Vittoria è una gatta sul tetto che scotta

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  1. *dani
     
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    A teatro “La gatta sul tetto che scotta”
    20-12-2014

    Prime date de “La gatta sul tetto che scotta” di Tennessee Williams, nuova produzione Fondazione Teatro della Pergola/Nuovo Teatro con Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Paolo Musio, Franca Penone, Salvatore Caruso, Clio Cipolletta, Francesco Petruzzelli.
    La regia di Arturo Cirillo ci regala una dimensione essenziale del dramma, senza eccessive sottolineature di carattere e di atmosfera, che ha il pregio di comunicarne i contenuti con straordinaria efficacia. La tradizionale camera da letto di Maggie e Brick indirizza la messa in scena verso una delicata pennellata metafisica che pone a contrasto i cromatismi rossi degli arredamenti con le tinte blu delle pareti; il muro frontale ogni tanto si apre rivelandoci quella che potrebbe apparire come una siepe di giardino incolta e ridotta ad una boscaglia, un po’ a somiglianza dell’anima dei protagonisti, sopraffatta dai rampicanti e dai festoni dello smarrimento (Brick), delle ipocrisie (Mae, Gooper) dei falsi convincimenti per non osservare la realtà che si sgretola (Ilda).

    In un gioco drammaturgico di contrasti, dove alla mancanza di figli di una coppia corrisponde una presenza eccessiva e quasi nevrotica di bambini da parte dell’altra, dove due coniugi si torturano per il loro non riuscire ad amarsi, emergono le donne tipiche della drammaturgia di Tennessee Williams, già oggetto di un mio articolo pubblicato nelle scorse settimane. Donne che hanno vissuto la complessità della vita e che si trovano adesso a dover difendere il proprio amore contro un mondo che le offende, le isola, spesso non le ama. Come ci indicano le note di regia di Arturo Cirillo “la gatta Margaret, parente della Blanche di Un tram chiamato desiderio, non si dà pace e non si dà per vinta nei confronti della solitudine di un letto abitato solo da lei, rivendicando con forza il proprio desiderio di felicità con l’uomo che comunque ama, anche per le sue ambiguità”.

    Vittoria Puccini, per la prima volta alle prese con questo personaggio monumentale del teatro di prosa, si getta con generosità fisica e mentale nei tormenti interiori e nella caparbia ostinazione di Maggie, anche se, in molte circostanze, occorrerebbe un più fornito arsenale di sfumature e di intensità drammatica. Nel complesso lo spettacolo riesce a comunicarci “il sogno di due uomini che si innamorano, di una donna che fugge dalla povertà della sua infanzia, di un dispotico e misogino padre imprenditore, fattosi tutto da se, che scopre davanti all’ipotesi della propria morte una fragilità ed una tenerezza per il figlio alcolizzato, sportivo fallito. Ma anche il sogno della moglie di lui, donna abituata a fare di se stessa la rappresentazione vivente di una bugia ma che alla fine non potrà che farsi abitare dalla propria infelicità. Poi ci sono l’altro figlio, avvocato rampante e prolifico di prole, e la sua consorte, arrivati in casa per impossessarsi dell’intera eredità del padre morente, portatori di fasulli nidi d’amore”. Ed in effetti, la feroce critica sociale che Tennessee Williams lascia trasparire, investe proprio quella densa patina di ipocrisia che regola i rapporti umani ed in particolar modo anche i più solidi nuclei familiari. Il concitato dialogo tra Brick e il padre è, secondo la mia analisi di lettura dello spettacolo, il momento culminante di un dramma che sconfessa apertamente questo velo di falsità, dietro il quale i protagonisti si nascondono agli altri e a se stessi: Big Daddy irrompe nella stanza del figlio imponendogli uno sguardo sulla sua penosa situazione di uomo alla deriva. Durante l’acceso scontro verbale, Big Daddy sembra capire il motivo della sofferenza di Brick e sembra, velatamente, intuire cosa lo legasse al compagno Skipper.

    Nel gioco di detto e non detto, non emerge una chiara presa di posizione del padre nei confronti di un altrettanto presunta omosessualità del figlio, ma l’accadimento dirompente è proprio il parlare, il confrontarsi sui tabù che condizionano il vivere quotidiano offuscandolo nelle tentacolari nebbie dell’alcool. Il nodo drammaturgico è intenso perché nella centrifuga esistenziale entra in gioco anche il padre, che mette a nudo l’inconsistenza sentimentale del suo matrimonio e della sua vita. I due uomini, apparentemente divisi da stridori e silenzi, possiedono in realtà la medesima facoltà di leggere le falsità e le meschinità che li circondano, ponendo sul piatto dell’amarezza tutte le pesanti disillusioni regalate loro dalla vita. E’ in questo contesto di reciproca vicinanza e condivisione che Brick può rivelare al padre l’ultima perfida menzogna che “il mondo” gli ha riserbato: il suo male non è una semplice irritazione al colon ma un tumore mortale che gli lascerà pochi giorni di vita. Da segnalare infine la buona l’interpretazione di Vinicio Marchioni, non nuovo al teatro di Tennessee Williams, vista la sua recente interpretazione di Kowalski ne “Un tram che si chiama desiderio”.

    Carlo Da Prato
     
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