mie amiche per essere classificate come persone tanto crudeli e insensibili. In ogni caso… volevo estendere l’invito alle nostre ospiti…”
    “Ma che bella idea, tesoro!” esclamò enfatica la madre di Diletta e Tommaso “Avremmo un piacere immenso se partecipaste…”
    “Grazie signora ma abbiamo molte cose da sistemare… in ogni caso vi faremo presto sapere!”
    “Se ci sarete, sarà una festa assolutamente singolare…” commentò divertito Tommaso “E poi mi piacerebbe conoscere il tuo parere, Claudia, su queste feste”.
    “Il mio parere?” chiese lei titubante.
    “Si… magari un tuo articolo riuscirebbe a dare un maggiore risalto alla cosa…”
    “Beh ne parlerò con il mio direttore… sarebbe una bella idea…”
    “E poi voi tutte siete così simpatiche… è raro trovare ragazze come voi da queste parti…” disse Riccardo e guardò intensamente Laura attraverso il tavolo mentre si portava il calice di Chablis alla bocca. Quello sguardo fu intercettato da Silvana che disse con voce leggermente acuta: “Spero tanto che possiate venire… siete così gradevoli…”.
    E mentre la padrona di casa riprese a mangiare, Claudia la squadrò cogliendo nei tratti del suo volto i segni della lotta interna che stava affrontando pur non riuscendone a comprendere tutti i motivi. Improvvisamente sentì un lieve pizzicore sul collo, come accadeva sempre quando qualcuno la fissava con insistenza. Si voltò di scatto incrociando lo sguardo incantato di Tommaso. Per qualche secondo i suoi occhi verdi da cerbiatta incrociarono quelli azzurri e scintillanti dell’uomo accanto a lei. Prima che entrambi distogliessero lo sguardo imbarazzati, si sorrisero dolcemente e continuarono a fissarsi di nascosto, sorridendosi ancora quando si scoprivano a fissarsi curiosi, durante tutto il pranzo.

    Avevano appena finito di mangiare quando la governante entrò annunciando che il signor Costagliola e l’avvocato Diamante erano arrivati.
    “Oh bene… li conoscete già?” chiese Diletta alle ragazze.
    “Si…al funerale di nostra nonna” rispose con cortesia Sofia.
    Daniele e Marcello entrarono sorridendo e Tommaso gli andò incontro abbracciandoli.
    “E’ un piacere avervi qui!” disse Diletta con un sorriso forzato.
    “Benvenuti” li salutò glaciale la madre.
    Il volto di Daniele era leggermente tirato nello stringere la mano alla signora mentre Marcello aveva salutato con il solito sorriso strafottente sulla faccia.
    “Andiamo in salone,venite”

    Avevano preso posto sui divani quando Daniele disse: “ Come vanno i preparativi per la festa?”
    Diletta con fare altezzoso rispose “Benissimo grazie… Avvocato, ci farà l’onore di presenziare l’evento quest’anno?”
    Daniele, leggermente infastidito, rispose: “Come tutti gli altri anni del resto”.
    Il silenzio calò nuovamente nella sala lasciando vedere la tensione nell’aria.
    La madre di Diletta e Tommaso con tono, forse fin troppo, cordiale chiese: “Come stanno le sue figlie, avvocato?”
    “Bene, grazie signora. Crescono ogni giorno di più”
    “Immagino… è da molto che non le vedo! Quanti anni hanno adesso?”
    “In settembre ne compiranno diciassette!”
    “Il tempo passa proprio in fretta! Sembra ieri che scorazzavano allegramente nel nostro giardino, ricordi Riccardo?” civettò annoiata Diletta.
    “E’ passato tanto tempo” troncò il fidanzato piuttosto irritato.
    “Perché non facciamo un giro in giardino? Il tempo è davvero bello” propose Tommaso.
    Gli ospiti accolsero con tutto l’entusiasmo possibile e si diressero così verso il grande giardino.
    Sul retro della casa si apriva un grande prato. Il lago sembrava tranquillo e le sue acque parevano imprigionare i raggi del sole. Nel bel mezzo del giardino sorgeva un gazebo di legno sotto il quale erano stati posti un tavolo ed alcune panche in vimini.
    “Da qui si vede tutto il paese” osservò Silvia.
    “Già… è bello, vero?” chiese Marcello.
    “Particolare, direi”
    “Io ne sono rimasto incantato quando mi sono trasferito qui”
    “Da quanto abitate a Tritora?”
    “Oh troppo tempo ormai!”
    “E non ne siete annoiato?”
    “Come annoiarsi di un posto in cui la tranquillità regna sovrana! Non sono forse incantevoli tutte le case costruite con quei mattoni rossi che avvicinano il paese a quello di una fiaba? E il lago? Volete forse dimenticare quale impatto ha il lago sul panorama generale? E quanto sia importante? Voi che siete un’artista cosa ne dite, signorina Laura?”
    Laura, chiamata in giudizio da Marcello, rispose titubante “Per un’artista è sicuramente affascinante… dipende anche dalla sua fase creativa… da ciò che cerca… ma è indubbio che questo paese sia un ottimo soggetto da rappresentare”.
    “Qualcuno ha provato anche ad inventare storie su ipotetici fantasmi… che assurdità non è vero, Riccardo?” disse Diletta.
    Riccardo annuì controvoglia e incrociò lo sguardo contrariato di Laura.
    Intanto Tommaso e Claudia si erano allontanati dal gruppo.
    “Avete già deciso quando andare via?” chiese lui con tono dimesso.
    “No… non ancora. Vogliamo tutte passare insieme del tempo. Ne abbiamo perso troppo in questi anni”.
    “Capisco e non proverò neanche a negare che la cosa un po’ mi fa piacere”
    “E come mai?”
    “E’ raro trovare persone vere come voi, come te…”
    “Sono così terribili le persone di questo paese?” chiese Claudia scherzando.
    “No è che tu sei…”
    “Come sono?”
    “Sei diversa… da tutte le altre”
    “Perché?”
    “Perché.. perché… perché sei irraggiungibile. Sei un tipo di donna raro di questi tempi. Le emozioni che provi te le leggo negli occhi, eppure riesco a stupirmi ogni volta che ne rendi partecipe il mondo. Tu sei così speciale perchè credi nell’Amore”
    “Tu no?”
    “L’amore non esiste. È solo un’illusione”
    “Non dire così!”
    “Io non mi sono mai innamorato… appena cominciavo a provare qualcosa di forte per una donna, mille altri pensieri mi assalivano e il sentimento svaniva con la stessa facilità con cui era venuto”.
    “Allora non era Amore. Come fai a dire che era soltanto un’illusione? L’Amore può essere definito solo da chi lo ha provato. Tu parli di Illusione… chi non si è mai illuso nella propria vita? L’Illusione è una realtà che razionalmente non ha motivo di esistere. È melensa, banale, sciocca ma è l’unica che può renderci felici”.
    “Sei mai stata innamorata?”
    Gli occhi azzurri di Tommaso fissavano ogni cambiamento sul viso di Claudia.
    “Forse… ma non ho mai provato l’amore che vorrei”
    “E come dovrebbe essere l’amore che vorresti?”
    I due giovani continuavano a fissarsi.
    Gli occhi dell’uno non potevano fare a meno di perdersi in quelli degli altri.
    I loro cuori battevano forte come non mai. Era quasi spaventosa la veemenza con la quale palpitavano.
    Il discorso che avevano istaurato era come un duello di parole. Era un duello beffardo però. Nessuno dei due voleva colpire… solo scoprire. Soltanto preparare il terreno a un sentimento troppo forte. Sbocciato in una notte… sarà mai possibile?
    “L’Amore che vorrei vivere dovrebbe essere così passionale, così intenso, così forte, così indissolubile da farmi pensare che la cosa più bella che due amanti possano fare è morire insieme. Come Isotta con Tristano… Come Giulietta con Romeo”
    “Non avevo mai sentito un’idea tanto bella quanto assurda e spaventosa come la tua…”
    “Ma come può spaventarti l’idea che la tua mano sia unita per sempre a quella della persona che ami? Niente e nessuno potrebbe separarvi”
    “La morte ci separa. Il prete, nel rito del matrimonio, dice ‘Finché morte non vi separi’”
    “Hai mai letto la Divina Commedia?”
    “Si... perché?”
    “Hai presente il V canto dell’Inferno?”
    “Paolo e Francesca?”
    “Esatto… Loro vengono messi all’Inferno non perché lei sia un’adultera. Infatti se ben ricordi, lei è stata sposata con l’inganno. Loro vengono messi all’Inferno perché il loro è un amore blasfemo”
    “Blasfemo?”
    “Si… in vita ha sfidato le leggi del matrimonio, nella morte ha sfidato Dio. E Dante li vede ancora lì abbracciati e ricordi che Francesca dice che lei e Paolo non si lasceranno mai?”
    “Non bene comunque…”
    “Comunque quello che volevo dire è che… si può pensare che l’amore non esista… che noi non siamo destinati a…”
    “Non esiste il Destino. Esiste il Caso”
    “Io credo al Destino… e quindi penso che anche se pensiamo che per noi non sia possibile amare, nella nostra vita accadrà sempre qualcosa che sconvolgerà i nostri piani”.
    “Se lo dici tu…”
    “Cosa vorrebbe dire ‘Se lo dici tu’?”
    “Ehm” Tommaso cercava una giustificazione a quella sua esclamazione quando Sofia si intromise tra loro.
    “Dottor Carnevale, lei dove si è laureato?”
    “A La Sapienza. Ma diamoci del tu”
    “Oh come vuole… pardon… come vuoi. Io mi sono laureata invece a Torino. Ho terminato lì gli studi”
    “Capisco… poi ti sei trasferita a Latina, non è vero?”
    “Si… sono diventata presto madre, poi mio marito viaggiava molto e Latina è una cittadina abbastanza tranquilla”
    “Ha figli?”
    “Si, due…”
    “Come me!” Si intromise Daniele. “Maschi o femmine?”
    “Un maschio e una femmina”
    “E di quanti anni?”
    “Lui sei, lei quattro… sono la cosa più bella che mi sia capitata nella vita. Senza di loro il resto non ha senso”
    “E’ vero. Un figlio ti tiene in vita anche quando vorresti che il sipario calasse sulla tua vita”
    “Non dovrebbe essere un figlio la cosa più bella per due innamorati?” disse Tommaso stuzzicando Claudia.
    “Un figlio è una cosa bella ma non tiene forte e saldo un amore per sempre”
    Tommaso si girò verso Sofia dicendo “Tua cugina è un caso perso”
    “Sto imparando a conoscerla” rispose sorridente Sofia incrociando lo sguardo dolce e dimesso di Daniele.
    Il cellulare di Claudia squillò.
    “Pronto?”
    La voce profonda di una donna chiese timidamente “Claudia Ferrari?”
    “Si, sono io. Chi parla?”
    “Claudia… sono… tua madre…Charlotte”
    “Credo che abbia sbagliato numero”
    “Ti prego non riattaccare. Vorrei solo vederti. Magari in settimana…”
    “Non ne ho la minima intenzione!”
    “Per piacere, Claudia! Non lasciare che l’orgoglio rovini tutto…” la donna, Charlotte, attese un commento della figlia “Ti con Laura aspetterò al bar sotto casa tua a Roma, lunedì dalle 15 in poi. Sarai tu a decidere cosa fare”
    “Addio” Claudia chiuse la telefonata.
    Sua madre… era tornata! Aveva pochi giorni per decidere cosa fare.
    Laura si avvicinò alla pensierosa sorella e le chiese con voce dolce “Va tutto bene?”
    “S-si, non ti preoccupare”
    “Chi era al telefono?”
    “Lavoro…”
    Claudia fissò Laura con un’espressione indecifrabile. Per ora non le avrebbe riferito l’accaduto.
    La sorella la prese sottobraccio dicendole “Sono un po’ stanca… e anche tu… dovresti riposare!”
    “Tra poco andremo a casa... per me ti ho già detto di non preoccuparti. Sai bene che sin da piccola dormo poco”
    “E questa cosa non mi è mai piaciuta… non è ora di cambiare abitudini…”
    “Le persone non cambiano mai”
    Laura si sorprese del tono della sorella… quelle parole sembravano così lontane…
    Lo sguardo di Claudia era rivolto al di là del lago, come se cercasse sull’altra sponda qualcosa che agli altri non era concesso vedere… come se sull’altra riva ci fosse qualcosa di cui gli altri erano all’oscuro.

    Le ragazze erano ormai tornate a casa.
    Laura e Sofia stavano parlando in salotto di quel pranzo mentre Claudia e Silvia si erano ritirate nelle stanze in cui Antonia le aveva sistemate, contrariata al loro dormire insieme.
    “Eri un po’ strana oggi…” osservò Sofia giocherellando con i capelli.
    “Non mi sentivo tanto bene…”
    “Sicura che un certo Riccardo non sia tra le cause del malessere?”
    “Ma se quello a stento lo conosco…”
    “Conoscere poco una persona non esclude il fatto di fantasticarci. E non mentirmi…”
    “Beh è carino e gentile… ma è occupato!”
    “Eh si… è occupato! Ma ho avuto l’impressione” Sofia calcò il tono sull’ultima parola “che lui fosse molto interessato a te!”
    “Appunto… è stata solo una tua impressione”
    “Eh.. capita nella vita di prendere degli abbagli!”
    “Cambiando argomento, quando devi andare a prendere i tuoi figli?”
    “Tra un’oretta…”
    “Ti devono essere mancati in questi giorni!”
    “Si, molto. Senza di loro mi sento un po’ vuota”
    “Dev’essere una cosa bellissima essere madre…”
    “Già… è difficile però bello”
    “Non credo che la mia, di madre, la pensasse come te”
    “Siamo tutti diversi a questo mondo, no?”
    “Abbastanza” Laura rise nervosamente ma poi l’espressione cupa e un po’ tormentata ripiombò sul suo viso “E’ stato così difficile quando lei è andata via… Claudia è sempre stata un po’ inquieta come bambina… a volte spariva e tornava tutta in disordine… è sempre stata come la mamma… ribelle, alla ricerca perenne di libertà e felicità. Mio padre poi… è sempre stato via da quando nostra madre è scappata. Prima credevo che fossi io a sostenere Claudia, solo adesso mi rendo conto che è stata lei a sostenere me!”

    Silvia era uscita dalla sua stanza ed era andata nel grande salone dove c’era il pianoforte bianco che la nonna le aveva lasciato in eredità…
    Cominciò a muovere con titubanza le dita sulla tastiera suonando una vecchia ballata.
    Spesso stonava… c’era bisogno di accordarlo.
    Antonia aveva detto di averlo sempre pulito anche se nessuno lo suonava da tempo immemore. Chissà come mai…
    Ricordava ancora la prima volta che aveva suonato un pianoforte…
    Vivevano ancora a Roma all’epoca.
    Sua madre era ancora così allegra.
    La prima lacrima scese giù nel ricordare quei tempi.
    Cristina si era seduta al pianoforte e aveva cominciato a suonare una vecchia canzone che cantava sempre.
    Silvia la guardava da lontano nel suo vestitino bianco.
    Non appena se ne accorse, Cristina la chiamò da lei. Se la mise sulle ginocchia e insegnò quali tasti premere.
    “Poi mi insegnerai altre canzoni, vero mamma?”
    “Certo, tesoro. Ti insegnerò tutte le canzoni che conosco!”
    “Secondo te papà sarà contento?”
    “Sarà felicissimo, vedrai”

    Altre lacrime scesero lungo il viso dell’ormai adulta Silvia.
    Suo padre non l’aveva mai sentita suonare. Non ne avrebbe mai avuta l’occasione. Era morto tre anni prima in un incidente aereo e, nonostante non lo avesse visto né sentito per tanti, troppi anni, il dolore e la consapevolezza che quella perdita era avvenuta, in realtà, tanti anni prima si manifestava più forte che mai.
    Marcello un po’ glielo ricordava.
    Nel modo di scandire le parole, nel modo di modulare la voce, nel modo di muoversi.
    E gliene faceva sentire la mancanza terribilmente.
    Eppure riusciva a cogliere negli occhi di Marcello una dolcezza, una tenerezza, un “non so che di rassicurante” che suo padre non aveva e che la faceva sentire.
    La ballata finì e con un dito si asciugò gli occhi.
    Sarebbe durato poco… erano solo le emozioni degli ultimi giorni a renderla così fragile.
    Presto sarebbe tornata una pianista forte, brillante e competitiva…
    Non ci sarebbe stato posto per la fragilità.

    Sofia era in auto. L’appuntamento con Ascanio era vicino.
    Quell’estate sarebbe stata magica… se lo sentiva.
    E poi il piacere di aver ritrovato le cugine riusciva ad affievolire il dolore per la perdita di una nonna della quale aveva solo ricordi sfocati.
    Con uno strano rumore la macchina si fermò.
    “No! No! No! No!”
    Sofia continuava a premere l’acceleratore invano.
    “Non può essere…”
    Si trovava su una strada praticamente deserta. Prese la borsa cercando il cellulare.
    Mentre con frenesia frugava nella sua borsa si ricordò di averlo dimenticato a casa.
    Scese dall’auto mettendosi le mani nei capelli.
    “Come si può essere così sfortunati?” pensò. Si appoggiò all’auto pensando a come poter fare.
    Aveva gli occhi chiusi e aveva serrato le dita intorno al manico della sua borsetta.
    Era talmente concentrata nel cercare la soluzione del problema che non si accorse della macchina che accostò dietro di lei. E nemmeno del suo guidatore che scese per sapere cosa fosse successo.
    “Problemi?”
    Sofia sussultò… Daniele le sorrideva gentile.
    “Un po’…” riuscì a biascicare.
    “Posso essere d’aiuto?”
    “Se sai come riparare un’automobile in pochi minuti, si…”
    “Ho un amico meccanico. Lo chiamo subito!”
    “Grazie”
    “Non c’è di che”
    Daniele fece una rapida chiamata e poi, con l’aiuto di Sofia, fece spostare la macchina mettendola nella piazzola d’emergenza.
    “Sai che ore sono?”
    “Le diciotto…”
    “Ascanio mi ucciderà… dovevo riprendere i bambini e sono un po’ in ritardo…”
    “Ma perché non me lo hai detto subito? Ti ci accompagno io!”
    “No… anzi ti ho trattenuto… non fa niente!”
    “Tanto non era nulla di importante!”
    “Sicuro?”
    “Sali!!”
    “Grazie… mi aspetta all’autogrill vicino l’uscita”
    “Perfetto. Quanti anni hanno i tuoi figli?”
    “Fabio sei e Roberta quattro”
    “Sono piccoli…”
    “Abbastanza. Le tue, mi è parso di capire, sono grandi!”
    “Eh… direi… quasi diciassettenni!”
    “Hai un bel rapporto con loro?”
    “Con una delle due, Paola, ho un bellissimo rapporto… con l’altra Marta un po’… travagliato. Non c’è molto dialogo”
    “Ho capito… sono gemelle, vero?”
    “Si… ma eterozigote… una bionda, l’altra rossa!”
    “Ah… beh spesso capita tra due sorelle!”
    “Vero… tu e Silvia però in qualcosa vi somigliate!”
    “Molto vagamente… però la cosa più importante è che siamo sempre state molto unite. Da piccole soprattutto!”
    “Loro purtroppo non lo sono… è che… sono agli antipodi… non hanno un punto di unione”
    “Ma no… è solo una questione di trovare il momento giusto…”
    “Litigano in ogni momenti… Paola ha la sindrome della precisione, Marta è ribelle e casinista. Marta ama la musica rock, Paola la odia… e via dicendo!”
    “Magari hanno bisogno di una figura femminile che le sblocchi un po’… o magari di un aiuto…”
    “Per aiuto intendi psicologo…”
    “Si… ma non parlo solo di loro… parlo di voi. Lo abbiamo fatto anche io, Silvia e mia madre. Ci ha aiutato”
    “Paola direbbe di si solo per farmi felice, Marta invece direbbe che lei non metterà mai piede nello studio di uno strizzacervelli”
    “E tu falle parlare con me. Dì che hai un’amica che lo ha fatto da ragazza e può dare dei consigli”
    “Ci penserò… sei gentile a preoccuparti per me. Eccoci qui siamo arrivati”
    Daniele parcheggiò nell’aria di servizio. Sofia scese dall’auto e vide Ascanio e i due figli seduti ad un tavolo.
    La piccola Roberta le corse incontro. Aveva i riccioli biondi che le ricadevano sulle spalle e gli occhi nocciola della madre.
    “Mammina!”
    “La mia bambina!”
    Sofia prese in braccio la figlia e andò a salutare il figlio.
    “Hai fatto tardi” constatò con voce tagliente l’ex marito.
    “Mi si è rotta la macchina. Per fortuna un amico di famiglia mi ha accompagnata fin qui”
    “Per fortuna”
    “Mamma” Fabio le tirava la mano “è vero che ci sono due zie nuove?”
    “Si… è vero…”
    “E come si chiamano?”
    “Laura e Claudia. Ma adesso salutate papà che dobbiamo andare”
    Fabio baciò il padre con la bocca sporca di cioccolato. Aveva gli stessi occhi azzurri di Ascanio, ma nei lineamenti era identico alla madre.
    Roberta abbracciò il papà ma poi si rituffò tra le braccia della madre.
    Sofia li fece sedere in auto e gli presentò Daniele.
    “Da quanto tempo sei amico della mamma?” chiese Fabio curioso.
    “Oh da un po’…”
    Sofia sorrise… si erano incontrati solo pochi giorni prima eppure sembrava si conoscessero da sempre.
    “E vi conoscete da tanto tempo?” chiese la voce innocentemente curiosa di Roberta.
    “Mm… direi di si. Mi ricordo di quand’era piccola la tua mamma”
    “E com’era quand’era piccola?” domandò ancora insistente la bimba.
    Daniele si zittì per pochi secondi, guardando la strada con aria assorta.
    “Aveva i capelli lunghi lisci. E le piaceva tanto giocare a fare la dottoressa con le sue bambole. E mi ricordo che una volta, a una festa della nonna, lei e le zie giocarono a nascondino facendo ridere tutti”
    Sofia aveva ascoltato attentamente le parole di Daniele e si sorprese a ricordare quell’episodio divertita. Eppure… anche cercando attentamente nei suoi sbiaditi ricordi non riusciva a capire chi fosse Daniele tra i tanti visi.
    Quanto poteva avere più di lei? Sei anni… massimo…
    Non lo ricordava proprio…
    Intanto i figli si divertivano ad aneddoti divertenti raccontati da Daniele…

    “MAMMA!!”
    Sofia si svegliò di soprassalto all’urlo della figlia.
    “Tesoro cosa c’è?”
    “Ho tanta fame!”
    “Due minuti…” e si voltò dall’altro lato del letto. Si era addormentata tardissimo la sera prima.
    Roberta sbuffò e scese dal letto. A piedi nudi percorse tutto il corridoio finché non incontro Claudia.
    “Buongiorno…”
    “Ciao…” disse la bambina imbronciata.
    “Che succede?”
    “La mamma dorme e io ho fame”
    “Ti va di fare colazione con me? Io racconto delle storie bellissime, sai?”
    “Allora ci vengo!” disse la bambina convinta prendendo la mano di Claudia “Ma che storie sono? Tipo Cenerentola?”
    “Mm… si però sono più belle”
    “E perché?”
    “Perché non le conosce nessuno!”

    Sofia entrò in cucina con Fabio e trovò Roberta seduta sulle ginocchia di Claudia che rideva e chiedeva “Domani me la racconti un’altra storia?”
    “Va bene…”
    “Che storia?”
    “E’ una storia bellissima che conosce solo zia Claudia. Si chiama ‘Storia di quando Bill rubò il coniglio viola’ e fa un sacco ridere”
    “Hai già preso il latte?”
    “Si… con i biscotti al cioccolato!”
    “Voglio sentirla anche io una storia che conosci solo tu…”
    “Allora facciamo che stasera ne racconto una… va bene?”
    “Ok!”
    “Buongiorno” Antonia entrò sorridente con il suo grembiule a quadretti bianchi e blu.
    “Ciao tata” disse Roberta prendendo un altro biscotto.
    “Tata?” chiese Antonia stupita.
    “Si… lei ti associa a una tata… anche perché le abbiamo detto che eri la governante di mia madre…” disse Sofia a mo’ di spiegazione.
    “Non mi avevano mai chiamato tata”
    “Ciao a tutti” Laura entrò insieme a Silvia.
    Non appena si sedette, Fabio andò a sedersi sulle gambe di Silvia.
    “Ragazze qualcuno mi deve andare a fare la spesa! Ho pure già fatto la lista”
    “Cla, andiamo io e te?” chiese Silvia.
    “Perfetto. Adesso mi vesto e andiamo”

    “Sai che stavo pensando?” chiese Claudia a Silvia mentre si avviavano verso la macchina con gli enormi bustoni della spesa.
    “No, dimmi”
    “Che non l’abbiamo più vista…”
    “Chi?”
    “La donna fantasma…”
    “Vero. Ma io voglio indagare comunque… questa storia non mi convince. Secondo me dovremmo cercare in soffitta”
    “Si, hai ragione. Sono sicura che qualcosa salterà fuori. E poi secondo me… non lo so… ho una sensazione strana…”
    “Tipo?”
    “Che ci sia qualcosa che tutti sanno ma che noi ignoriamo”
    “Mm… mi sa che hai ragione…”
    “Hai notato ieri a casa Carnevale che tensione?”
    “Si… c’è qualcosa che non mi convince nelle due donne. Lui è simpatico”
    “Si…” Claudia sorrise. Quella notte non era scesa nella caletta. Troppi pensieri. Troppe emozioni. E poi quello che lui aveva detto sull’amore… l’aveva colpita.
    “Cosa c’è?”
    “Niente… solo pensieri. Penso che lunedì tornerò a Roma. Per un pomeriggio… la sera sarò di nuovo qui”
    “Ah… come mai vuoi andarci?”
    “Lavoro… devo sistemare alcune faccende… e prendere degli altri vestiti!”
    “Ah, ho capito. Non vedo l’ora che vengano ad accordare il pianoforte. Ho una voglia di suonare…”
    “La musica deve essere importantissima per te…”
    “Si… io quando suono, entro in un altro mondo… in un mondo completamente nostro”
    “Dev’essere bellissimo! Mi reggi la busta che prendo le chiavi?” chiese Claudia.
    “Si, dai qui”
    Mentre frugava alla ricerca delle chiavi della macchina, verso di loro si avvicinò un uomo.
    “Claudia… buongiorno”
    “Ec… Tommaso? Ciao!”
    Tommaso sorrise e annuì.
    “Ciao Silvia”
    Silvia ricambiò cortesemente un saluto mentre Claudia apriva il bagagliaio.
    “Come state?”
    “Bene, grazie” rispose Silvia passando le buste alla cugina “Tu?”
    “Bene... oddio sono stato intrappolato dalle amiche di mia sorella”
    Claudia soffocò una risata e poi con tono di sfida disse “Secondo me esageri...”
    “No… credimi…” e le fece l’occhiolino “Posso aiutarvi?”
    “No, abbiamo fatto ormai” disse Silvia.
    Un gruppetto di cinque donne arrivò velocemente nei loro paraggi.
    Diletta Carnevale salutò gentilmente Silvia e Claudia e poi con fare pettegolo le presentò alle amiche.
    “Ragazze, vi presento Silvia Della Rosa e Claudia Ferrari, le nipoti della signora Ginevra”
    Tutte sembravano tener particolarmente a stringergli le mani. Blaterarono una serie di nomi che sia Silvia sia Claudia dimenticarono subito.
    “Stavamo discutendo della festa di sabato sera. Sarà sicuramente un grande evento”
    “Loro non ci saranno, Betty” disse Diletta in tono ambiguo.
    “E’ un vero peccato” Una delle amiche di Diletta con dei lunghi capelli neri si era appoggiata a Tommaso.
    Qualcosa nel cuore di Claudia si mosse. Una punta che la indispettiva così tanto da non riuscire a trattenersi.
    Con un tono terribilmente falso strinse la mano di Tommaso e disse “Oh ma non te lo avevo ancora detto? In effetti avevamo deciso di accettare… dovremmo cominciare a svagarci, no?”
    Silvia assisteva incredula alla scena.
    Diletta fu spiazzata dal tono e dalle affermazioni di Claudia ma si riprese e disse “Saremo felici di avervi come ospiti”
    Claudia sorrise e insieme a Silvia salutò la combriccola.

    “Io proprio non ti capisco…” disse polemica Laura “Avevamo deciso di non andare”
    Silvia cercò di calmarla dicendo “Dai, La. Non mettiamoci a litigare”
    Sofia invece chiese a Claudia “Ma perché lo hai fatto? Volevi passare più tempo con Tommaso” quasi avesse intuito il motivo che aveva spinto la cugina ad accettare quell’invito.
    “Non lo so! Mi sentivo di farlo e l’ho fatto!”
    “Claudia Ferrari… io ti conosco troppo bene per sapere che non fai le cose così… ci deve essere qualcosa… un gesto, una parola per spingerti a fare qualcosa” esplose Laura.
    “Se ti dicessi che le amiche della Santarellina mi hanno provocata?”
    “Potrei cominciare a crederti”
    “Ormai importa ben poco il perché… lo ha fatto… e sia! Andremo a questa benedetta serata di Gala!” concluse Sofia.
    Claudia sembrava non aver ascoltato le parole della cugina. Guardava il lago e chiese improvvisamente “Perché noi donne siamo così?”
    “Così come?” ribatté Silvia
    “Complicate…”
    “Noi non siamo complicate…” azzardò Sofia “E’ che a volte siamo confuse e può capitare di vedere tutto molto difficile e irrisolvibile invece…”
    “No… non volevo dire questo… solo che ci sono cose delle quali non vogliamo accettare il senso… perché… perché infondo non hanno senso… Razionalmente non hanno motivo di esistere… eppure… ci sono… qualcuno chiama queste cose sentimenti. E fanno in modo che noi siamo così…”
    “Ma così come, Cla?” cercò Laura in cerca di un chiarimento.
    “Siamo così… Così e basta…”
     
    Top
    .
  9. Stellin@_18
     
    .

    User deleted


    Capitolo 6: I trasporti dell'amore

    [La Bella e la Bestia – Gino Paoli]
    C'e' una bestia che
    s'addormenterà
    ogni volta che
    bella come sei le sorriderai.

    Quel che non si può
    neanche immaginar
    e' una realtà
    che succede già
    e spaventa un po'.

    Ti sorprenderà
    come il sole ad est
    quando sale su
    e spalanca il blu
    nell'immensità.

    Ti sorprenderà
    come il sole ad est
    quando sale su
    e spalanca il blu
    nell'immensità.

    Stessa melodia
    un'altra armonia
    semplice magia
    che ti cambierà
    ti riscalderà.

    Quando sembra che
    non succeda più
    ci riporta via
    come la marea
    la felicità.
    Ti riporta via
    come la marea
    la felicità

    “Ma io dico… come vi salta in mente di andare a una serata di Gala?” disse Antonia agitata.
    “Antonia ti prego… ci devi aiutare a trovare dei vestiti idonei!” disse con tono supplicante Claudia.
    “E va bene… ve li trovo io… voi andatevi a svagare!”
    “Ah grazie. Senza te come faremmo?!” esclamò Silvia.
    Antonia se andò via borbottando.
    Claudia disse “Vado un po’ in giardino…” attirandosi un’occhiata preoccupata della sorella.
    La piccola Roberta invitò la mamma a giocare insieme al fratellino.
    “Cosa c’è, Laura? Ti vedo un po’ pensierosa in questi giorni”
    Silvia aveva colto perfettamente lo stato d’animo della cugina.
    “Sono preoccupata per Claudia… è così strana ultimamente…”
    “Si… è molto tesa…”
    “E quella brutta abitudine che ha sin da piccola di non dormire la notte non l’aiuta…”
    “Perché non ci parli? Magari può aiutarla…”
    Laura si perse per un attimo tra i suoi pensieri e poi annuì.

    Claudia era in terrazza e sembrava fissare il lago.
    Troppi pensieri le si annidavano nella mente… e poi quel battito del cuore che accelerava quando pensava a Tommaso…i timori per l’incontro con sua madre…
    Tutto la confondeva quasi fino a spaventarla.
    “Sei qui… ti ho cercata dappertutto!”
    Laura le passò una mano tra i capelli rossi e si appoggiò alla ringhiera come lei.
    “Siamo un po’ preoccupate per te, sai?”
    Cercò di sfoderare uno dei suoi più calorosi e larghi sorrisi ma Claudia sembrava lontana. Irraggiungibile.
    “Non fate caso a me. È solo un periodo poco sereno. Tutto passa… anche questo passerà”
    Le parole della sorella colpirono Laura. Non l’aveva mai sentita parlare in tono così dimesso.
    “Ma che ti succede? Che ne hai fatto tu di mia sorella? Dov’è quella donna forte e combattiva che conosco?”
    “Si è scocciata di combattere. Si è scocciata di dover essere sempre lei a salvare gli altri. E per una volta vuole essere salvata”
    Claudia tremava mentre sussurrava queste parole.
    “Mi fai paura, Cla. Tu sei sempre stata la più forte tra noi due”
    “Io non ce la faccio più ad essere forte. Per essere forte si devono avere le idee chiare. Si deve sapere cosa volere. E io…” fece una pausa e si asciugò le lacrime “io non lo so più cosa voglio”
    “Ma… mi hai sempre detto che il tuo sogno era scrivere un libro… E poi il Principe Azzurro a cavallo dell’Unicorno dove lo metti?”
    Claudia sorrise. Ma non era uno dei SUOI sorrisi. Era un sorriso che sapeva di amaro, di deluso, di doloroso. Un sorriso spento.
    “La vita non è una favola, La. Tu lo sai meglio di me… e Tommaso aveva ragione”
    “Su che cosa?”
    “Sull’amore. È solo un’illusione…”
    “Sei convinta di quello che dici, Claudia?”
    “Io lo odio!”
    Abbracciò forte la sorella singhiozzando sommessamente. Laura stringeva la sorella che intanto ripeteva “Lo odio” con voce sempre più lieve. Le accarezzava i capelli e le sembrò di essere tornata al giorno in cui il padre gli disse che la madre era scappata, che le aveva abbandonate per sempre.
    Claudia alzò la testa. Tremava ancora. Si asciugò le lacrime mentre la sorella continuava ad accarezzarle i lunghi capelli rossi.
    “Ma chi è che odi?”
    “Tommaso…”
    “E perché?”
    “Lo odio quando mi fissa così insistentemente da farmi pizzicare la pelle. Lo odio quando mi fa l’occhiolino. Quando mi cerca con lo sguardo e poi chiede il mio parere. Odio la sua espressione quando mi guarda come se fossi pazza. Odio il sorrisino che gli spunta sulla faccia ogni volta che faccio qualcosa di buffo. Odio quando solo pensarlo mi fa battere il cuore così forte che temo possa scoppiare da un momento all’altro. Ma soprattutto odio il fatto che non riesco a odiarlo… neanche un po’…”
    Il viso di Claudia si contrasse in un’espressione di dolore.
    Laura le diede un bacio sulla guancia.
    “Non credevo facesse così male…” sussurrò dopo poco Claudia.
    “Che cosa?”
    “Innamorarsi”
    “Fa male innamorarsi della persona sbagliata. Fa male rendersi conto che ti stai innamorando di una persona che non potrai avere mai. Fa male scoprire che la persona di cui ti stai innamorando è solo un bambino bugiardo”
    “Laura ma…” Claudia abbassò lo sguardo pensierosa “Riccardo…?”
    Laura annuì. “Non è amore… è solo che… da come mi ha guardato al funerale io pensavo che… che forse era diverso dagli altri… e invece… si sposa. Ma forse amavo l’idea di lui… forse mi stavo soltanto creando nella mia testa l’idea che lui fosse il mio uomo perfetto.. senza averlo conosciuto”
    “Certe volte mi fai paura… elabori più teorie di me…” disse Claudia.
    Laura rise e Claudia si lasciò trasportare dalla risata della sorella.
    Poi le poggiò la testa sulla spalla e disse “Dimenticherò, vero?”
    “Tu cosa vuoi sentirti dire?”
    “Che smetterò di soffrire…”
    “Smetterai di soffrire… o perché sarai ricambiata… o perché diventerà solo un ricordo”
    “A volte si può amare anche solo il ricordo di una persona, di un amore”
    “Lo so… ma tu fai finta che non sia così”
    “Laura! Claudia! Siete qui! Vi ho trovate finalmente!”
    Sofia era arrivata all’improvviso e aveva stampata sul viso un’indecifrabile espressione.
    “Venite con me!”

    Entrarono nel “salone delle feste da ballo”, come lo chiamava la piccola Roberta.
    “Ma insomma ci vuoi dire che succede?” sbottò Laura.
    Silvia era nel mezzo della sala mentre un uomo stava accordando del piano forte.
    “Guardate che cos’era nascosto nel pianoforte?”
    “Nel pianoforte?!”
    “Si, Claudia. Nel pianoforte”
    Laura intanto aveva afferrato l’oggetto in questione.
    Sembrava un quaderno… rilegato in pelle.
    Sfogliò alcune pagine. Più che un quaderno, sembrava un diario.
    “E’ un diario… il diario di Rebecca D’ambrosia” puntualizzò Silvia, sfatando i dubbi delle altre.
    “E chi era?” chiese Sofia.
    “Non lo so…” Claudia sembrò perdersi per un attimo in pensieri in accessibili “Leggiamolo! E poi dobbiamo fare delle ricerche… all’anagrafe e nelle chiese”
    “All’anagrafe posso capire ma nelle chiese cosa ci vuoi trovare?” obiettò Laura.
    “Beh si sarà battezzata? Magari si è sposata? Ha battezzato figli? È morta?”
    “Ehi quanta grinta… e pensare che stamattina ti ho visto sottotono” osservò Sofia.
    “E’ che… avevo bisogno di una carica”
    Laura sorrideva. Sua sorella era fatta così. Non c’era niente da fare. Riusciva a cambiare umore con una rapidità sconcertante. Però anche lei era incuriosita da quella storia. Perché nascondere un diario? Anche a lei quella storia metteva una strana carica.
    “Ragazze… allora quando si comincia?”
    “Oggi pomeriggio?”
    Antonia entrò nel salone e mettendosi le mani sui fianchi disse “Voi oggi avete un impegno!”.
    “Antonia, non mi sembra!” disse Sofia un po’ sconcertata.
    “Dovreste provarvi i vestiti che vi ho trovato!”
    “Di già?! Oh, Antonia, sei fantastica!” esclamò Silvia battendo le mani.
    “Ma non possiamo farlo subito?!”
    “No… ora devo preparare il pranzo…! Nel pomeriggio…”
    “E va bene!” disse Laura “E a nome di tutte noi… Grazie!”
    “Non c’è di che!”

    Erano sedute a tavola e Sofia stava cercando di imboccare Roberta che non voleva mangiare.
    “E’ vero che andate a una festa?” chiese Fabio.
    “Si… ma sarà sicuramente una di quelle cose noiose…” commentò Laura.
    “Domenica andiamo a fare un giro in paese?”
    “Perché no… ci sono un sacco di chiese interessanti qui” disse Claudia, lanciando un evidente messaggio alle sue “complici”.
    Silvia rivolgendosi ad Antonia chiese “Come sono i vestiti che hai trovato per noi?”
    “Zitta e mangia!”
    “Un’anticipazione piccola?”
    “Mangia che si fredda la carne e diventa cattiva”
    “Piccola piccola?”
    “Zia Silvia non hai sentito la tata cos’ha detto?”
    Roberta con quelle sue parole da bimba fece scoppiare tutte a ridere.
    Antonia ritirò il piatto di Claudia e le disse “Stai mangiando poco ultimamente. E non mi piace ‘sta faccetta che hai fatto!”
    “Non è niente…”
    “Lo so io che è…”
    “Antonia, è solo stanchezza… sono pressata dagli ultimi eventi…”
    “No, non è stanchezza… è mal d’amore”
    Claudia abbassò gli occhi e con voce tremante disse “Ti sbagli…”
    “Fatti guardare…” Antonia le prese il mento e la costrinse a guardarla negli occhi “Mi sbaglio, eh? Forse avrai ragione tu… però… lo stress non fa brillare gli occhi, Claudia”

    Nel primo pomeriggio Antonia le condusse in una stanza, una di quelle inutilizzate.
    “Sono abiti della signora Cristina…possono andarvi bene. Per esempio c’è questo che secondo me ti starebbe benissimo Laura!”
    Le diede un abito dorato.
    “E’ bellissimo…”
    “Perché non lo provi?” chiese Silvia.
    “Adesso?”
    “Si, adesso…. Vai a cambiarti!”
    “No… prima i vostri…”
    “Silvia… questo nero secondo me ti starebbe benissimo…”
    Era un vestito stupendo. Una spalla era scoperta e scendeva giù come un peplo. Lo spacco era particolare e non profondo mentre un nastro nero circondava la vita,
    “E’ bellissimo…”
    “Sofia… invece questo è perfetto per te”
    Era un vestito semplice beige che si allacciava intorno al collo e lasciava la schiena scoperta.
    “Sicura che mi sta bene? Non sarà un po’ troppo per me?”
    “Ma sarai bellissima!”
    “Se lo dite voi!”
    Antonia prese un abito verde smeraldo e si volse verso Claudia.
    “Questo è per te…”
    “Grazie…”
    “Voglio darvi un consiglio. Seguite sempre il cuore. Non lasciate che l’orgoglio rovini qualcosa di bellissimo, come l’amore. È vero qualche volta fa soffrire ma vale la pena… se non si ama, la propria vita è inutile”.

    Laura stava telefonando al padre. Voleva parlargli di Claudia… magari così sarebbe tornato.
    “Pronto?”
    “Papà… sono Laura”
    “Tesoro… come stai?”
    “Io bene. Tu piuttosto?”
    “Si va avanti. E tua sorella?”
    “Ecco, papà, è per lei che ti ho chiamato”
    “Che succede?”
    “E’ molto stressata. Un po’ giù di morale. Forse se tornassi”
    “Non credo di poter rimandare i miei impegni”
    “Tanto lo sapevo che era inutile!”
    “Laura, non fare così!”
    “Da quando la mamma è andata via, sei sempre stato assente e lontano. E Claudia sembra tornata a quei giorni”
    “Che vuoi dire?”
    “Sembra così distante… le farebbe bene stare con te… ma ovviamente c’è il tuo lavoro!”
    “Non ricominciamo con questa discussione…”
    “Adesso devo andare… ah un’ultima cosa…”
    “Si.. sai chi era Rebecca D’ambrosia?”
    “Mm… questo nome non mi è nuovo… però adesso non saprei dirti chi è. Perché?”
    “Nel pianoforte era nascosto il suo diario”
    “Quale pianoforte?”
    “Quello bianco nel salone grande…”
    “Ah si… non l’hai mai suonato nessuno”
    “Neanche la nonna?”
    “No… nessuno”
    “Ok, grazie. Ora usciamo”
    “Ciao tesoro. E bacia tua sorella per me”
    Laura chiuse il cellulare. Suo padre aveva il potere di farla innervosire in pochi minuti. Non c’era più stato da quando Charlotte lo aveva lasciato. Li aveva lasciati. Lui non era mai riuscito a capirlo… che anche loro erano state abbandonate.
    “Zia Laura…vieni?” Fabio era venuto a chiamarla.
    “Si… eccomi!”
    “Le altre sono tutte in macchina!”
    “Allora dobbiamo fare una corsa…”
    Laura prese per mano il bambino e cominciarono a correre.
    “Eccovi finalmente!” esclamò Sofia “Entrate in auto!”
    “Secondo me è meglio andare all’anagrafe… adesso, no?” disse Silvia.
    Claudia disse pensierosa “Ho uno strano presentimento…”
    “Che presentimento?”
    “…Non lo so con esattezza. È una sensazione strana!”
    Arrivarono in breve tempo all’anagrafe ma non ebbero, ovviamente, il permesso.
    “Dovevamo prevederlo!” disse Laura sconsolata
    “Già… qualcos’altro ci sarà, no?”
    Erano in un vicolo un po’ buio ed isolato e tirava una brezza leggera. Si sentirono dei passi leggeri, appena accennati.
    “Avete sentito anche voi?” chiese Claudia.
    “Cosa?”
    “Dei passi…”
    Si voltò nuovamente e vide una sagoma circondata da alone bianco. Non le ci volle molto a riconoscere il fantasma della “donna misteriosa”, come ormai erano soliti chiamarlo a casa.
    Il fantasma scomparve dietro l’angolo.
    “L’avete vista?”
    “Ma chi?” chiese Laura nervosamente.
    “Lei!”
    “Claudia, sarà stata un’allucinazione” disse Sofia “Non la vediamo da giorni…”
    “Ma era lì!” indicò il punto in cui l’aveva vista.
    Silvia scosse la testa. Claudia invece si girò e cominciò a camminare verso il punto in cui aveva visto sparire il fantasma. Girò anche lei l’angolo.
    La strada sembrava ancora più buia della precedente. Il rumore dei suoi passi echeggiava.
    Ben presto anche Laura, Silvia e Sofia con i bambini la raggiunsero.
    “Mi fa paura questa strada! Andiamo via!” disse Silvia.
    Laura annuì in silenzio e provò a tirare indietro la sorella. Claudia si liberò dalla stretta e andò avanti.
    Una sagoma si disegnò sul portone e questa volta tutte riconobbero “la proprietaria”.
    Sofia prese in braccio Roberta e coprì gli occhi di Fabio mentre Claudia si avvicinava al portone. Alzò gli occhi e realizzò che era il portone di una chiesa. Timorosa, decise di entrare.
    “Non possiamo lasciarla sola…!” disse Laura e seguì la sorella.
    “Dai, Sofia… è meglio entrare che restare in questa brutta strada!”
    “Si…”
    Claudia e Laura si muovevano silenziosamente. Era una chiesa molto semplice, in stile romanico. Sembrava che nessuno entrasse da molto tempo a giudicare dalla polvere presente un po’ ovunque.
    Silvia tossì mentre Claudia era sempre più vicina all’altare.
    Una voce rauca esclamò sgomenta: “Signora Rebecca!”
    Claudia si voltò e dalla Sacrestia comparve un anziano prete. Aveva pochi capelli che coprivano le tempie. Il viso era stanco, pieno di rughe. Gli occhi, però, avevano una strana luce.
    “Non sei lei…” disse.
    “Io… mi chiamo Claudia Ferrari…” disse lei tremante.
    “Ferrari? Le somigli…”
    “Di chi state parlando?”
    “Era una donna simpatica. Veniva sempre in chiesa e ci aiutava nelle opere di beneficenza. Però lei stava male qui, me lo ricordo… era di Venezia. Le mancava la sua città…”
    “E perché era venuta in questo paese?” chiese Claudia con gentilezza.
    “Perché doveva sposarsi. Ma lei non era felice. No… neanche dopo che aveva avuto il bambino. Suo marito la ossessionava. Era geloso… anche di me. Ma soprattutto era geloso di un volontario… diceva che girava troppo intorno alla moglie, che lei lo tradiva… ma non era vero!”
    “Ma chi era questa donna, padre?”
    “Si chiamava Rebecca… Rebecca D’ambrosia Ferrari…”
    Claudia sussultò mentre Sofia con tono incerto domandò “E chi era suo marito? E suo figlio?”
    “Il marito si chiamava Ludovico Ferrari, il figlio Giovanni…”
    “Il nonno…” mormorò Laura con le lacrime agli occhi.
    “E poi cosa successe?” insistette Claudia.
    “E’ scomparsa… da un giorno all’altro… senza dire niente a nessuno… e poi il marito ne ha dichiarato la morte… ma il suo corpo… non è mai stato ritrovato! E io fino all’ultimo ho sperato che lei…”
    Claudia strinse una delle mani del prete e chiese con le lacrime agli occhi “Ma poi suo marito e suo figlio?”
    “Il marito è morto suicida…”
    “Come?”
    “Si è tolto la vita dopo un mese… una vittima dell’amore”
    “E’ terribile” esclamò Sofia.
    “Si… è terribile! Vi capita mai di avere delle visioni? Di vedere qualcuno che vi ha lasciato? Io la vedo… sempre… Rebecca… la sento che cammina in chiesa”
    “E secondo lei, perché si mostra ancora e non riposa in pace?” chiese Laura
    “Perché il suo corpo non ha avuto sepoltura… perché è ancora da qualche parte… Voi la vedete, vero?”
    Claudia guardò Laura, poi Silvia e Sofia e annuì.
    “Dovete darle giustizia. Altrimenti il fantasma del lago vagherà ancora. E torturerà altre generazioni…” disse il padre infervorato.
    “Da quanto circola la leggenda… del fantasma del lago?”
    “Dal 1938. Io avevo 18 anni e mi avviavo a prendere i voti…”
    “Grazie, padre… Adesso sarebbe opportuno andare” disse Sofia
    “Che Dio vi protegga”
    Uscirono dalla chiesa e si diressero a passo veloce verso l’auto.
    “Adesso cosa si fa?” chiese Laura.
    “Si indaga… l’avvocato Diamante potrà sicuramente dirci qualcosa di più, non trovi? E poi abbiamo il diario di Rebecca. E sono sicura che a casa sono nascosti tanti indizi!” esclamò Claudia.
    “Non vorrete dare ascolto ad un prete? Ha quasi 90 anni! Può essersi totalmente rimbecillito!” disse Sofia spazientita.
    “Infatti ho appena detto di verificare…” disse Claudia.
    “Secondo me è una follia!”
    “Ragazze, basta! Non litighiamo… verifichiamo… e poi… poi si vedrà!”

    Il mattino dopo, la tensione in casa era palpabile.
    La sera precedente avevano avuto un’accesa discussione poiché Sofia giudicava opportuno accantonare la faccenda mentre le altre si dicevano convinte nel portare avanti le ricerche.
    Claudia si era impossessata del diario e aveva cominciato a leggere.
    Era una donna fragile, Rebecca. Il tono usato nel libro era sempre triste, colmo di nostalgia per una vita che non le apparteneva più.
    Le sue uniche gioie erano date dal figlio che, quando era stato scritto il diario, aveva 12 anni.
    Con il marito litigava frequentemente. Quasi ogni giorno a giudicare da ciò che era scritto. Era ossessivamente geloso. Da farle paura a volte.
    Il loro non era stato un matrimonio d’amore quanto d’interesse. Lei era più giovane di lui. Aveva 34 anni, mentre lui ne aveva 48.
    Chissà se era vero che la differenza d’età c’entrava con l’amore…
    Nel loro caso, era stata sicuramente un motivo di allontanamento, di incomprensioni.
    Però se si riuscisse a scorgere il reale animo di quella persona, la si potrebbe amare comunque.
    La storia di quella la coinvolgeva tantissimo e in qualche modo sentiva di esserne parte.
    E le dava l’opportunità di isolarsi dal mondo.
    Aveva un po’ paura per quella sera. Non le erano mai piaciute occasioni mondane.

    Intanto Tommaso stava parlando con Riccardo a casa dell’amico.
    “Mi sento così confuso…” cominciò “Ti è mai capitato di sentirti assalito dal pensiero di una persona?”
    Riccardo lo guardò un po’ spiazzato ma poi rispose “Qualche volta… Perché?”
    “Perché… non riesco a togliermela dalla testa!” sbottò con un tono indecifrabile “La penso in ogni momento… la sogno ogni notte. La vedo ovunque!”
    “Ma chi?”
    “Claudia” Tommaso sussurrò il suo nome a bassa voce quasi temendo la possibile reazione dell’amico.
    Riccardo annuì e sorrise.
    “Aveva ragione…” disse Tommaso.
    “Su cosa?” chiese distrattamente l’amico.
    “Sull’Amore. Non è un’illusione… è qualcosa che non ti aspetti, che arriva nel momento razionalmente meno opportuno. Per la persona che meno ti saresti aspettato. Invece capisci che poi doveva essere così”
    “Perché?”
    “Perché prima avevi una vita vuota, grigia. Si, la mia vita era così! Poi è arrivata lei e ha cambiato tutto. Ha colorato tutto. Come fanno i bambini coi pennarelli da bambini. Colorano sui muri e danno un po’ di vivacità a qualcosa di triste”.
    “Io non ti riconosco. Sei… diverso, Tommaso. Dicevi che non ti mancava niente! E dov’è finito quello che diceva di non avere tempo per “un’illusione chiamata amore”?”
    “E’ proprio quando pensiamo di avere tutto che arriva qualcosa che ci accorgiamo di non avere ma di aver sempre desiderato. Ed è bello ricredersi…”
    “Che cosa provi quando pensi a lei?”
    “Non credo sia definibile… so solo che il cuore batte forte. Solo perché sono un medico so che non scoppierà. Normalmente una persona ha 60 battiti al minuto ma quando ci si innamora.. beh sono molti di più!”

    Il telefono squillò e Sofia rispose prontamente.
    “Pronto?”
    “Sono l’avvocato Daniele Diamante. Cercavo la signora Sofia Della Rosa”
    “Sono io, Daniele”
    “Ah, Sofia.. non ti avevo riconosciuta. Ecco io mi domandavo se… andate al gala stasera?”
    “Si… certo”
    “Michiedevosepotevoaccompagnarvi?”
    “Come scusa?”
    “Mi chiedevo se potevo accompagnarvi…”
    “Oh… certo! Non c’è nessun problema! Anzi ti ringrazio…”
    “Non c’è di che” Daniele stava per dire qualcos’altro quando si bloccò.
    “Devi dirmi qualcos’altro?”
    “N-no… non c’è niente. Allora a stasera?”
    “Si, va bene. A stasera”
    “A stasera”
    Daniele chiuse la telefonata guardando sconsolato la figlia Marta che gli stava davanti.
    “Ma papà che ti è preso?”
    “Non lo so… mi sono bloccato!” cercò di giustificarsi lui.
    “Ma che ci voleva a chiederle se le andava di uscire una di queste sere?”
    “Preferisco dirglielo di persona”
    Marta guardò suo padre e sorrise.
    “Perché ridi?” le chiese Daniele.
    “Non ti vedevo così da tanto. E sono contenta per te!”
    “E come sono adesso?”
    “Più imbranato del solito e poi sembri contento. Deve essere speciale questa Sofia!”
    “Si… è una donna straordinaria” disse sognante.
    “Papà…” Marta si fermò un attimo e guardò il padre. Raramente andavano d’accordo ma quando succedeva lei si sentiva contenta. “Spero che sia quella giusta. Insomma, quella che potrà renderti felice. Dopo la mamma intendo”
    Daniele sorrise e l’abbracciò. Senza dire nulla. Ci sono momenti in cui le parole sono di troppo.

    Laura si guardò allo specchio e poi disse “Ma Claudia? Quando scende…”
    Antonia, mentre saliva le scale tenendo per mano Fabio e Roberta, disse “Stai tranquilla… arriverà…”
    “Speriamo” brontolò Silvia “Ma c’è anche Marcello?”
    “Non lo so. Comunque lui voleva dirmi qualcosa” sbottò Sofia.
    “Lui chi?” chiese Laura.
    “Daniele. Ma non so perché gli è mancato il coraggio…”
    “Potresti chiederglielo stasera!” disse Silvia.
    Il cellulare di Sofia squillò per un istante e la donna andò ad aprire il cancello.
    “Ma insomma Claudia…”
    “Eccomi!”
    Claudia scese rapidamente. Sembrava tesa e preoccupata.
    Silvia aprì la porta ed uscirono.
    “Siete tutte bellissime!” disse Marcello, posando il suo sguardo su Silvia.
    “Dovrete dividervi perché siamo venuti con due macchine!” disse Daniele.
    “Silvia e Claudia possono venire con me e Laura e Sofia con te!” disse Marcello.
    Le ragazze annuirono ed andarono in auto.
    Silvia era stupita dall’atteggiamento di Marcello. Le aveva aperto la portiera e le aveva sorriso. E poi le parlava come un vero gentiluomo.
    Ci sono uomini che riescono a stupirci anche con un gesto semplicissimo.

    Villa Carnevale era addobbata a festa. Molti degli ospiti erano già arrivati.
    Tommaso si accinse subito a salutarli.
    “Benvenuti!”
    Abbracciò Marcello e Daniele e sorrise alle ragazze.
    Claudia appariva a disagio e la sua espressione lasciava immaginare il turbamento interiore che la stava assalendo.
    “Andiamo a salutare tua madre e Diletta” disse Marcello.

    Silvana Carnevale e sua figlia si somigliavano in molte cose.
    Amavano entrambe le feste.
    Amavano entrambe essere oggetto di complimenti.
    Amavano essere al centro dell’attenzione.
    Amavano vestire firmato.
    Amavano essere sempre in ordine.
    Amavano avere il controllo delle proprie vite.
    E non solo.
    Odiavano gli imprevisti.
    Come l’amore.
    Come i sentimenti.
    Perché non si potevano controllare.
    “Signora Carnevale” disse Daniele stringendo la mano all’anziana signora “Diletta. Sono felicissimo di essere qui stasera”.
    “E noi di ricevervi come ospite” disse cortese Diletta.
    “Le nipoti della cara Ginevra! Sono davvero contenta di avervi qui” disse tagliente la madre.
    “Alla fine ci siamo dette che la nonna sarebbe stata contenta di vederci vostre ospiti. Concordate signora?” rispose Claudia con tono sibillino.
    “Assolutamente. Spero vi divertiate stasera!” intervenne Diletta.
    “Non potrà essere che così” disse Sofia con un sorriso tirato.

    “Claudia, ma cosa ti è preso? Metterti a battibeccare con la padrona di casa!” disse Laura strattonando la sorella.
    “Ma l’hai sentita?! Non dirmi che quelle allusioni sono state solo frutto della MIA fantasia!” ribatté la rossa infervorata.
    “Si, le ho sentite anche io quelle allusioni. Però... come dice il tuo amatissimo Dante? ‘Non ti curar di loro ma guarda e passa’!”.
    “Io non ci riesco. Lo sai che a volte non posso fare a meno di esplodere!”
    “Passiamo alle prime positività di questa serata…” disse la pittrice sorridente.
    “Vale a dire?”
    “Un certo dottorino non riusciva a staccarti gli occhi di dosso!”
    Claudia sorrise e si voltò in cerca di Tommaso.
    “Laura!”
    Riccardo aveva inavvertitamente urtato la ragazza.
    “Riccardo…”
    Claudia si allontanò rapidamente lasciando sola con Riccardo sua sorella.
    “Non credevo che saresti venuta alla fine!” disse lui sorridente.
    “Mia sorella e le mie cugine ci tenevano così tanto e mi dispiaceva lasciarle sole”.
    “Sei davvero bellissima!”
    “Grazie. Lo hai detto anche alla tua Diletta questo?” replicò tagliente.
    L’espressione sul viso di Riccardo si indurì e lui disse con tono greve “Perché dici così?”
    “Perché non è vero? E’ deliziosa nel suo tailleur bianco Armani stasera…” commentò lei.
    “Tu però sei più bella” disse lui con innocenza.
    “Non è una cosa carina da dire a una ragazza che non è la tua fidanzata, lo sai?”.
    Il suo tono pesantemente sarcastico colpì Riccardo come uno schiaffo in pieno viso. E lui rimase lì a guardare mentre si mescolava ai tanti invitati con gli occhi colmi di delusione.

    “Sofia, vuoi da bere?” chiese con gentilezza Daniele.
    “Si, grazie”.
    “Anche io. Vado al bar. Cosa ti prendo?”
    “Mah… sai che non lo so? Ti accompagno così poi decido!”
    La donna sorrise e Daniele sentì di nuovo dopo tanto tempo, all’improvviso, quelle tanto famose “farfalle nello stomaco”.
    Era possibile tornare ad amare dopo così tanto tempo? Si poteva avere un’altra possibilità dalla vita? Era giusto nei confronti di chi non c’era più?

    “Se vuoi ti faccio vedere un po’ il resto della casa. La conosco bene!” sussurrò Marcello tra la folla a Silvia.
    “Tipo le camere da letto? No, grazie!” replicò lei bruscamente.
    “Perché devi sempre essere così acida?”
    “Io non sono acida!”
    “Fai di tutto per mostrarti così allora.”
    Silvia si incupì e si voltò verso la finestra per ammirare il giardino decorato con splendide illuminazioni.
    “Comunque pensavo che fosse una cosa che avrebbe potuto interessarti. Ma visto che non vuoi…” disse lui lasciando cadere.
    “Marcello…” cominciò lei abbassando lo sguardo “Cosa vorresti farmi vedere?”
    “Vieni con me”
    L’uomo le prese la mano e la condusse via, lasciandosi alle spalle la folla.

    Claudia sembrava smarrita tra quella gente. Osservava, studiava i presenti. Sembravano tutti così esenti dai problemi del mondo esterno. Interessati solo a parlare dell’ultimo affare di quello e dell’ultimo fidanzato di quella.
    Dov’era Laura?
    E Silvia e Sofia?
    Avrebbe voluto maledirsi per aver accettato quell’invito. Per chi poi? Per un dottore appena conosciuto. Per uno che all’amore non ci credeva. Per uno che le faceva battere il cuore più forte solo al pensarlo.
    “Finalmente ti ho trovata!”.
    Lupus in fabula. Claudia sospirò sorridendo.
    “Non sai quanto sia felice di averti qui. Ti giuro che mi hai sorpreso!”.
    “E perché mai?”
    “Non so. Ti ho sentita distante per un po’. E poi mi aspettavo scendessi l’altra sera. Alla caletta!”
    “Ero stanca. E poi non pensavo ci fossi”.
    “Ti ho aspettata fino all’alba”.
    “Mi spiace. Se avessi saputo...”
    “E’ stato bello anche solo pensarti”.
    Claudia si sentì arrossire. Ma che cosa stava succedendo? Perché all’improvviso l’emozione le impediva di dire qualsiasi cosa. Perché i battiti del cuore impedivano al suo cervello di pensare.
    “Balliamo!” disse Tommaso sorridente.
    “Che cosa?! Oh no…” rispose lei spiazzata.
    “Vieni”.
    La giovane giornalista si sentì afferrare la mano con foga e fu condotta nella sala da ballo.
    Molte coppie erano strette in un lento.
    Tommaso la condusse in un angolo della sala e con un braccio avvolse la sua vita, stringendole poi la mano.
    “Ti devo confessare una cosa” sussurrò lui al suo orecchio.
    “Che cosa?”
    “Di solito detesto ballare”.
    Claudia sorrise e avvicinandosi un po’ a lui, chiese complice “E come mai stasera non è stato così?”.
    “Perché ci sei tu”.
    Claudia lo guardò negli occhi. Era diverso quella sera. O forse, no?

    Silvia e Marcello percorrevano silenziosamente uno dei corridoi di Villa Carnevale.
    “Ma insomma dove mi stai portando… e perché bisbigliamo? Mi sembra d’essere una ladra!” disse la ragazza.
    “Sei tu che bisbigli! Comunque siamo arrivati. Però aspetta devi chiudere gli occhi!” disse Marcello.
    “Ah… ancora con questi giochetti. Entriamo e basta!”
    “Eh, no. O con gli occhi chiusi o niente!”
    Silvia fece la faccia imbronciata provocando l’ilarità dell’uomo. Poi chiuse gli occhi e si lasciò guidare.
    “Attenta!”
    “Dove?”
    “Ma qui. Sulla destra!”
    “Nel caso non lo avessi notato. Mi hai praticamente ordinato di chiudere gli occhi! E se mi faccio male sarà tutta colpa tua!”
    “Vieni qui!”
    “Qui dove?”
    Marcello prese la sua mano e la portò verso un angolo della stanza.
    “Ora siediti qui!”
    “Mi fa un po’ paura… non è che cado?”
    “No. Fidati!”
    Fidarsi era sempre stato un problema per Silvia. Da quando si era fidata troppo di persone che le avevano detto troppe bugie.
    Da quando aveva capito che nel fidarsi devi sempre considerare la possibilità d’essere tradita.
    Però ci sono momenti in cui viene voglia di lasciarsi andare, di dimenticare il passato, ciò che è stato, e di non pensare a ciò che sarà perché spesso è l’unico modo di vivere il proprio presente come è degno d’essere vissuto.
    Silvia, reggendosi al braccio di Marcello, si sedette su uno sgabello.
    “Posso aprire gli occhi adesso?”
    “Direi di si!”
    Silvia spalancò i suoi occhi verdi e si trovò seduta sullo sgabello di un pianoforte, un magnifico pianoforte.
    “Ma… Marcello… è bellissimo…!”
    “Perché non suoni qualcosa?”
    “Potrebbero sentirci…” disse lei un po’ timorosa mentre con le dita sfiorava il piano.
    “Chi vuoi che ci senta!? Sono tutti di là. E poi comunque non stiamo facendo niente di male!”
    “Ma…”
    “Dai, Silvia! Lo vedo che vorresti tanto suonare quel piano...”
    “E va bene. Ma se s’arrabbiano è colpa tua! Scelgo io cosa eseguire?”
    “Assolutamente si!”
    Silvia sorrise e cominciò a sfogliare con cura gli spartiti.
    “Hai mai sentito l’ouverture de ‘La traviata’?” chiese gentile.
    “Sinceramente non ricordo!”
    “Allora la suonerò!”
    Le dita di Silvia scivolavano agili ed esperte sulla tastiera eseguendo ottimamente l’opera di Verdi.
    Intanto Marcello, seduto su un comodo divano di pelle nera, osservava la pianista scorgendo l’espressione estasiata che era comparsa sul suo volto e la luminosità dei suoi occhi verdi che le conferiva un’aria più radiosa che mai.

    Laura ripensava al suo comportamento.
    Cos’è che l’aveva spinta a comportarsi così?
    Ma soprattutto perché?
    Tutte le donne amano i complimenti. E lei non li aveva mai disdegnati!
    Perché adesso con Riccardo si era complicato tutto?
    Perché sapere che tutto avveniva di nascosto le dava disagio.
    Intanto alcuni signori al centro della sala stavano parlando. Tra loro c’era anche Tommaso che era accanto a sua madre, a sua sorella e… a Riccardo.
    Sussultò quando sentì qualcuno stringerle la mano.
    “Claudia! M’hai fatto prendere un colpo!”
    “Mi sento strana!”
    “Che succede?”
    “Batte forte! Troppo forte! E mi sento a disagio perché Tommaso si comporta in modo ambiguo…”
    “Che ha fatto?”
    “Beh, abbiamo ballato. Lui mi ha detto che gli piace pensarmi e che ha ballato solo perché ci sono io!”
    “A quanto pare il tuo innamorato ricambia…”
    “Dai, Laura. Non scherzare! Io mi tormento e tu mi prendi in giro”
    “Ah, come cresce la mia piccolina!”
    Tommaso, a cui era stato chiesto di dire due parole, prese il microfono che avevano messo a disposizione e cominciò a parlare del motivo per cui si era organizzata la serata, ossia donare fondi a un’associazione che si occupava dei bambini malnutriti in Africa.
    “Inoltre vorrei dire una cosa… stavolta un po’ più personale…” disse lui schiarendosi la voce “Vorrei dire a una persona che stasera sono stato più che felice di averla qui e devo ringraziarla perché mi ha fatto ricredere su una cosa importantissima… e ho scoperto che è bello ricredersi. Quindi… grazie!”
    Claudia si sentì avvampare. Prese la mano della sorella e se la mise sul cuore.
    “Senti come batte? Non è troppo forte? Non è che muoio oppure che ho una malattia al cuore perché non può fare così…”
    “Una malattia ce l’hai…” disse Laura seria.
    “Oddio… e che cos’è? È mortale? Fa male?”
    “A volte fa soffrire tantissimo le sue vittime però spesso e volentieri le rende molto, molto, molto felici! Si chiama amore!”.
    Claudia sospirò. Era dunque vero? Si stava innamorando? No, peggio. Era già innamorata.

    “Allora ti è piaciuta?” chiese Silvia sedendosi accanto a Marcello.
    “E’ bellissimo. Suoni davvero bene”
    Silvia sorrise e sussurrò “Grazie”.
    Marcello la guardava fisso e lei non riusciva a non sentirsi profondamente imbarazzata.
    “Certe volte non ti capisco…” disse poi distogliendo lo sguardo.
    “Perché mai?”
    “Fai di tutto per apparire acida e fredda ma in realtà sei tutt’altro. Ti ho osservata tanto”
    “Non è colpa mia. È colpa della vita se sono così”
    “Forse è perché non ti fidi abbastanza!”
    “Non ho motivi per avere fiducia nelle persone, in ciò che questa vita può riservarmi!”
    “Creali da te i motivi, Silvia. Ti lasci andare così?”
    “Non ne ho la forza”.
    E, come se si fosse troppo a lungo trattenuta, scoppiò in un pianto irrefrenabile mentre Marcello l’abbracciava e la stringeva confortandola più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
    La donna si staccò timidamente asciugandosi le lacrime.
    “Scusa…”.
    Marcello la zittì poggiandole un dito sulla bocca carnosa e poi la baciò.

    Sofia e Daniele scivolavano sorridenti tra la folla. Avevano assistito al discorso e adesso erano in cerca delle altre.
    “Sofia, posso chiederti una cosa?”
    La donna si fermò annuendo e guardando l’avvocato negli occhi.
    “Una di queste sere ti andrebbe di… non so di… di…”
    “Di fare cosa?” chiese lei incoraggiante.
    “Ecco di uscire”.
    “Ma certo! Così mi farai conoscere queste zone!”
    “Beh, non sono un granché. Sono cose semplici”
    “Non esistono cose semplici”
    “Ma non è vero… ci sono desideri che sono di una semplicità unica!”
    “No, invece. Se adesso io dicessi di volere un gelato mi basterebbe cercare un bar e comprarlo. Ma c’è gente nel mondo che muore di fame. Quindi nulla è semplice, meno che mai i desideri”.
    “Forse hai ragione”
    “Passare troppe ore con Claudia mi fa male!”
    Daniele rise e Sofia accennò un sorriso poi si avvicinò alla finestra.
    “E’ incredibile, vero?”
    “Cosa?”
    “Il potere della luna. Guarda adesso quasi non c’è più però… prima o poi spunta sempre no? Ci ricorda che c’è sempre una speranza anche quando tutto ci sembra buio”.
    “Si... bisognerebbe guardarla più spesso, la luna”.

    Claudia era uscita in giardino e, appoggiata alla ringhiera, guardava il lago ripensando alle emozioni di quella serata.
    “Ti ho cercata dappertutto!” disse Tommaso scherzando.
    “Avevo bisogno d’un po’ d’aria!” si giustificò lei mentre veniva percorsa da un brivido, chissà se per il freddo o per altro.
    L’uomo parve accorgersene e si tolse immediatamente la giacca poggiandola sulle spalle della donna.
    “Grazie…”
    “Non c’è di che…” sorrise lui guardandola.
    Claudia si perse nel suo sguardo, provando a non dare segni di cedimento, poi, abbassando gli occhi, guardò verso il lago.
    E tra loro cadde un silenzio. Un silenzio strano. Non imbarazzante. Magico. Come se solo grazie a quel silenzio entrambi avessero preso coscienza delle cose che stavano accadendo con così tanta velocità.
    “E’ più bello quando c’è la luna, vero?” disse Claudia con innocenza.
    “Decisamente… non so se hai sentito prima quando mi hanno chiesto di parlare…” cominciò lui imbarazzato.
    “Ho sentito… è bello crederci, no?”
    “Mi sento meglio con me stesso adesso. Forse perché so cosa, anzi, chi voglio”.
    E tra loro ricadde ancora quel silenzio. Più denso. Più carico di significati. C’era un leggero venticello che tirava quella sera facendo muovere i capelli rossi di Claudia dandole un’aria più selvaggia che mai.
    “Questi capelli…” disse lei cercando di rimetterli in ordine.
    “Sono belli. Così lo sono anche di più” sussurrò lui accarezzandoli.
    “Non dire sciocchezze. Sono indomabili!”
    “Come te… ma proprio per questo sei bella come poche! Claudia, io…”
    “No!” Claudia gli poggiò una mano sulle labbra “Ti prego…”
    “Ma perché?”
    “Perché non è il momento… ci sono troppi guai. Io sono la figlia di…”
    “Non m’interessa! Io voglio stare con te, solo con te. Non m’importa che cos’abbiano fatto i tuoi genitori!”
    “Potresti avere donne migliori di me”
    “Non esistono”
    “Tommaso, ti prego. Mi conosci da poco…”
    “E’ da sempre che ci conosciamo. E lo hai sentito anche tu. Quella notte in riva al lago…”
    “Si, ma…stanno succedendo troppe cose contemporaneamente e non so se sono pronta a…”
    “Claudia, qualsiasi cosa accadrà, io ti aspetterò...”
    “Prima o poi ti stancherai e…”
    Stavolta su Tommaso a zittirla, chiudendola in un abbraccio appassionato, carico di mille e più promesse.
    “Se dovessi stancarti…” cominciò lei.
    “Ti prego, Claudia. Non dire nulla. Adesso voglio solo abbracciarti un altro po’. Poi giuro che ti lascio andare”.
    Mentre le lacrime scendevano prepotenti e silenziose dagli occhi, la ragazza sussurrò “Sai cosa dicono a proposito del ‘lasciar andare’?”
    “No…”
    “Che se ami una persona devi lasciarla. Se torna da te, sarà tua per sempre, altrimenti non lo è mai stata”.
    “T’aspetterò per ogni giorno della mia vita”
    Claudia gli posò un lieve bacio sulle labbra poi, dandogli la giacca, rientrò in casa, voltandosi un’ultima volta per incrociare lo sguardo di Tommaso.

    Laura si era seduta sugli scalini fuori la Villa, aspettando le cugine e la sorella quando Riccardo arrivò e si sedette accanto a lei.
    “Scusa per prima…” sussurrò lei “Non so cosa mi sia preso!”
    “Fa nulla…ti stai annoiando?”
    “No, ma queste cose non fanno per me”
    “Neanche per me!”
    “Le farai male…”
    “Scusa?”
    “A Diletta”
    “Perché?”
    “Una donna capisce quando un uomo la guarda negli occhi e ne vede un’altra”
    “Tu non sei solo un’altra…” sibilò lui.
    “Cosa c’entro io?”
    “Io ti amo, Laura. Da quando ci siamo incontrati. Ti ho amato a prima vista!”
    “Chi ama a prima vista tradisce a ogni sguardo, Riccardo”
    “Ti prego. Credimi!”
    “Sai qual è la cosa più brutta? Che non riesco a non crederti. Non riesco ad allontanare l’idea che ho di te dalla mia mente! Ma tu stai con un’altra. E poi io non sono il tipo di persona che s’innamora così. Di uno incontrato qualche giorno prima…” disse lei col volto rigato di lacrime.
    “Quindi mi ami?”
    “Io non so se è proprio amore però… non saprei come chiamarlo!”
    Riccardo, senza aspettare altre parole, strinse forte Laura a sé baciandola.
    “Ma sei impazzito… noi…”
    “Andiamo via di qui”.
    L’amore conosce vari mezzi di trasporto. Spesso basta uno sguardo, un pensiero. Altre volte invece occorre qualcosa di più concreto. Come una moto. Perché a volte è su questa che volano via due amanti. Come Laura e Riccardo.
     
    Top
    .
  10. Stellin@_18
     
    .

    User deleted


    ragazze ho deciso che non posto più a capitoli... perchè ci metto troppo a scriverli.. e sono troppo lunghi...

    Diletta si muoveva nervosamente tra gli invitati. Dov’era finito Riccardo? Doveva presentarlo a un importante giurista. Camminava nervosamente lungo il corridoio quando, nello svoltare l’angolo, urtò un uomo.
    “Mi scusi, signora!”.
    Era un cameriere.
    “Non si preoccupi. Ma faccia più attenzione. Ha visto il dottor Riccardo Bentivoglio? Alto, con occhi e capelli castani! Dovevo presentarlo a delle persone!”
    “No, non l’ho visto. Ma non potrebbe darsi che se ne sia andato?”
    “Riccardo, non ha mai abbandonato una delle mie feste!”
    “Esiste sempre una prima volta…” disse il cameriere un po’ insolente.
    Poi, sotto lo sguardo di un’irritatissima Diletta, si diresse in sala.


    Laura, con l’aria sconvolta, era entrata in casa. Si era tolta le scarpe per non fare rumore. Il sole non era ancora sorto. Salì le scale lentamente e poi si diresse verso la camera della sorella.
    Claudia stranamente sembrava tranquilla. Le si avvicinò piano e la chiamò a bassa voce.
    “Claudia. Cla. Cla. Ti prego svegliati!”
    La sorella si svegliò con qualche lamento e con voce assonnata chiese “Cosa c’è che non va? Dov’eri finita ieri sera?”
    Laura cominciò a piangere e costrinse Claudia a sedersi sul letto per abbracciarla.
    “La, che cosa è successo?”
    “Ho passato la notte con Riccardo! E ho sbagliato. Lui sta con un’altra… anche se ha detto che… che mi ama…ma io lo so che non la lascerà mai”.
    “Ehi… tu hai bisogno di riposare. Stacca un po’ da lui. Poi deciderai cosa fare, ok?”
    Laura annuì poco convinta poi si stese sul letto insieme alla coperta.
    “Devo prepararmi. Oggi devo andare a Roma. Tu riposati!”
    “Puoi passare a casa mia? Per qualche vestito in più. Le chiavi le hai, no?”
    “Si. Stai tranquilla. Prendo la tua macchina”.
     
    Top
    .
9 replies since 20/8/2007, 16:28   879 views
  Share  
.