Io e Alexandra

Scritto introspettivo

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    In Nomine Borgia

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    Essere se stessi, nella buona e nella cattiva sorte. Un matrimonio fra cuore e spirito. Questo è ciò che c’insegna il Cristianesimo. Questa è l’unica dottrina in grado di avvicinare il Regno di Dio al mondo degli uomini.
    Peccato che in un mondo trafficato dalle auto e dai computers, l’essere se stessi equivalga più ad uno sforzo mentale che ad un impegno da svolgere con naturalezza.
    La società c’impone dei canoni da seguire ma l’uomo è una creatura imperfetta, vittima delle proprie emozioni, dei propri scandali e dei propri fanatismi. Anche gli scienziati falliscono perché aspirano a doni troppo elevati.
    La perfezione assoluta è solo un verbo ingannevole, una sillaba dal sapore agro-dolce capace di ammorbidirci il palato o di rivoltarci l’intestino.
    Esternamente siamo il frutto prodotto da un identico albero: due occhi, due piedi, due braccia ed un viso.
    Indossiamo jeans da mercato, vestiti firmati e camminiamo sia sulle punte dei tacchi che dentro scarpe di gomma.
    Abbiamo una lingua, delle idee, dei cervelli. Insomma…pensate davvero che la moda comune rechi soddisfazione al nostro ego?
    Troppo spesso ci si dimentica che Dio ha plasmato i suoi figli ad immagine e somiglianza dell’Amore e l’amore divino possiede un numero infinito di colori e d’identità.
    Clonare l’anima e fare in modo che gli altri accettino un nuovo burattino nel gruppo…no…questo non significa vivere.
    Significa solo torturare i nervi, piegarsi alle leggi mondane, abbassare il tono al nostro quoziente intellettivo e fingere 24 ore su 24 che il personaggio inscenato regga dignitosamente.
    Internet è stata la valvola di sfogo per chi, come me, aveva bisogno di estraniarsi dalla società quotidiana ed imparare a governare al meglio il proprio io.
    Perché ho scelto di scrivere come Lady Alexandra piuttosto che come Marilena Frigiola?
    Si potrebbero scrivere dei papiri su questo ma credo che il concetto sia chiaro più o meno a tutti. Quando abbiamo bisogno di esternare noi stessi e di far vedere agli altri ciò che si cela nella nostra anima, il traguardo primario da raggiungere è quello di un nick appropriato, un pseudonimo che ci rispecchi fedelmente e che al contempo mantenga la nostra esistenza in un’area riservata.
    Una maschera, ecco cos’è un nick.
    Siamo cavalieri e dame che al momento propizio decidono di aprire la fantomatica scatola e indossare abiti diversi.
    La vita è una grande recita ma anche il più incallito ipocrita prima o poi avverte l’urgenza di rivelarsi al pubblico e di tirar giù le tende.
    Anch’io recitavo la vita durante i tempi del liceo.
    Indossavo maschere su maschere, vivendo in castelli di sabbia, celandomi alla luce perché temevo che un suo riverbero potesse ustionarmi.
    Se il vento del nord agitava le fronde e il castello crollava…niente paura! La fantasia mi permetteva di innalzare una nuova costruzione semplicemente schioccando le dita.
    Pollice e indice, indice e pollice.
    Un unione di polpastrelli.
    Il segreto stava lì.
    Non avevo nick, allora…solo chicchi di sabbia da raggruppare ed avevo il tempo contro di me, mille lancette che ruotavano nel quadrante di un unico orologio, rubandomi dalle mani tesori che non avevo la forza di trattenere.
    Ero debole, schernita da chi vedeva nei miei ideali solo un accenno d’infantilismo.
    Non sapevo affilare le unghia e non riuscivo a graffiare.
    Tacevo, ma dentro lo stomaco urlavo.
    Ho continuato ad urlare con lo stomaco per anni, troppi anni.
    Ed ho continuato a tacere credendo di essere una ragazza sbagliata, un errore della natura, con una psicologia strana.
    Non ero folle, ahimè…solo una sognatrice.
    Credevo nelle leggende, negli eroi, nella buona fede di coloro che si professavano amici.
    I miei occhi guardavano ciò che stava in superficie ma il cuore…lui andava oltre e vedeva ciò che avrebbe potuto vedere un cieco. La verità, quella nuda e cruda.
    Quella che la razionalità umana rifiuta ma che l’anima non può fare a meno di accettare.
    La mia vita è stata un susseguirsi di frane, di lividi e di piccole gratificazioni.
    Ho perso castelli meravigliosi e buttato alle ortiche sogni stupendi.
    Eppure urlavo, urlavo sempre, fino ad avere il grembo fiaccato ed il cuore fratturato.
    Il mio urlo lo riversavo nei miei testi.
    Ed era così prolungato che ogni luogo sembrava adatto ai miei diari ed alla mia penna.
    Anche fra i rumori più assordanti riuscivo a scrivere perché mi bastava far emergere me stessa dal limbo per estraniarmi dal mondo e diventare sorda ai clacson, al vociare della gente. E se non avevo l’inchiostro a portata di mano, scrivevo con la testa, con le nuvole, con la fantasia. Usavo qualsiasi cosa pur di fuggire dalla realtà e ritagliarmi spiccioli di gioia.
    Scrivevo ed ero sempre più infelice.
    Mi sentivo appagata solo nel momento in cui chiudevo un capitolo e ripiombavo nel caos quando stavo per aprirne uno nuovo.
    Quando inizi un viaggio senza rotta, hai sempre il timore che questo o quello non vada bene e che le valigie non supportino abbastanza i tuoi bisogni.
    I personaggi ruotavano nella mia mente formando una girandola di creta e di confusione.
    Adoravo il momento in cui essi prendevano forma dalle mie mani. Adoravo tirare indietro le briglie per richiamarli all’ordine e ambivo all’attimo in cui le briglie sarebbero state rotte con violenza! Un personaggio che scalcia equivale allo zoccolo di uno stallone che frantuma il recinto e cavalca libero nella sua prateria, divincolato da me che invece ero prigioniera della timidezza e dei valori patriarcali.
    Tutto ciò che impastavo e mettevo sui fogli mi recava soddisfazione ma qualcosa mi diceva che tra tanti pupazzi di carta uno soltanto sarebbe venuto un giorno a rivoluzionare la mia quotidianità.
    E più vivevo, più il mio stomaco urlava e si aggrovigliava, cercando fra le mie arterie un appiglio che mi rivelasse l’origine di tutti quei nodi.
    Avevo nodi ovunque. Nella testa, nei pensieri, nella mia anima.
    La mia vita assomigliava ad un maglioncino del quale non conoscevo né il colore né la misura.
    Intessevo, saltavo i punti e sbrogliavo.
    Sbrogliavo, recuperavo i punti ed intessevo.
    Ed ero sempre ferma nel mio baricentro.
    Discuterne oggi è facile eppure la Marilena del passato aveva timore di chiedersi cosa desiderasse per il suo futuro. Anzi, non osava pensarci.
    E la Marilena di oggi conosce molto bene i desideri della Marilena di ieri.
    Lei voleva vivere così, semplicemente, respirare aria pulita tutti i giorni e sorridere davanti ad uno specchio convincendosi che la vita fosse bella ed il futuro radioso.
    Lei voleva ribellarsi ai soprusi e gettare in un cestino la propria maschera.
    La Marilena di ieri voleva aprire la bocca e far uscire la voce.
    Per stordire le orecchie di coloro che le ridevano alle spalle.
    La Marilena di ieri non possedeva le chiavi del proprio autocontrollo e si chiudeva a riccio quando i problemi le gravavano sulle spalle.
    Quella Marilena ha atteso per anni che arrivasse qualcuno a scuoterla dal torpore, qualcuno che non fosse una mamma o un padre, ma un entità lontana, capace di grattare
    nel suo cervello la polvere annidata e portare a galla tutta la forza interiore di cui era capace.
    La Marilena di ieri non sapeva ancora cosa ne sarebbe stato di lei oggi.
    Potevo azzardare delle ipotesi, sognare ad occhi aperti, immaginare per me un personaggio che fosse diverso dagli altri, una maschera forgiata dal dolore, dalle angherie altrui, dai sogni.
    Nella mia testa correva al galoppo una giovane donna ardimentosa, una fanciulla dai tratti indistinti che maneggiava una spada al posto del ventaglio e che rideva di gioia poco prima di avventarsi sul nemico. Non sapevo chi fosse allora. La guardavo da lontano, così come si guarda una stella in mezzo ad una miriade di stelle. Lei era l'astro che brillava vicino al mio balcone, il diamante che illuminava la luna dei poeti, l'ago a cinque punte che stracciava i nuvoloni e che ogni sera si appuntava in cielo per me.
    Solo per me.
    La mia anima ruggiva tutte le volte che l’ammiravo e le mie dita prudevano di voglie inconsuete, nuove, oserei dire trasgressive. La donna mi chiamava, invitandomi a descrivere i suoi passi tra i fogli di carta, gridava il mio nome incitandomi con un frustino, e mi sorrideva dicendo che un giorno sarebbe stata mia per sempre.
    Scrivevo tanto, in maniera inesauribile, cercando di detonare la bomba che s’ingrossava nel mio stomaco. Temevo che esplodesse da un momento all’altro e che coinvolgesse tutto e tutti, amici, nemici e parenti.
    Quella forza mi spaventava perché non sapevo in che modo avrei potuto sganciarla da me ed entrare in comunione con lei.
    Ero troppo presa dai miei problemi, mi sentivo un incapace e come scrittrice ero conscia dei mie limiti. Forse la mia età, gli amori mancati, la sofferenza mi rendevano inferiore al personaggio che tanto desideravo creare.
    Un giorno ce la farò, mi ripetevo. Un giorno, arriverai da me…devo solo aspettare.
    Intanto i miei palmi bruciavano e la mia voglia diventava sempre più grande.
    Altri anni passarono, duri da ingoiare, tristi da raccogliere.
    Erano i miei anni. Era la mia età che subiva amputazioni, che chiudeva gli occhi dinnanzi all’evidenza, che s’illudeva di poter rallentare il moto tempo.
    Alexandra è apparsa nella mia vita nel 2004.
    E’stata una visione fantastica.
    Una folgorazione.
    Ha preso vita, forma e anima direttamente dalla mia testa, quando credevo di non avere metalli a disposizione per poter forgiare.
    E’stata una coincidenza, un incontro del fato, un lampo a ciel sereno ma la nostra unione è avvenuta a ridosso di una montagna, durante una delle più belle vacanze della mia vita.
    Per la prima volta, ai piedi del Monte Rosa, mi sono sentita libera da ogni catena.
    Libera di spaziare con gli occhi un mondo nuovo che sembrava non avere linee di misura.
    Libera di respirare aria pulita dopo tanto smog.
    Ringrazio l’intervento divino che mi portò lassù, quel giorno.
    Alexandra è emersa all’improvviso, fra il verde rigoglioso di Campertogno, nel fiume Sesia che brulicava sotto il ponte, in mezzo alle cascatelle che scendevano a gradini sulle pietre, dentro le onde schiumose che si riversavano sui canotti facendoli rotolare. Lei c’era mentre ascoltavo le campane della Chiesa che suonavano per la messa pomeridiana ed inalavo a grandi boccate l’odore muschiato dei giardini.
    Ho ancora il profumo dei fiori nel naso, il sapore dei cibi nel palato, la limpidezza dell’acqua che ghiacciava le brocche di vetro e dissetava le gole dei pellegrini.
    Alexandra è stata originata da tutto questo.
    Il suo nome è un miscuglio di rumori, di natura, di provvidenza, di lacci sciolti.
    Fa un baccano terribile ma suona nelle orecchie con la gentilezza d’un notturno di Chopin.
    Su quella montagna l’ho trovata e su quella montagna ho gridato con tutta la voce che avevo nello stomaco.
    E’stato come arrivare in Paradiso dopo averne a lungo idolatrato le bellezze.
    Mi sono sganciata dalle mie paure, dai miei complessi, dal mio terrore e sono balzata in sella a quel formidabile destriero chiamato VITA.
    Questa volta non c’erano aurighe attorno a me che decidevano il sentiero da percorrere. Ero io, sul carro che governavo le redini e percorrevo i disegni delle costellazioni.
    Ero io, la Marilena di ieri mescolata a quella di oggi.
    Piano piano, ho cominciato a vederla….la mia Alexandra.
    Bella, sensuale, ribelle, vogliosa di amore, a suo modo pazza di desiderio.
    L’ho vista così, con la carnagione tinta dalla luna, i capelli lunghi e rossi come il fuoco, le mani sicure e le dita capaci di pizzicare le corde d’una arpa o d’imbracciare l’elsa d’una spada. A lei, nessuno poteva resistere. Neppure Cesare Borgia, il Principe nero descritto dal Machiavelli.
    Alexandra è nata libera da ogni regola, da ogni pregiudizio ed ha scelto da sola il suo uomo, il suo amante, il suo sposo. Ha deciso che il Rinascimento italiano sarebbe stata la sua epoca e che le dame di corte avrebbero sventolato le loro chiacchiere al suo passaggio. Veleno, amore, passione, follia, turbamento, intrighi, gelosia, ossessione.
    Lei è il risultato del mio passato e del mio presente.
    Un rombo incessante, un braciere ricolmo di luci e fiamme.
    Con lei dentro di me, la vita si è trasformata in un piatto ricco di libagioni.
    Niente più parole vigilate o sentimenti abortiti sul nascere.
    Mi sento una guerriera armata di schinieri e lance, pronta ad abbattere gli ostacoli e a far valere i propri diritti.
    Le mie vecchie maschere adesso bruciano in un rogo stregato perché nessuna mi apparteneva veramente. Servivano soltanto a nascondere la mia essenza e ad illudere che le ferite trasudassero ambrosia invece che sangue salato.
    Alexandra mi aiuta a tenere un piede sulla nuvola ed un calcagno sulla terra ferma.
    C’è equilibrio tra di noi anche se insieme formiamo il buio e l'aurora.
    La spina ed il germoglio.
    Il ruggito e la preghiera.
    La peccatrice e la vestale.
    A volte lei predomina su di me e sembra volermi schiacciare, a volte rifiuto i suoi affanni e cerco di rinfocolare il suo spirito alfine di sanare il mio. Piangiamo, ridiamo, discutiamo. Siamo due coscienze alternate, fuse all’interno d’un unico corpo.
    Non so se domani andremo in collisione e ci prenderemo a pugni.
    Potremmo maledirci l’un l’altra oppure dirci addio con un sorriso sulle labbra.
    Il Destino ci ha unite e il Destino ci slaccerà. Magari quando avrò un marito accanto ed un figlio che berrà latte dal mio seno.
    Per ora, continuiamo a giocare la nostra partita a scacchi, senza sapere dove si trovi il pedone amico o la torre di difesa.
    Andiamo avanti e ci trastulliamo nella nostra armonia, facendo attenzione alle pendenze del terreno, alle altezze invalicabili e ai disastri giornalieri.
    Alexandra è proprio come la montagna che non ho ancora dimenticato.
    Bella e fiorita di giorno. Nera e terribile di notte.
    Divisa in due parti.
    Esattamente com’è divisa... l’anima di ogni essere umano.
     
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  2. Stellin@_18
     
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    Sapevo che eri brava e avevo letto qualcosa ma questo è veramente bellissimo!
    Complimenti!!
     
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  3. M@ry_Me
     
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    complimeti sei bravissima!!
    continua a scrivere xkè hai molto talento!
     
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2 replies since 20/8/2007, 16:23   168 views
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