LA TELA DEL REGNO

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    Quella sera Elisa non era riuscita a dire di no all’invito di Florence, l’aveva colto, invece, come pretesto per un ultimo congedo. Mentre percorreva, in una carrozza di piazza, la strada di ritorno verso casa, lasciandosi alle spalle la confusione della festa, ripensava, non senza una punta di rammarico, alla conversazione con Mme de Marguéry, e al suo sincero dispiacere, quando aveva appreso la notizia della sua partenza improvvisa per Rivombrosa. C’erano affari urgenti cui far fronte - le aveva detto – e Florence non aveva battuto ciglio, accettando a malincuore quelle spiegazioni poco convincenti. Elisa si disse che avrebbe sentito la nostalgia di quel legame sincero, disinteressato.
    Parigi le sarebbe mancata, nei pochi mesi della sua permanenza, le era entrata nel cuore. Quella città incantevole che l’aveva accolta con calore, senza farsi domande, l’aveva irrimediabilmente conquistata.
    Il pensiero di Fabrizio da solo, in balia di oscuri pericoli, l’incertezza del futuro…la inquietavano, ma sapeva che la sua partenza era necessaria.
    La carrozza si fermò di fronte all’immenso portone bugnato, lo staffiere aperse lo sportello e si premurò ad abbassare il predellino per consentire alla contessa di scendere. Elisa pensò, per un attimo , che i suoi occhi avevano un bagliore sinistro, alla luce delle torce. Ma si diede mentalmente della visionaria.
    La strada era deserta, una fitta pioggerellina faceva brillare ogni cosa, intorno. All’improvviso, come in un lampo, vide una figura nera, avvolta in un lungo tabarro avvicinarlesi minacciosamente. Non fece in tempo a gridare, che una mano d’acciaio le chiuse la bocca in una morsa, lo sconosciuto la afferrò alla vita e la trascinò nella carrozza senza troppe cerimonie, la contessa si dibatté con furia, ma venne brutalmente respinta. Poi, come in trance, sentì la voce roca dell’uomo che ordinava al vetturino di ripartire.
    Questa volta, qualcosa nella stretta poco gentile, le diceva che non si trattava del conte d’Anvau…

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    FINE DELLA PUNTATA
     
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    VIII PUNTATA


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    Attraverso le assi sconnesse delle finestre chiuse, filtravano sottili strisce di luce; i coriandoli argentati del pulviscolo danzante esercitavano un potere ipnotico sulla mente intorpidita di Elisa, che lentamente emergeva dallo stato di semi-incoscienza in cui giaceva sprofondata da ore.

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    Si svegliò in preda ad una fortissima emicrania, sopraffatta dalla nausea e incapace di muovere un muscolo. L’effetto del narcotico cominciava lentamente a svanire, così si tirò su e si guardò intorno.
    La squallida camera in cui si trovava aveva tutta l’aria di appartenere ad una locanda di terz’ordine. Rivolse uno sguardo incerto alla pendola che si trovava sulla parete opposta; nella penombra riuscì a distinguere a fatica la posizione delle lancette: “Segnavano le cinque del pomeriggio; doveva quindi aver trascorso tutta la notte e quasi un intero giorno a dormire!”
    Immagini confuse cominciavano a farsi strada nella nebbia indistinta che si addensava nella sua mente. Un individuo sinistro dal volto coperto l’aveva costretta a bere un infuso dal gusto orribile. Ricordava di essersi difesa strenuamente e di avergli assestato un morso alla mano, prima di soccombere definitivamente e di perdere i sensi.
    Una sola certezza la folgorò con la sua evidenza schiacciante. “Qualcuno l’aveva rapita! Ma, per quale ragione?” Ritornò con la memoria agli avvertimenti lungimiranti di Fabrizio. Ora comprendeva che lui aveva sempre avuto ragione e che era stata una sciocca a non dargli subito retta. Nel presuntuoso tentativo di dimostrargli la sua autosufficienza, era finita miseramente in trappola.
    Perlustrò inutilmente la stanza in cerca di una via di fuga. La porta e le finestre erano ermeticamente chiuse. Improvvisamente si udirono dei passi pesanti avvicinarsi inesorabilmente alla porta.
    Con un movimento fulmineo, Elisa si sdraiò sul letto chiudendo gli occhi. Il chiavistello arrugginito cigolò, poi qualcuno entrò dando un ordine perentorio a quello che sembrava essere un servitore:
    - Sembra ancora addormentata… Pierre da’ istruzioni che vengano attaccati i cavalli e non lasciare passare nessuno! Partiremo alla svelta! -
    Era una di quelle voci abituate al comando, che non ammetteva repliche. Elisa ebbe subito la sensazione di averla già sentita, cercò di ritrovare quel dato nella memoria, ma lo sforzo le procurò una fitta lancinante alla testa.
    Lo sconosciuto si chinò su di lei e le tastò il polso scrutandola con attenzione. Ella rimase immobile, tentando disperatamente di placare il tumulto dei battiti e di rendere il respiro più profondo. L’uomo parve soddisfatto, si allontanò e continuò a parlare con Pierre nella stanza adiacente.
    - Credo di averle somministrato una dose un po’ più forte del dovuto! Tanto meglio, il suo sonno prolungato renderà più agevoli le manovre! -
    “ Dunque la portavano altrove, ma in quale direzione si stavano muovendo?” I minuti che seguirono le sembrarono interminabili, infine Pierre entrò ancora nella stanza.
    - La carrozza è pronta Signore, mi occupo io della contessa. -
    Detto questo, le si avvicinò e la sollevò di peso, piegandosela sulla spalla senza troppe cerimonie, Elisa trattenne a stento un gemito di dolore. Il servitore la depose su alcuni cuscini disposti alla rinfusa sul sedile della carrozza e, appena l’uomo misterioso si fu sistemato accanto a lei, ripartirono…
     
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    Del tutto ignaro della piega inaspettata che stavano prendendo gli eventi, il conte d’Anvau sedeva nella biblioteca, occupato a scrivere le ultime urgenti missive da inviare prima della sua partenza.

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    Intendeva raggiungere al più presto lo Champagne, lì avrebbe potuto contare sugli appoggi necessari ad affrettare ogni mossa, sottraendosi ad una situazione che lo esponeva, inevitabilmente, al rischio di essere riconosciuto.
    Mentre era assorbito dalle sue meditazioni, un servitore entrò ad annunciargli che Mme Lavoulère desiderava vederlo. Il conte sollevò il capo sorpreso, venne colto da un inquietante presagio; pur
    mancando da tempo dalla corte sabauda, gli sembrò di ricordare che quel nome fosse strettamente legato a quello del sovrano.

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    - Madame Lavoulère? Introducila pure, Armand. -
    Dopo qualche istante fece il suo ingresso una splendida gentildonna dai modi affettati, con una complicata pettinatura à la Gorgonne. Il conte si alzò inchinandosi:
    - Madame! -
    - Monsieur…perdonate, ve ne prego, la mia inopportuna intrusione…-
    - Non ditelo neppure. Accomodatevi, e ditemi in che cosa posso esservi utile.-
    La giovane donna indugiava, si tolse i guanti di pizzo con movimenti deliberatamente lenti, sul volto un’espressione di visibile soddisfazione; sembrava quasi provare un piacere sottile nel lasciare il suo ospite in uno stato di incerta aspettativa. Alla fine rivolse al conte uno sguardo allusivo:
    - Conte d’Anvau…o preferite forse che mi rivolga a voi con il vostro vero nome, conte Ristori? –
    - Molto bene, Signora. Cominciavo appunto a chiedermi quando ci saremmo liberati delle maschere!- esclamò il conte, con una tranquillità sorprendente - Le arti della dissimulazione cortese risultano sfibranti, a lungo andare. Giocare a carte scoperte è di gran lunga più agevole; posso chiedervi cosa desiderate da me? –

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    La figura flessuosa della gentildonna si voltò fronteggiandolo con un atteggiamento di sfida, la sicurezza dei suoi modi lasciava intendere che serbava un asso nella manica. Fabrizio attese preparandosi all’affondo.
    - Quanta fretta, conte….lasciatemi dunque il tempo di riprendermi dalla folgorante rivelazione della vostra… “risurrezione” inattesa, Volete?-
    - Sono certo che aspirare la boccetta dei vostri sali vi sarà d’aiuto. -
    Il conte era seduto sul bracciolo di una poltrona e guardava la sua visitatrice con un indulgente stupore, niente nella sua espressione lasciava intuire, sia pure in minima parte, la natura dei suoi pensieri. Madame Lavoulère sorrise a quella pronta ironia. Sapeva apprezzare la fierezza di un degno avversario.
    - Non sarà necessario grazie, conte. Arrivo subito al dunque. Qualche tempo fa un astuto, quanto temerario, traditore della corona, è riuscito a sottrarre dagli archivi reali dei documenti, diciamo, piuttosto riservati. -
    Il conte inarcò le sopracciglia con aria ostentatamente sorpresa:
    - Non vedo come questo possa riguardarmi…-
    - Non vedete conte? E se vi dicessi che qualcuno che vi sta molto a cuore è in mano nostra, comincereste forse a vederci più chiaro? -
    La reazione immediata di Fabrizio sembrò stridere con il suo precedente autocontrollo. D’un balzo fu sulla gentildonna; la tenne saldamente contro la parete, mentre con una mano d’acciaio le stringeva la gola. La sua voce fu un sibilo:
    - State giocando con il fuoco, Signora. Se vi aspettate che io non vi faccia del male, solo per rispetto al vostro gentil sesso, vi sbagliate di grosso…ditemi subito dov’è, se volete salva la vita. –
    Madame Lavoulère si sentiva soffocare, la mano del conte, come una morsa alla base del collo le stava facendo perdere progressivamente i sensi; rantolò a fatica:
    - Lasciatemi conte…. un servitore mi attende fuori…… e ha l’ordine di chiamare aiuti ….se non mi vedrà tornare entro breve tempo! -
    Fabrizio allentò lievemente la stretta. La gentildonna proseguì ansante:
    - Non verrà torto nemmeno un capello alla contessa, se solo voi accettate di collaborare…-
    Egli la lasciò di scatto; tese le mani verso le fiamme con calma studiata, volgendole le spalle:
    - Non crediate, con questo, di intimorirmi….ebbene, vi ascolto, cosa volete in cambio della sua libertà? -
    - E’ molto semplice, conte, i documenti e…..voi! -
    Sottolineò le ultime parole con crudele compiacimento. Fabrizio non parve sorprendersi per quell’ultima richiesta. Solo salvare Elisa contava, il pensiero che fosse in mano loro, lo faceva andare fuori di senno. Per quanto lo riguardava, era sempre stato consapevole che, se avessero scoperto il suo bluff, il re avrebbe preteso la sua testa. Aveva solo rinviato la sentenza del destino di ben quattro anni…e in quei quattro anni non era riuscito ad ottenere giustizia.
    Quei maledetti documenti! Le sue ricerche tra quelle vecchie carte che odoravano di muffa, non avevano dato, sventuratamente, alcun risultato degno di nota: non era riuscito a trovare nessun atto di nascita, nessun nome rivelatore; la famiglia incriminata sembrava scomparsa nel nulla. Non aveva prove in mano, aveva solo fatto credere, di sottrarre qualcosa di determinante, per dare scacco al re.
    Ora non aveva scelta, doveva continuare a bluffare, se voleva salvare Elisa e…forse anche se stesso. Si girò lentamente e rivolse a Mme Lavoulère uno sguardo carico di disprezzo:
    - Molto bene, ditemi dove e quando dovrebbe aver luogo lo scambio…-

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    Mi metterò io in contatto con voi, conte… quanto prima. -
    - Madame Lavoulère?-
    - Si?-
    - Torcetele anche solo un capello e rimpiangerete di essere mai nata –
    Il tono raggelante della sua voce non lasciava alcun dubbio sulla sua effettiva intenzione di mettere in pratica la minaccia.
    Il conte prese un campanello d’argento e lo agitò più volte. Un valletto si affacciò alla porta:
    - Armand, la Signora si congeda. -
    - À tout à l’ heure, conte!
    L’elegante farsa si era protratta troppo a lungo, non appena la dama fu uscita il conte diede libero sfogo al furore crescente che s’impadroniva di lui, scaraventando per terra gli oggetti che facevano bella mostra di sé sulla mensola del camino.

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    La carrozza procedeva ad una velocità moderata per le strade di campagna. Lo sciaguattio incessante delle ruote nelle pozzanghere rivelava che doveva aver piovuto abbondantemente, nelle ultime ore

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    Elisa dischiuse gli occhi per un istante e cercò di sbirciare il volto, temporaneamente senza maschera, dello sconosciuto che contemplava, con aria assorta, il paesaggio fuori dal finestrino.
    La sorprendente scoperta la lasciò senza fiato. “Dunque il duca Liberati era coinvolto in quelle fosche trame!”
    Il gentiluomo le lanciò uno sguardo furtivo, spiando il suo respiro; Elisa si ricompose immediatamente cercando di prolungare il più possibile l’inganno. Contava di riuscire, quanto prima, ad eludere la sorveglianza per darsi alla fuga, sebbene ancora non avesse la più pallida idea di come portare a compimento il suo audace piano.
    L’occasione si presentò subito dopo, quasi in risposta alle sue silenziose preghiere. Lo staffiere si affacciò dal finestrino:
    - Bisogna anticipare la sosta, Signore, uno dei cavalli si è lievemente azzoppato! -

    Sua grazia imprecò tra i denti:
    - Non ci voleva, dannazione. Quanto dista la stazione di posta più vicina? -
    - Ancora pochi minuti e saremo arrivati, Signore. -
    Lo staffiere fece un rapido cenno in direzione della figura inerte:
    - Dorme ancora? -
    - A quanto pare…speriamo continui ancora per un po’.-
    Era il crepuscolo, i vapori fluttuanti di una vischiosa bruma cominciavano a sprigionarsi, in larghe volute, dal terreno e occultavano l’orizzonte.
    L’insegna arrugginita della stazione di posta “du Cheval blanc” ondeggiava sinistramente, alla gelida brezza della sera. La carrozza si fermò accanto alle scuderie in attesa che qualcuno provvedesse al cambio dei cavalli. Il duca Liberati ebbe un attimo d’esitazione, gettò un’ultima occhiata alla prigioniera tastandole il polso, quindi scese a terra con un balzo richiudendo lo sportello.
    Elisa lo sentì scambiare, a una certa distanza, alcune frasi con gli altri uomini: “Forse avrebbe avuto alcuni minuti di vantaggio – si disse - doveva fare in fretta!”
    Aprì lo sportello, con estrema cautela, e scivolò giù camminando a tentoni.

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    Vide che gli uomini erano ancora indaffarati attorno all’esemplare azzoppato. Un po’ più distante, un cavallo isolato era legato alla staccionata. Probabilmente lo sprovveduto proprietario si trovava all’interno per una sosta.

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    Slegò le redini, cercando di quietarlo con carezze rassicuranti, e lo condusse silenziosamente fuori dalla portata degli sguardi.
    Quando fu certa di non essere visibile dalla strada, saltò in groppa al cavallo e lo lanciò al galoppo tagliando per i campi; sperava ardentemente di mettere più strada possibile tra lei e i rapitori, prima che prendessero inevitabilmente atto della sua fuga.
    L’aria gelida della sera le sferzava il viso. Non aveva la benché minima idea di quale direzione prendere, ma quel senso di libertà ritrovata, sebbene precario, le infondeva coraggio ed ottimismo.

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    In cuor suo benedisse quella fitta nebbia che copriva ogni cosa, se non altro avrebbe contribuito a rendere più ardue le manovre d’inseguimento!
     
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    Elisa cavalcava ormai da un’ora, senza sosta. Il cavallo dava segni inequivocabili di stanchezza, e lei stessa cominciava sentire i muscoli irrigidirsi e la vista annebbiarlesi per lo sfinimento.

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    Sapeva di avere gli inseguitori alle calcagna, ma sperava, essendosi inoltrata verso l’interno della campagna, di avere sviato per un po’ le ricerche. Dopo aver seguito un sentiero al piccolo trotto raggiunse finalmente un grazioso villaggio, isolato e tranquillo. Passando dinanzi alla chiesetta, sotto gli sguardi curiosi e scandalizzati dei paesani, si diresse verso l’unica locanda che si affacciava sulla strada.
    Varcò risolutamente la porta d’ingresso ben consapevole della strana impressione che doveva suscitare, sui proprietari, l’arrivo di una gentildonna senza scorta, a quell’ora della sera, che montava direttamente un ronzino malconcio e, come se non bastasse, senza bagaglio alcuno. Dopo aver accolto il suo ingresso con un inchino, il locandiere la scrutò da capo a piedi, profondamente colpito dalla toletta da soirée che indossava ancora dalla notte del rapimento. Si soffermò per un attimo sull’aspetto trascurato che dovevano avere i suoi capelli e i suoi abiti, poi chiese cortesemente che cosa desiderasse. Elisa rispose con voce pacata e ben educata:
    - Desidero prendere una camera per la notte, buonuomo.-
    - La vostra cameriera è forse rimasta fuori con il bagaglio? -
    L’uomo aveva accompagnato le sue parole con un ampio gesto, affacciandosi alla porta. A quella domanda lei arrossì con violenza cercando di darsi eroicamente un contegno. Il suo silenzio era stato più che eloquente. Il locandiere la guardò ancora con insistenza, questa volta non vi era indulgenza nei suoi occhi, bensì una chiara espressione di disapprovazione. Elisa divenne, in quel momento, tristemente consapevole del suo stato riprovevole e comprese in quale dubbia luce dovesse apparirgli.
    Alzò il capo con fierezza e cercò di ricambiare quello sguardo severo con la sua abituale calma: - Sono stata vittima di uno spiacevole incidente, il mio bagaglio è rimasto indietro…Confido che, domani la mia cameriera personale sia in grado di raggiungermi e di riportarmelo. Nel frattempo mi occorre una stanza e la cena, se non vi dispiace…-
    Il locandiere non si lasciò per nulla turbare, aveva tutta l’aria di non aver creduto ad alcuno dei suoi deboli pretesti, si mise le mani ai fianchi e scrollò la testa:
    - I vostri modi non mi incantano affatto. La vostra storia non è per nulla credibile, Signora; sarà meglio che cerchiate altrove, noi non accogliamo persone della vostra risma! -
    - Non vi permetto una tale impertinenza….avete preso un grosso abbaglio, sono…. Madame du Deffand e posso darvi denaro a sufficienza per i vostri servigi! -
    La sua esitazione aveva contribuito a rinsaldare le supposizioni dell’altro.
    - Non mi interessa il vostro denaro…andate altrove, sarebbe bella se dovessi offrire ospitalità a chicchessia…-
    - Un momento buonuomo..- Una voce maschile proveniente dalle scale la fece trasalire.
    Ebbe la curiosa sensazione di averla già sentita; era la seconda volta che le capitava, quel giorno.
    Cercò di mettere a fuoco l’elegante figura che scendeva i gradini a passi lenti, la mano sulla balaustra; la luce insufficiente le impediva di distinguerne bene i lineamenti. La voce continuò :
    - Attendete solo un attimo..deve esserci un errore!–
    Appena l’uomo fu emerso dalla penombra Elisa si ritrovò a fissare il volto imperturbabile di Victor Bénac.

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    FINE DELLA PUNTATA

     
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    IX puntata


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    In breve tempo la stazione di posta “du Cheval blanc” divenne teatro di uno scompiglio inenarrabile.
    Accortosi che il suo “prezioso” esemplare era sparito monsieur Trétignac, un ometto dalla corporatura smilza e dalle guance color porpora, cominciò ad inveire in modo alquanto indecoroso, attirando l’attenzione dei presenti. La sua grottesca maniera di gesticolare portandosi continuamente la mano alla fronte e l’espressione tragica dei suoi occhi, che egli sgranava a dismisura, sarebbero stati fonte di un’indicibile ilarità per un osservatore non privo di spirito. Malauguratamente, in quel momento, il duca Liberati era tutt’altro che incline a cogliere l’aspetto comico della situazione. La rivelazione della scomparsa improvvisa del cavallo di monsieur Trétignac suscitò in lui ben altre reazioni: egli imprecò con veemenza, aprì come una furia lo sportello della carrozza e, resosi conto della fuga della prigioniera, afferrò una scatola di cuoio da sotto il sedile e ne trasse una coppia di pistole dall’impugnatura d’oro. I suoi comandi imperiosi risuonarono come spari nell’aria:
    - Avanti voi…manica di incapaci… Non dobbiamo lasciarcela sfuggire per nessuna ragione, o pretenderò la vostra testa. Non può essere andata lontano!-
    - Da quale parte inizieremo le ricerche, Signore?-
    - Percorreremo la strada a ritroso, probabilmente si è diretta a Troyes, visto che è il centro più vicino!
    - ….E se così non fosse…?-
    - Batteremo tutte le campagne finché non l’avremo trovata...e vedremo chi l’avrà vinta, cara la mia contessa! -
    In quel trepestio confuso ci si era completamente dimenticati di monsieur Trétignac che non sembrò, tuttavia, volersi rassegnare a rimanere in disparte. Si avvicinò risolutamente al gruppo, i lineamenti ancora alterati dalla collera. Si era fatto una rapida e precisa idea del personaggio che rivestiva, nella scala sociale, il ruolo più prestigioso. Forte della sua convinzione gli si rivolse con un tono petulante:
    - Perdonate signore, in tutta questa faccenda voi sembrate, senza dubbio, avere le idee più chiare di me, che al contrario mi trovo nella più completa oscurità. Quello che vorrei sapere è: dove è finito il mio cavallo?-
    Sua Grazia apparve spazientito per quell’impertinenza inopportuna. Si volse verso l’ometto come se si trattasse di un insetto molesto, lo attraversò con uno sguardo altero e gli rispose in modo sprezzante e sbrigativo:
    - Per essere esatti, signore, in questo momento, il vostro cavallo è l’ultima cosa che occupa i miei pensieri…-
    - Ma…il mio cavallo è stato rubato! Pretendo che lo ritroviate!-
    - Mio caro signore, sono certo che, se aveste prestato, prima, più attenzione al vostro pregevole esemplare, ci avreste inequivocabilmente risparmiato molti problemi. Ora, se volete scusarmi, credo di non avere altro tempo da dedicarvi, spostatevi…-

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    Il duca Liberati sottolineò l’ultima parola con un tono che fece finalmente comprendere a monsieur Trétignac, che mettersi da parte appariva il suggerimento più saggio, se voleva conservare la propria incolumità; quindi si scansò prontamente.
    Sua Grazia impartì gli ultimi ordini con voce metallica e mordace e montò a cavallo d’un balzo.
    Il suo sauro nitrì impaziente; percepiva con intensità il nervosismo presente nell’aria e la tensione dei muscoli del padrone. I tre uomini capeggiati dal duca spronarono gli animali lanciandoli ad un galoppo sfrenato. Le loro sagome nere si stagliarono minacciose contro l’ultimo fievole chiarore della sera, finché non si persero nella foschia.
     
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    Victor Bénac si avvicinò tranquillamente al locandiere e alla gentildonna, fermi accanto alla porta.
    - Vi è stato indubbiamente un malinteso, la signora è mia cugina; attendevo il suo arrivo già da tempo, in verità.
    Il locandiere s’inchinò con deferenza al colmo dello stupore, spostava incessantemente lo sguardo dall’uno all’altra, la bocca spalancata in una comica movenza:
    - Ma…Signore, non avevo assolutamente idea…perdonate…credevo…-
    - Quello che credevate è assolutamente irrilevante, mio caro Jean, sono sicuro che la signora vorrà accettare volentieri le vostre scuse per il modo oltraggioso in cui l’avete apostrofata! -
    - Ma certamente Signora…vogliate, vi prego accettare le mie più sincere e sentite scuse. -
    L’uomo s’inchinò fin quasi a toccarsi le ginocchia; Elisa sorrise frastornata, curiosamente incerta tra l’indignazione e il panico. Ricordava perfettamente il suo ultimo incontro con Victor; la sua follia d’amore l’aveva indotto ad un gesto estremo e sconsiderato, compromettendo la sincera amicizia che li aveva legati.
    In quel momento di emergenza, Monsieur Bénac ritornava ad essere, inaspettatamente, il suo provvidenziale soccorritore. Avrebbe voluto credere con tutta se stessa a quella tempestiva profferta d’aiuto, ma la sua indole sospettosa le imponeva una certa diffidenza.
    Il gentiluomo si rivolse dunque a lei, rispondendo al tacito interrogativo del suo sguardo, con la serenità che gli era congeniale:
    - Mia cara cugina, cominciavo appunto ad allarmarmi…. in che stato orrendo siete…cosa vi è accaduto? Raccontate…-
    Elisa esitò ancora un attimo indecisa sulla versione da dare, poi proseguì la recita ad uso e consumo dell’albergatore:
    - Cugino, sono terribilmente desolata per avervi procurato tali ambasce, ma la mia carrozza è finita accidentalmente in una scarpata, con le conseguenze che non avrete difficoltà ad immaginare! Il cocchiere si è diretto al paese più vicino a chiedere aiuti ed io …come potete vedere, vi ho raggiunto appena mi è stato possibile…-

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    Elisa incespicava nel cercare le parole, percepiva, in modo fin troppo palese, quanto la sua narrazione dovesse suonare poco convincente; non poteva certo biasimare il locandiere per aver dubitato. Ciononostante, Victor sostenne le sue spudorate menzogne con convinzione verosimile:
    - Che disdetta singolare! Manderemo presto qualcuno a soccorrere i vostri servitori. Dovete essere esausta e intirizzita, Jean, conducete la signora ad una camera adeguata e provvedete affinché la cena venga servita al più presto nella saletta privata. -
    Un curioso brontolio allo stomaco accolse le parole di monsieur Bénac. Solo allora Elisa si rese conto che non toccava cibo da un intero giorno. In quel momento ritenne assai più saggio rinviare le remore e gli assilli, per concedersi una imprescindibile pausa rifocillante. Il locandiere continuava a far mostra di un pronto sussiego:
    - Certamente, Signore, come il signore desidera, la cena verrà servita come voi avete ordinato! -
    Elisa venne accompagnata in quella che doveva essere una delle camere migliori della locanda, una cameriera le porse una brocca e degli asciugamani puliti. Il contatto dell’acqua tiepida sul viso le procurò un’immediata sensazione di benessere; cercò di rassettarsi come meglio poteva e si accinse a raggiungere “suo cugino”, non senza qualche perplessità: “ Era sfuggita forse alle grinfie dei rapitori per finire nella tana del lupo?”: lo avrebbe indubbiamente scoperto molto presto.
    Il locandiere, che la attendeva fuori dalla stanza, le riservò un rispetto tanto accentuato quanto il suo precedente disprezzo. Si accinse a condurla, con mille premure, alla porta della saletta privata che si apriva sull’atrio.
    La sala, di dimensioni regolari, aveva un aspetto accogliente. Numerosi candelabri ne rischiaravano l’ambiente, riscaldato, peraltro, da un grande camino in pietra, in cui la legna scoppiettava allegramente. Al centro della stanza troneggiava un’invitante tavola elegantemente apparecchiata. Victor le si fece incontro con sollecitudine e la invitò a sedere.
    Un silenzio carico d’imbarazzo regnava tra loro mentre sorbivano il consommé della prima portata. Elisa evitava accuratamente lo sguardo dell’altro commensale, titubante sulla spiegazione da dargli, e intanto continuava a interrogarsi sulla natura delle intenzioni che lo animavano. Decise di avviare la conversazione su un argomento poco insidioso, per sondare il terreno:
    - A quanto pare vi devo la mia più profonda gratitudine, signore….posso sapere quale fortuita coincidenza vi ha condotto sulla mia strada?-
    - Sì, una strana coincidenza, invero. Si dà il caso che io sia in affari con i proprietari dei vigneti della zona. I vini pregiati dello Champagne sono sempre più richiesti in Piemonte, anche alla tavola del re…-
    - Oh! Era questo dunque….cominciavo a pensare che aveste doti di onniscienza! -
    - Nient’affatto, ma sono stato ben felice di potervi essere utile…-
    La sua voce vibrava di calore sincero, Elisa si sentì incoraggiata ad aprirsi un po’ di più:
    - Mi rendo conto che il mio comportamento, il mio aspetto, possano aver fatto nascere in voi dei quesiti…e credo che il vostro generoso gesto meriti delle risposte …-
    Victor levò una mano nel tentativo di interromperla, i suoi occhi tradivano il disagio che s’impadroniva di lui. Si era ripetuto infinite volte quel discorso in mente, ed ora che finalmente se ne presentava l’occasione, le parole gli morivano in gola.… La sua voce fu quasi un soffio quando parlò:
    - …Voi non mi dovete proprio niente, Elisa…non dovete sentirvi in alcun modo obbligata a spiegare i vostri gesti. Sono io, invece, che vi devo qualcosa…delle scuse per cominciare... Nessuno di noi due ha dimenticato…-

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    Victor tacque, per un lungo momento, sopraffatto dall’emozione. Era più che evidente che faceva fatica a trovare le parole. Si alzò dalla tavola e si avvicinò alla finestra, lo sguardo perso oltre l’oscurità della notte. Sembrò trovare, infine, il coraggio per proseguire.
    - Nessuno di noi due ha dimenticato, ne sono certo, gli eventi burrascosi che hanno caratterizzato il nostro ultimo incontro…non potete immaginare quante volte io mi sia dato dello sciocco per le mie azioni dissennate…Non avevo nessun diritto di intromettermi nella vostra vita, né di giudicare le vostre scelte. Nulla può giustificarmi ai vostri occhi …Avrei voluto..sono stato mille volte sul punto di venire da voi per scusarmi, ma temevo di venir equivocato. Ora, finalmente, il caso ha voluto che mi trovassi sulla vostra strada al momento giusto. Vi prego di considerare il mio gesto come un modo per fare ammenda…-
    L’ impeto con cui aveva parlato, senza quasi riprendere fiato, tanto inconsueto in un uomo d’indole pacata come lui, rivelava da sé quanto quella questione gli stesse a cuore. Elisa l’aveva ascoltato in un silenzio rispettoso, e improvvisamente seppe che poteva ancora fidarsi di lui, aveva imparato fin troppo bene a conoscere l’animo umano per non sapere che il filo che separa la normalità dalla follia di un attimo è estremamente fragile. Lei stessa era stata più volte sul punto di perdere ogni punto di riferimento con la realtà…
    - Non parliamone più, amico mio…è tutto dimenticato – Un lungo sguardo commosso suggellò quell’amicizia ritrovata, sollevando entrambi da un grosso fardello. Elisa gli sorrise apertamente cercando di allentare la tensione - Sapete, io e Martino cominciavamo a sentire nostalgia del vostro volto amico. In questo momento difficile la vostra presenza è due volte benvenuta….A quanto pare ora sembra giunto il momento delle “mie” spiegazioni. Non desidero certo ripagare la vostra cortesia con delle menzogne, ma per ragioni indipendenti dalla mia volontà, sono obbligata a tacere alcuni particolari di questa spiacevole vicenda. Posso solo rivelarvi che sto fuggendo da un pericoloso rapitore; malgrado avesse il volto coperto da una maschera per la maggior parte del tempo, sono riuscita a scoprire la sua identità: si tratta di un uomo potente, che gode di un certo credito a corte. In questo preciso istante, probabilmente, egli mi sta già inseguendo, temo che non avrà pace finché non mi avrà ritrovata. La stima che ho per voi mi impone di avvertirvi che la protezione che mi offrite, rischia di compromettere la vostra stessa incolumità…-
    - Non dovete temere per la mia vita, Elisa…non mi curo dei pericoli, se posso aiutare un amico, dovreste saperlo.-
    Elisa ricordava bene un tempo in cui lui aveva rischiato la condanna a morte per salvare Martino. Abbassò lo sguardo imbarazzata:
    - So bene quanto sapete essere generoso…-

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    La tregua durò poco. La contessa non fece nemmeno in tempo a concludere il suo discorso che si udì, all’esterno, un tramestio prolungato e inquietante. Delle voci concitate si susseguirono incalzanti.
    Elisa si alzò di scatto, fu quasi certa di aver riconosciuto l’inflessione imperiosa di Sua Grazia, le sue mani si contrassero attorno alla spalliera della sedia mentre sul suo viso si dipingeva una chiara espressione di terrore:
    - E’ lui Victor, il duca Liberati è già qui….dovete aiutarmi a fuggire, vi prego…- si interruppe ansimante. Il gentiluomo prese rapidamente in mano la situazione ritrovando in poco tempo il suo abituale sangue freddo; la certezza che il duca avrebbe fatto irruzione nella stanza, di lì a pochi secondi, sembrò non toccarlo minimamente. La rivelazione dell’identità del rapitore lo sorprese appena:
    - Il duca Liberati? Non temete Elisa, lasciatemi fare…chiunque egli sia non vorrà tanto facilmente scoprire il suo gioco, avrebbe tutto da perdere; cercherà di salvare le apparenze davanti a un conterraneo che conosce bene e a voi…. non può avere l’assoluta certezza che lo abbiate riconosciuto. Questo gioca a nostro favore…vorreste essere così gentile da volgervi verso il camino e continuare la commedia…? -

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    In capo a pochi istanti, come previsto, il duca spalancò la porta con irruenza, poi lanciò una rapida occhiata alla scena che gli si parava dinanzi. La vista di Victor Bénac sembrò spiazzarlo, impallidì e
    chiuse una mano ad artiglio sull’elsa della spada. Victor, dal canto suo, mostrava un perfetto contegno, lo osservò dalla testa ai piedi indugiando sugli stivali inzaccherati e i vestiti zuppi, quindi si rivolse a lui:
    - Duca Liberati, qual buon vento vi porta? …E in che stato siete, accomodatevi prego. Ho il piacere di presentarvi mia cugina, Madame du Deffand -
    Elisa si volse lentamente costringendosi a sorridere ed a rispettare le regole dell’etichetta; si sentiva soffocare. Il duca illividì per il furore, le labbra contratte fino ad apparire esangui; si obbligò a sua volta a fare un inchino alla donna fingendo di non averla mai veduta prima d’allora:
    - Servo vostro, signora du Deffand. Monsieur Bénac potrei esprimere lo stesso stupore nei vostri confronti, mi chiedo che cosa vi abbia condotto in queste terre? -
    Victor, perfettamente conscio della superiorità dell’altro in quanto a natali, pure, non si lasciò intimidire in alcun modo dai suoi modi arroganti. La situazione contingente gli dava infatti un vantaggio non indifferente. Il duca, invece, si muoveva su un terreno malsicuro.
    - Gli affari, che altro? Dimenticate che da qualche anno sono nel commercio dei vini.-
    Si portò un calice ricolmo alle narici aspirandone la fragranza da perfetto intenditore, poi ne offrì uno al nuovo arrivato con un gesto carico di sfida : - Volete favorire duca ? Pare che il nostro re apprezzi molto questo vino, se ne fa periodicamente inviare delle casse per le cantine reali. – il duca accettò il calice quasi controvoglia, si allentò la cravatta di pizzo. Victor proseguì: - Ci si chiede invece cosa possa aver condotto Sua Grazia in queste lande! -
    - Mi trovo qui per questioni strettamente personali- sibilò tra i denti – anzi, sono sicuro che vorrete scusarmi signore, ma motivi superiori mi chiamano altrove… signora è stato un piacere..-

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    Sua Grazia accennò un inchino, agguantò la maniglia quasi a volerla staccare dalla porta e uscì di scatto rischiando di piombare tra le braccia del locandiere che non aveva perduto ogni speranza di carpire qualche parola della conversazione, svoltasi in Italiano. I suoi passi pesanti si allontanarono rapidamente riecheggiando nell’atrio, seguiti da inequivocabili nitriti e rumori di zoccoli sul selciato.
    Elisa rivolse al suo soccorritore uno sguardo infinitamente grato. Victor aveva dimostrato di saper fronteggiare quella sgradevole situazione con l’impassibilità necessaria, non avrebbe proprio saputo come venirne fuori senza il suo aiuto. Trasse un sospiro di sollievo, sembrava, almeno per il momento, che il pericolo fosse scampato. Sapeva bene, però, che il duca non era uomo da arrendersi davanti a nulla; avrebbe trovato il sistema per raggiungere i suoi scopi in maniera più subdola, ora che l’aveva localizzata. Elisa non ebbe il tempo di esprimere le sue perplessità, che Victor anticipò le sue parole:
    - Per il momento beneficiamo di una tregua, ma è mia personale opinione che il problema sia stato soltanto rinviato, contessa. Il duca troverà un pretesto qualunque per tornare, se è intenzionato ad riavervi tra i suoi artigli ….la mia limitata visione delle cose mi suggerisce che sia molto più prudente allontanarci alla svelta….E’ necessario trovare un posto sicuro che non disti troppo da qui…avete già qualche idea in proposito? -
    - Siamo nello Champagne, avete detto?- l’altro annuì – l’unico luogo che potrebbe fare al caso nostro è la tenuta dei d’Anvau, anche se non ho la benché minima idea di dove possa trovarsi, né se i proprietari siano disposti ad aiutarci. Tuttavia… non sembra vi sia altra scelta, mi auguro che la mia intuizione sia giusta.-
    - La tenuta dei d’Anvau? Siete piena di sorprese! Molto bene, conosco abbastanza queste terre da riuscire a condurvi a destinazione senza difficoltà.-
    Monsieur Bénac ordinò che venisse preparata la sua carrozza e, a notte fonda, in gran fretta si misero in viaggio avvalorando le convinzioni tutt’altro che lusinghiere del locandiere sulla reprensibilità della giovane donna.

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    Fuori dalla locanda li investì un freddo pungente. Elisa sollevò il cappuccio del mantello e alzò per un attimo il capo al cielo rimanendo senza fiato, un forte vento di tramontana aveva sollevato la spessa coltre di bruma svelando un oceano di minuscoli acciarini . Si sorprese a pensare che era un peccato che un tale spettacolo andasse sprecato in una notte come quella. Si sistemò alla meglio sul sedile della carrozza, rabbrividendo impercettibilmente, sotto il tessuto leggero dell’abito da sera.
    Dopo aver dato al cocchiere le indicazioni necessarie, Victor si accomodò di fronte a lei e la carrozza si avviò procedendo ad una velocità sostenuta.
    Nonostante la stanchezza cominciasse a farsi sentire, Elisa non era certo dello stato d’animo adatto per lasciarsi vincere dal sonno; troppe incognite pesavano sul suo futuro. Fissava con sguardo assente fuori dal finestrino mentre infinite domande senza risposta le si affollavano nella mente.
     
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    Il conte d’Anvau si era guardato bene dal subire gli ultimi eventi con atteggiamento rassegnato.
    Lo spiacevole colloquio con Madame Lavoulère, aveva confermato, piuttosto che scoraggiare, la sua determinazione a partire con la massima urgenza. Nel giro di poco tempo tutta la servitù era stata messa in allarme, gli ordini del conte riecheggiavano per il palazzo come esplosioni. Egli aveva tempestivamente incaricato due servitori di recarsi a tutte le porte di Parigi per controllare se una carrozza con gentiluomini dall’accento straniero avesse lasciato la città, quella stessa notte. In capo a breve tempo Jacques era tornato ad informarlo che, in effetti, una carrozza che rispondeva alla descrizione data, era uscita da Parigi attraverso la “Porte Saint-Denis”; i passeggeri erano un gentiluomo piemontese, che parlava il Francese stentatamente, e una signora che dormiva d’un sonno profondo, in preda a un fastidioso malessere – aveva spiegato l’uomo.
    “ L’hanno narcotizzata” pensò Fabrizio sconvolto “….e si dirigono ad est, verso lo Champagne, ma dove esattamente?” Brancolava nel buio più totale e quel senso d’impotenza lo rendeva furioso.
    Sapeva che doveva agire in fretta se voleva salvare Elisa, perdere anche solo un istante avrebbe potuto costarle la vita. Sedette allo scrittoio e, dopo aver intinto la penna nel calamaio, scrisse alcune missive da inviare a degli amici fidati, in posizioni strategiche. Era ancora immerso nelle sue cupe meditazioni quando, per la seconda volta quella mattina, Armand annunciò una visita.
    Il servitore appariva piuttosto tentennante nel rivelare l’identità dell’ospite, che- aggiunse- aveva molto insistito per essere introdotta, nonostante le sue personali rimostranze. Dopo mille penose acrobazie verbali ed altrettante esitazioni, che spinsero Fabrizio quasi sul punto di scuoterlo con brutalità, si palesarono le ragioni di tale imbarazzo: la persona che aveva la sfrontatezza di “pretendere” di essere ricevuta dal conte d’Anvau era la governante di una gentildonna parigina. Da lì ad intuire che non poteva che trattarsi di Amelia, ci volle ben poco.
    In capo a pochi minuti si presentò alla vista di Fabrizio l’immagine di Amelia al colmo dell’agitazione, le guance accese e le mani tremanti:

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    - Signore, sono terribilmente spiacente per avervi importunato…ma non sapevo a chi altro rivolgermi….Ieri sera la contessa è andata ad una serata da Madame de Marguéry, vostra signoria la conosce senz’altro, e da allora non è più tornata. Nessuno l’ha più vista…temo che possa esserle accaduto qualcosa di terribile…-
    L’anziana governante incapace di parlare oltre, si coprì il volto con le mani e crollò nella poltrona più vicina.

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    Fabrizio si avvicinò a lei e le strinse una mano con affetto:
    - Sono al corrente di tutto quanto Amelia, e purtroppo non sono in grado di rassicurarti dicendoti che va tutto bene, la contessa è stata rapita…-
    Quelle parole furono come uno schiaffo per la donna, che vacillò incapace di reggere il colpo. Il conte Ristori proseguì con una voce vibrante di animosità, quasi parlando a se stesso:
    - Quest’affronto infamante non fa che aggiungersi al lungo conto in sospeso che quei miserabili hanno verso la casata dei Ristori… Giuro che pagheranno fino all’ultimo debito, e che porterò Elisa in salvo… dovesse costarmi la vita.-
    Mentre parlava aveva stretto spasmodicamente un calice tra le mani; con uno schianto secco il cristallo si frantumò ferendolo. Egli non parve tuttavia curarsene, assorto com’era nei suoi piani di vendetta…
     
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    I due occupanti della carrozza viaggiavano da qualche tempo, apparentemente incuranti degli sbalzi violenti causati dalla velocità. Elisa era grata a Victor per aver avuto la delicatezza di rispettare il suo silenzio. Non avrebbe saputo sostenere oltre la conversazione, presa com’era dalle sue ansie. I suoi pensieri indulsero per un attimo al ricordo degli istanti di passione che aveva condiviso con suo marito, forse per l’ultima volta. Rivide le sue mani, la sua bocca…ritrovò le stesse sensazioni, con un nodo doloroso alla gola. Per quel breve tempo era stata certa che lui l’amasse, glielo aveva letto negli occhi. Quelle immagini le sarebbero state di conforto nella sua futura solitudine.
    Gli occhi le si riempirono di lacrime che lei ebbe a stento la forza di respingere, guardò timidamente di fronte a sé per assicurarsi che Victor non l’avesse notato. Egli sembrava sprofondato nel suo cantuccio e guardava distrattamente la strada, perso in altri pensieri.
    Improvvisamente degli spari sibilarono, lacerando la quiete della notte. Victor si riscosse dal suo momentaneo torpore e abbassò il finestrino richiamando l’attenzione dello staffiere:
    - Che diavolo succede?- lo apostrofò.
    - Dei briganti, signore. Ci sbarrano la strada- rispose una voce allarmata.

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    Monsieur Bénac afferrò una pistola da sotto il sedile e ne tirò il cane, preparandosi allo scontro a fuoco.
    - Eccoci dunque arrivati all’inevitabile, abbassatevi Elisa, sembra che il duca abbia una gran fretta…-
    Victor si sporse cauto e sparò due colpi in direzione dei misteriosi cavalieri che si avvicinavano al suo sportello, uno di loro ebbe un sussulto e si portò la mano alla spalla, doveva averlo colpito. Altri colpi riecheggiarono in risposta, lo staffiere piombò giù da cassetta in un rantolo soffocato. Victor tirò con prontezza sull’assalitore che si era appressato minacciosamente all’altro lato della carrozza, uccidendolo.
    - Dobbiamo riuscire a sganciare i cavalli e a fuggire Elisa, rimane la nostra unica possibilità di salvezza…anche se non so come…-
    - Continuate a tenerli occupati, amico mio, scivolerò da questo lato cercando di eludere la sorveglianza..-
    - Non siate insensata, è troppo rischioso, non vi consentirò mai di esporvi a questo pericolo!-
    - Non ho chiesto il vostro consenso, Victor, lo farò comunque, quindi siate gentile e cercate di coprire le mie manovre. Non vi è tempo per pensare a un piano alternativo...-
    I fatti seguirono immediatamente le sue parole, la nostra eroina si trascinò carponi fino ai cavalli imbizzarriti scavalcando il cadaveri dello staffiere e del sicario, immersi in una pozza di sangue. Il cocchiere, giaceva riverso sotto gli zoccoli. Elisa non poté concedersi nemmeno il lusso di inorridire, sganciò con cautela i due animali, cercando di scansarne con destrezza i calci. Gli spari continuavano a squarciare l’aria, consentendole ancora alcuni minuti di autonomia. Fu una questione di secondi, tenendo ben salde le redini, Elisa fece un rapido cenno d’intesa a Victor che, continuando a far fuoco, riuscì a salire in groppa al cavallo.
    I due impavidi fuggiaschi spronarono le bestie impaurite e cercarono di allontanarsi il più possibile, sperando che l’oscurità costituisse uno schermo sufficiente per la loro fuga. Victor era riuscito a ferire mortalmente due degli aggressori, ma i due rimasti non sembrarono darsi per vinti tanto facilmente.
    Ricaricarono celermente le loro armi ed Elisa udì uno sparo assordante, il bagliore riverberò nella notte. Un gemito soffocato le rivelò che Victor era stato colpito, non sapeva, però, quanto grave fosse la sua ferita.

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    Lo vide crollare in avanti aggrappandosi strenuamente alla criniera., mentre continuava a incitare debolmente la cavalcatura. Elisa si avvolse la briglia dell’altro cavallo attorno alle dita cercando di guidarlo energicamente. Il solo pensiero che monsieur Bénac potesse essere ferito a morte le procurò un’atroce stretta allo stomaco. Ma, non era il momento per lasciarsi vincere dallo sconforto, ancora uno sforzo e forse sarebbe riuscita ad uscire dalla portata degli spari…

    FINE DELLA PUNTATA
     
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    X PUNTATA



    *******

    Elisa si appiattiva contro il dorso del baio nel tentativo di schivare i colpi che la sfioravano sibilando, rassegnata ormai all’inevitabile.
    Gli zoccoli dei cavalli degli inseguitori riecheggiavano inesorabilmente più vicini, sì da vanificare tutto il vantaggio che lei e Victor avevano guadagnato nella fuga. I gemiti rochi dell’amico ferito la raggiungevano di tanto in tanto, appena percettibili nel frastuono degli spari. Sicuramente stava perdendo molto sangue, e se non si fosse intervenuti per fermare l’emorragia, presto sarebbe stato troppo tardi. Pensieri convulsi si facevano strada nella sua mente. L’amara consapevolezza che entro pochi secondi sarebbe finita, ancora una volta, nelle mani del duca la sgomentava. Il sacrificio di Victor sarebbe stato inutile…
    Improvvisamente si udirono altri spari, questa volta sembravano provenire da più lontano, come se un nuovo sicario si fosse unito al gruppo. Elisa non fece in tempo a comprendere cosa stesse accadendo, che lo schianto di un assalitore colpito a morte, la colse di sorpresa; l’uomo rovinò per terra in un tonfo sordo. Qualcosa non tornava, se non si trattava di un altro aggressore, allora chi poteva mai essere?
    Il nitrito di un cavallo imbizzarrito scosse l’aria, l’altro inseguitore, quasi alle sue spalle, sembrò perdere terreno, esitare, anch’egli spiazzato da quell’agguato fuori programma.
    La luna, temporaneamente occultata dietro una nube, riduceva la visibilità. Tuttavia la sagoma indistinta di un cavaliere si delineò su un rialzamento del terreno, poco distante, simile a quella di un vendicatore nella notte.

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    La sua pistola lanciava luccichii poco rassicuranti.
    Una voce metallica vibrò sferzante come una frusta: - Voltatevi, duca Salvati, o vi sparerò alle spalle come meritereste, da quel vile che siete! -
    Elisa aveva tremato, come sotto un colpo, a quelle parole, tirò le redini e si voltò di scatto con il cuore in gola. Fabrizio era dunque riuscito a rintracciarla prima che accadesse l’irreparabile. Era lì per lei, ed ora rischiava ancora una volta di perderlo per sempre. Le sembrò di rivedere, come in un incubo, la scena del duello tra suo marito e il duca Ranieri. I secondi che seguirono sembravano scorrere con lentezza esasperante.
    Un ghigno perverso risuonò in risposta, quello del duca era un riso crudele, quasi inumano.
    Egli girò il cavallo a fronteggiare il temibile avversario che rimaneva impassibile ad attendere. Ora che la luna era sbucata da dietro la nube, i lineamenti del conte, contraffatti dall’odio, apparivano perfettamente illuminati. Una tensione palpabile aleggiava tra i due rivali. - Posso chiedere con chi ho l’onore di parlare?- il tono della voce del duca era chiaramente insultante.
    - Sono certo che lo sappiate già, ma ve lo ripeterò ancora, perché non abbiate a dimenticare il nome e il volto dell’uomo che vi spedirà all’inferno. Sono il conte Fabrizio Ristori di Rivombrosa e giuro che avrò la mia vendetta per le vostre offese infamanti!- Aveva scandito le parole una ad una come per assaporarne l’effetto, esse suonarono come un monito, una sentenza senza appello.

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    Sua Grazia, perfettamente conscio del pericolo imminente, volle sfidare la sorte. Approfittando di un attimo di distrazione dell’altro, estrasse la pistola dall’impugnatura d’oro tentando di colpirlo a tradimento; l’urlo disperato di Elisa sembrò squarciare l’aria. Dei lampi seguiti da due esplosioni violente, si susseguirono con brevissimo scarto, Fabrizio sussultò portandosi una mano al braccio, il duca barcollò a sua volta, poi cadde a terra riverso, in un ansito smorzato. Il suo sauro terrorizzato si levò sulle zampe posteriori, poi si allontanò galoppando nella notte, i suoi nitriti risuonarono sempre più lontani.
    La scena rimase come sospesa per brevi istanti, nessuno sembrava trovare il coraggio di muoversi. Infine Fabrizio si avvicinò con cautela al suo avversario aspettandosi forse un ultimo tiro mancino, ma la fissità innaturale dei suoi occhi rovesciati appariva fin troppo eloquente.
    Il conte torse le labbra indugiando in una smorfia di disprezzo: - Avete avuto la fine che meritavate, duca,.. codardo fino alla morte… - si portò ancora la mano al braccio, fortunatamente era stato colto solo di striscio.
    Elisa era rimasta paralizzata tutto quel tempo, ora sentiva allentarsi d’un tratto la tensione; il suo corpo era percorso da un tremito incontrollabile. Fabrizio le si avvicinò rapidamente, apprensivo:
    - Stai bene, Elisa? – chiese in un mormorio vibrante di emozione. Nell’oscurità, ella percepiva intensamente i suoi occhi preoccupati su di sé e avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia in uno slancio incontenibile. Invece rimase immobile : - Io sto bene, ma Victor… credo sia ferito gravemente…temo per la sua vita…- la voce le morì in gola.
    Un nuovo gemito sommesso, arrivò in risposta alle parole di Elisa. Victor, incapace di tenersi oltre in sella, si lasciò scivolare per terra. D’un balzo, Fabrizio fu su di lui, il debole chiarore della luna gli consentiva di scorgere a malapena attraverso le tenebre. Spostò il mantello per controllare dove era stato colpito. Una macchia scura gli si allargava implacabilmente sulla stoffa della marsina, alla base del collo, respirava a fatica: - Vi salverò….Elisa….dovesse essere l’ultima….cosa al mondo….che faccio…- riuscì a dire nel delirio.
    Fabrizio lo tastò ancora per rendersi conto della gravità della ferita: - Non temete amico mio, vi porterò in salvo, ho un debito notevole nei vostri confronti…non permetterò che moriate…- il tremito della sua voce, tradiva l’ansia che lo invadeva. Si fece aiutare da Elisa ad issarlo di traverso sul cavallo, in modo da causargli meno disagio possibile, prese le redini con fermezza:
    - La tenuta d’Anvau dista poco da qui, siamo fortunati!- aveva pronunciato quelle parole come per farsi coraggio. -
    Le tre figure si avviarono spedite verso quel porto sicuro. Le loro silhouettes incerte avevano qualcosa di lugubre sotto la volta scintillante delle stelle…



    Edited by dordogne - 13/2/2011, 19:25
     
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    All’arrivo dei visitatori notturni, il Castello d’Anvau aveva aperto immediatamente i suoi cancelli. Un servitore aiutò il conte Ristori a sorreggere il ferito conducendolo su per la scalinata, fino all’ampio atrio.
    Elisa ebbe così modo di incontrare il vero conte, rampollo della pregevole casata, che aveva garantito a Fabrizio la sua doppia identità. Era un uomo alto e dinoccolato, dai bei lineamenti aristocratici, i cui occhi scuri scintillavano sotto le sopracciglia ben disegnate, lasciando intuire un acume fuori dal comune. Diede il benvenuto ai nuovi arrivati inchinandosi alla contessa e salutò cordialmente Fabrizio con cui sembrava avere un rapporto privilegiato. Il suo sguardo cadde subito sull’uomo ferito, i suoi occhi stupiti cercarono una risposta in quelli dell’altro gentiluomo:
    - Monsieur Bénac? Non lo attendevamo che per domani…- esclamò senza riflettere.
    Fabrizio lo guardò in tralice: - E’ stato colpito in uno scontro a fuoco mentre tentava di proteggere la contessa dall’agguato del duca Liberati, è ferito gravemente….bisogna chiamare un medico al più presto! –
    Elisa era frastornata, non le era sfuggito lo scambio d’occhiate d’intesa tra i gentiluomini, né l’implicazione delle parole del conte d’Anvau. Quest’ultimo sembrava conoscere perfettamente Victor. Che cosa poteva mai avere a che vedere un ricco borghese, commerciante di vini, con i loschi complotti legati alla corona?
    L’emergenza della situazione la costrinse a rinviare le sue perplessità. Il medico arrivò tempestivamente, si intrattenne a lungo con il ferito e, dopo avergli estratto il proiettile ed essersi prodigato in cure circostanziate, si pronunciò in termini che lasciavano ben sperare:
    - La pallottola ha miracolosamente sfiorato gli organi vitali. Tuttavia monsieur Bénac è ancora in condizioni critiche, ha perduto molto sangue e la sua convalescenza sarà inevitabilmente lunga, ma sento di potermi esprimere ottimisticamente, sembra un uomo forte e robusto – si asciugò le mani dopo essersele lavate nella bacinella che un servitore gli aveva allungato - ora è sotto sedativo, lasciatelo riposare, domani tornerò a visitarlo ancora. –
    La buona notizia venne accolta da tutti con notevole sollievo, in particolar modo da Elisa che si sentiva profondamente responsabile per quell’incidente infausto.
    Ora che le paure si allontanavano, e che il sostegno fittizio della tensione veniva a mancare, ella cominciava a sentire tutto il peso della stanchezza crollarle addosso. La testa le pulsava tremendamente e gli occhi le bruciavano nel vano tentativo di tenerli aperti.
    Il conte d’Anvau si era congedato con discrezione lasciando gli ospiti da soli, non senza prima aver dato le ultime istruzioni per la notte.
    Ad Elisa non era sfuggito che Fabrizio aveva spiato preoccupato ogni sua reazione. Ricambiò il suo sguardo con un debole sorriso che si sforzava di essere rassicurante, ma i suoi tentativi non sortirono l’effetto sperato.
    Suo marito le fu subito accanto, le prese le mani dolcemente portandosele alla guancia in un gesto infinitamente tenero:
    - La mia impavida eroina…- questa volta non c’era traccia di rimprovero nella sua voce, solo un misto d’ironia e di ammirazione sincera – riesci sempre a sorprendermi, è questo che mi rende pazzo di te. Non devono essere stati momenti facili….-

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    - Devo ammettere di aver vissuto un’esperienza penosa, sgradevole, ma tu… come hai fatto a trovarci, come sapevi che…? - Fabrizio le pose delicatamente un dito sulla bocca dischiusa zittendola con prontezza, la sua mano si soffermò in una carezza leggera.
    Elisa lo guardava negli occhi profondi e si smarriva in quel mare di onde avvolgenti, soavemente cullata; dimenticò il suo malessere. Egli interruppe l’incanto:
    - Non ora, domani …verrà il tempo delle spiegazioni. Ora bisogna arrendersi alla notte….- completò la frase in un sussurro evocativo.
    Elisa si lasciò guidare docilmente ad una stanza che era stata preparata per lei, un’ampia vasca in legno di cedro era posta accanto al camino con tutto l’occorrente per un bagno, una cameriera attendeva fuori dalla porta.
    Il conte indugiò ancora sul viso stanco di sua moglie, si voltò, con una mano già sulla maniglia, fece per uscire: - Ti auguro la buonanotte, principessa delle fate…- la sua voce era infinitamente carezzevole. Qualcosa reagì dentro di lei d’impulso: - Fabrizio…- era stato un soffio appena percettibile – Egli lo udì, si volse in attesa. Elisa si sentì pronunciare le parole che seguirono come se non provenissero da lei:
    - Rimani, te ne prego…l’oscurità ridesta immagini spaventose…-
    Il conte obbedì, definitivamente vinto da quella supplica. Si appressò alla moglie sedendosi sull’immenso letto a baldacchino, le prese ancora le mani in una stretta gentile:
    - Temo di non riuscire ad essere padrone delle mie azioni, se rimango…- la frase rimase incompiuta.

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    Elisa gli sfiorò le labbra con le dita, negli occhi un’espressione timidamente incerta:
    - Non sono sicura di volere che lo siate, conte. – disse con velata complicità.

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    Quel richiamo bastò; vide, come in un sogno il viso di lui che si avvicinava inesorabilmente,

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    Adesso erano le dita di Fabrizio che seguivano lentamente il contorno della sua bocca appena dischiusa, in una carezza dolce e voluttuosa che le diede un fremito, poi, le sue labbra la travolsero in un bacio, dapprima lieve, quindi così intenso da toglierle il fiato. Elisa rispose con impeto ai baci, alle carezze inquiete di suo marito, lasciandosi trascinare senza più riserve. Il suo respiro breve, interrotto dall’affanno, tradiva un’impazienza crescente. Ella si scostò, per un attimo, si curvò all’indietro sciogliendosi i capelli in una movenza aggraziata della mano, cominciò a spogliarsi con movimenti lenti e conturbanti, come in una danza propiziatoria.
    Egli rimase smarrito a fissare quel corpo flessuoso che si rivelava pian piano, offrendosi a lui alla luce soffusa delle candele.

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    Il seno acerbo e ben disegnato, i fianchi snelli e armoniosi, il ventre morbido e piatto, la vita sottile.

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    Non paga dell’effetto che sapeva di suscitare, Elisa si immerse nell’acqua tiepida della vasca continuando la seducente esibizione; senza il minimo imbarazzo. Ogni suo gesto era una ferita struggente che gli toglieva il respiro. Non vi era donna al mondo che riuscisse a dargli emozioni simili, quella combinazione perfetta di candore e sensualità lo faceva impazzire, era sempre stato così.
    Minuscole lingue di fuoco ondeggiavano dentro ogni piccola perla sospesa sul suo corpo nudo. Si avvicinò a lei stordito dal desiderio, allungò una mano esitante a racchiudere un seno che lo provocava con insistenza. Ora era lui che si abbandonava alle carezze audaci di sua moglie, gli occhi dischiusi in una dolce resa.

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    Elisa sganciava i bottoni ad uno ad uno, scoprendogli il torace virile e ben tornito, sentiva palpitare d’aspettativa i muscoli di suo marito al contatto della sua mano avida ed esigente, la sua bocca morbida si soffermava sul collo, sulla ferita della spalla, torturandolo deliziosamente. Improvvisamente egli non riuscì a contenere più la sua smania. Quei gesti carichi di erotismo avevano scatenato la sua frenesia portandolo ad un punto di non ritorno. La prese con decisione all’esile vita tuffando i suoi occhi in quelli di lei quasi in un’implorazione: - Basta…vieni qui, seducente incantatrice…

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    Poi si lasciò andare ad un insieme sconnesso di slanci incontrollabili e intensi. La sua voce convulsa le ripeteva sommessamente – Solo tu Elisa…solo tu, amor mio…per sempre…-

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    Ancora una volta i loro corpi si unirono trascinati dalla passione, dimentichi del resto del mondo.

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    Era stata una lunga notte. Elisa si rifugiò tra le braccia di suo marito e si lasciò vincere finalmente dalla stanchezza. Un sorriso estatico si dipingeva sul suo volto. Sentiva che nulla avrebbe potuto
    minacciare quel senso di sicurezza ritrovata. Il domani, con le sue insidie, era lontano da quel presente da favola.

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    Il sole inondava la stanza frugando indiscreto in ogni angolo, rubando fuggevoli bagliori dai ricci scomposti sui drappeggi, facendo rifulgere di una calda luce lo splendido incarnato di Elisa, che si attardava pigramente tra i sentieri muschiati del suo sogno lieve.

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    Fabrizio, seduto al margine del letto, si crogiolava nella contemplazione di quelle forme armoniose. Era reticente ad interrompere le leggiadre fantasie che animavano il suo volto in una dolce espressione.
    Elisa allungò una mano indolente alla ricerca di un contatto, destata all’improvvisa realtà del suo amore, quasi a cercarne la rinnovata conferma.
    Incontrò un’altra mano rassicurante, pronta ad accogliere la muta richiesta con un tocco leggero.
    Aprì gli immensi occhi da gazzella accennando un sorriso infantile e accattivante;

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    Fabrizio colse quel richiamo e quel bocciolo vermiglio che gli si concedeva senza opporre resistenza alcuna.
    - Quanto mi sei mancata …- aspirò la sua fragranza - Quando ti ho saputa in pericolo mi è sembrato di perdere il senno, ho compreso quanto sciocco fossi stato …non posso Elisa, non voglio fare a meno di te, fosse pure… per un giorno.– le aveva preso il volto tra le mani, fissandola con intensità.

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    Elisa, piena di speranza, sentiva che la difficile prova che li aveva tenuti separati volgeva al termine. L’amore che li incatenava da sempre, aveva finito per trionfare su tutte le loro riserve, avrebbero superato ogni ostacolo insieme, ancora una volta.
    - Non riuscirete tanto facilmente a liberarvi di me, signore….credo che alla fine chiederete venia! – lo punzecchiò mentre si avvolgeva un ricciolo ribelle attorno alle dita sottili, in un gioco ozioso.

    - Non scherzare, ho vissuto in preda ai più atroci tormenti – le carezzava una guancia pensoso.
    - A dire il vero avresti meritato di peggio, per la tua indisponente arroganza…..- indugiò un attimo – credi ora che la mia curiosità possa venir soddisfatta se ti chiedo come sei riuscito, la scorsa notte, a trovarti nel posto giusto, al momento giusto? –

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    - Non pensare di essere l’unica ad avere magici poteri, streghetta – disse di rimando il conte Ristori. Poi il suo sguardo ridivenne d’un tratto serio – credo di aver setacciato come una furia ogni locanda, ogni strada, ogni stazione di posta. Le tracce del vostro passaggio sono state, fortunatamente, ben visibili ovunque. Le informazioni di un certo signor Trétignac si sono rivelate utilissime. Ho capito che dovevi essere fuggita…e ho benedetto il cielo per avermi concesso quella chance.
    - Il resto è stato relativamente semplice; conosco come ragioni, quando ti metti in testa di sfuggire alle avances di un corteggiatore insistente! –

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    Sembrò perdersi in un piacevole ricordo – A proposito, avrai la compiacenza di dirmi dov’è finito il cavallo del signor Trétignac, o credo che egli otterrà la mia testa!- le sue labbra tremarono in un sorriso.
    - Credo che sia rimasto docilmente legato alla staccionata, davanti all’ultima locanda in cui ho sostato! – rispose la contessa con aria innocente.
    - Oh, era dunque quel ronzino malconcio….i tuoi gusti sono notevolmente peggiorati, amor mio, mi deludi. – una luce ironica accendeva il suo sguardo.
    - Non potevo certo andare troppo per il sottile…poi, è stato un fortunato caso che Victor Bénac si trovasse sulla mia strada, gli devo la vita…-
    Fabrizio parve assorto in un pensiero martellante, disse in tono distratto:
    - Sì, un fortunato caso davvero…Questo mi riporta alle buone nuove che ho da darti: Victor sta molto meglio oggi, ha ripreso conoscenza, anche se la febbre non lo ha ancora abbandonato. Il medico è venuto all’alba e ha rinnovato i suoi rosei pronostici… –
    Elisa lo interruppe:
    - C’è ancora una cosa che vorrei chiederti. Ieri sera ho come avuto la curiosa impressione che la presenza di monsieur Bénac non fosse per voi …una sorpresa inaspettata….-
    - Sì, ci sono cose che vanno dette…è tempo ormai che tu venga messa al corrente dei fatti. In caso contrario, chissà in quale altra apprensione mi farebbe piombare la tua irriducibile ostinazione. Ho potuto constatare, ampiamente, a mie spese, quanto il tuo candore sia insidiosamente ingannevole –

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    Il sorriso canagliesco che lei tanto amava, riapparve ad animargli i bei lineamenti, uno scintillio malizioso gli si insinuò nello sguardo - Abbiate la bontà di rivestirvi, signora, e di raggiungermi nella stanza di monsieur Bénac, prima che il vostro atteggiamento licenzioso mi induca ancora ad azioni poco rispettabili – la canzonò con un inchino, richiudendosi la porta alle spalle.



    Edited by dordogne - 13/2/2011, 20:28
     
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    Gli abiti che Amelia le aveva inviato erano stati provvidenziali, ne scelse uno di mussola leggera impreziosito dai ricami di una minuta fantasia floreale, su varie tonalità d’azzurro. Un ultimo sguardo allo specchio le restituì l’immagine di una giovane donna attraente, gli occhi sfavillanti di gioia. Non ricordava nemmeno più da quanto tempo non stava così bene, i loschi intrighi di corte non erano nulla in confronto ai tormenti che aveva dovuto patire in quegli anni, lontana da Fabrizio. Ora che si erano ritrovati tutto le appariva in una prospettiva meno tragica. Si sentiva imbattibile.
    Si avviò a passi di danza alla camera di Victor mentre i suoi pensieri facevano festose capriole. Bussò lievemente, un invito gentile la persuase ad entrare. Cercò di contenere i battiti accelerati del suo cuore e di adeguare il suo portamento alla circostanza..
    Victor era sostenuto da diversi cuscini, il suo volto rivelava un pallore diffuso, ma appariva perfettamente lucido, non molto diverso dal solito. Sorrise di rimando ad Elisa che gli rivolgeva uno sguardo di gratitudine; tentò di sollevarsi per accogliere il suo ingresso con la dovuta cortesia, ma una fitta lancinante gli strappò una smorfia ed un gemito di dolore. La contessa accorse al suo capezzale:
    - Non dovete accennare neppure a sollevarvi, mio caro Victor – disse in tono affettuoso sistemandogli un cuscino che minacciava di scivolare per terra – vi assicuro che è stato più che bastevole il modo eroico in cui vi siete comportato, incurante del pericolo. Non vorrete farmi morire ancora d’affanno! – gli strinse con calore la mano adagiata sul letto.
    Victor trascinava le parole a fatica : - E’ stato un onore per me, Elisa, lo sapete bene. Non dovete più ringraziarmi… -
    - Non sforzatevi di parlare, amico mio, non è assolutamente necessario.- ribadì premurosa.
    Fabrizio osservava la scena, indulgente, le mani appoggiate all’indietro, sul piccolo scrittoio di ebano. La luce proveniente dalla finestra, alle sue spalle, gli indorava i capelli e la marsina.

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    - L’intervento di Victor ha del miracoloso, stavo appunto dicendoglielo- la voce del conte era calda come il chiarore diffuso che lo circondava. Elisa si volse a guardarlo mentre il suo cuore ribelle si abbandonava a una palpitazione fuori luogo. Cercò di contenere l’emozione; si sentiva sciocca come una ragazzetta al primo appuntamento galante. Fabrizio proseguì con un tono più austero che predisponeva inevitabilmente il suo pubblico alle rivelazioni che stava per fare:
    - Ti ho fatto venire, Elisa, per parlarti di questioni della massima segretezza. -
    La contessa spostò rapidamente lo sguardo dall’uno all’altro, presagendo qualcosa. Fabrizio sembrò cercare le parole giuste per esprimere i suoi pensieri:

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    - Come hai tanto prontamente intuito, Victor non si trova casualmente in questi luoghi – fece una pausa – egli fa parte, da tempo ormai, dell’organizzazione segreta ai danni del re di Savoia che fa capo… alla corona di Francia e a me…- quelle parole, sulla bocca di un uomo che un tempo era stato il più devoto difensore del sovrano, suonavano in modo curioso. Proseguì - Anzi, aggiungerei che Victor è uno dei nostri più fidati collaboratori…-Elisa corrugò la fronte nel tentativo di comprendere. Fabrizio fece un gesto significativo in direzione di Victor, che annuì : - E’ lui che fa da corriere tra la Francia e il Piemonte, il suo commercio costituisce un alibi e un’ottima copertura che gli consente di agire indisturbato…- s’interruppe.

    Una domanda salì alle labbra di Elisa, quella che aveva fatto a se stessa un numero infinito di volte: - … Faccio fatica a comprendere che cosa può essere accaduto, quattro anni fa, da spingerti ad agire in un modo così estremo. Che cosa ha fatto di te un ribelle, un nemico della corona? –

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    Egli esitò un attimo, sembrò sprofondare in cupi ricordi….Quando riprese a parlare la sua voce era appena riconoscibile.
    - Quella fatidica notte - l’immagine era ancora dolorosamente vivida nella sua memoria. – ero andato a chiedere udienza al re nella speranza di un ultimo colloquio risolutivo e…ascoltai senza volerlo una conversazione privata tra il sovrano e il marchese Salvati. Il re lo ringraziava per i servigi resigli e per la sua discrezione. Dapprima faticai a comprendere, a credere che quell’orrore potesse essere possibile! Via, via che il senso delle parole diventava più chiaro…mi resi conto di essere l’inconsapevole testimone di un atroce delitto. Ma non era ancora tutto…-

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    Mentre Fabrizio parlava ogni particolare del racconto si imprimeva a forti tinte nella mente degli ascoltatori:
    - …Sua Maestà disse al marchese che quel bambino andava trovato, era l’ultimo ostacolo da eliminare affinché la sua reggenza non fosse più minacciata. Pian piano tutto divenne comprensibile. Anni addietro la corte era stata teatro di trame che avrebbero rischiato, con la loro ripercussione, di suscitare uno scandalo di proporzioni enormi.
    Il vecchio re aveva una giovane consorte di salute cagionevole che, dopo una serie di aborti, era divenuta incapace, di dargli un erede…finché un giorno, finalmente la regina Anna Cristina Luisa di Baviera lo aveva allietato con la notizia della sua gravidanza.
    Tutto sembrava procedere sotto i migliori auspici ormai, ma la gestazione andava avanti a fatica, tra mille complicazioni. Appena iniziarono le doglie premature del travaglio…. la regina venne portata in una delle tenute dei possedimenti reali. Il sovrano non poteva rischiare di non garantire una discendenza alla corona, che in caso contrario sarebbe forse passata nelle mani dei pretendenti francesi. Il suo orgoglio giovanile gli impedì comunque di riconoscersi vinto. Nelle sue terre, una giovane contadina, con cui aveva avuto una relazione, aveva dato alla luce, da pochi giorni, un robusto figlio maschio. Sua Maestà aveva fatto in modo che la ragazza sposasse un onesto artigiano garantendogli una dote consistente.

    Si doveva essere pronti a far fronte ad ogni imprevisto! Quella notte in effetti la regina riservò a tutti… una sorpresa. Qualcosa doveva essere andato storto, ma non fu chiaro che cosa…forse il neonato aveva una tremenda anomalia. Ad ogni modo avvenne lo scambio. La regina costretta a quel sacrificio infame e indebolita dal parto, morì pochi giorni dopo.
    Carlo Emanuele III si risposò molto presto. In capo a pochi mesi la nuova regina gli diede un figlio maschio; egli tremò sotto quel colpo, ma non vi era altra scelta possibile. La farsa avrebbe dovuto essere portata a compimento. Il re fu costretto ad attuare il suo audace piano, non avrebbe potuto confessare al mondo quel tremendo misfatto; avrebbe messo sul trono il suo figlio naturale, un impostore…l’uomo che sta portando il Piemonte alla rovina con la sua reggenza ottusa e
    inflessibile!- concluse le ultime parole in un ruggito d’indignazione. Trovare quel bambino, quell’uomo, il vero figlio del re, era diventata un’ossessione per lui.
    Elisa lo aveva ascoltato in stupefatto e incredulo silenzio e, persino dopo che Fabrizio ebbe finito di raccontare, stentava a trovare le parole.

    Fissò smarrita un punto indistinto della camera con occhi colmi d’orrore:

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    - Era questo dunque..– riuscì a dire – tuttavia…. manca ancora qualche tassello per completare il quadro, perché Vittorio Amedeo ordinò la morte di suo padre? -
    Le labbra del conte si contrassero in una piega amara.
    - ….Perché, mi chiedi? Ma perché suo padre era il testimone più scomodo…da ciò che ho potuto intuire, durante la malattia Carlo Emanuele III aveva avuto modo di riflettere, i rimorsi cominciavano a farsi sentire, ebbe dei ripensamenti. Guardava quel figlio e sembrava presentire che non sarebbe stato un buon re. I due ebbero un acceso confronto durante il quale il vecchio re gli urlò in faccia tutto ciò che pensava di lui, gli rivelò le sue oscure origini e le sue perplessità, arrivò a schiaffeggiarlo…il resto va da sé.

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    - Vittorio Amedeo, però, non aveva fatto i conti con l’imprevisto, non si sarebbe certo aspettato di trovare ancora una volta il conte Ristori a sbarrargli la strada, fu un colpo per lui scoprire che avevo ascoltato tutto. Per questa ragione dovetti scomparire dalla scena…–
    Elisa si coprì il volto con le mani:
    - E’ orribile. Quell’uomo è il peggior ribaldo mai esistito…. Ma tu, che prove hai in mano per smascherarlo? –
    Il viso di Fabrizio sembrava spento, affaticato:

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    - ….Niente, non ho che un pugno di mosche in mano. Sono quattro anni che cerchiamo degli indizi, una prova schiacciante…quella famiglia di contadini sembra scomparsa nel nulla, senza lasciare tracce...-

    Una voce flebile richiamò la loro attenzione, Victor si levò leggermente facendo un cenno con la mano:
    - No….non è detta l’ultima parola, conte, non bisogna disperare …non ho ancora avuto modo di parlarvi delle mie ultime scoperte…non ve n’è stato il tempo.- riprese fiato - Le notizie che vi porto gettano nuova luce sul mistero…-
    Al colmo dello stupore, Fabrizio ed Elisa si volsero verso di lui in trepidante attesa

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    FINE DELLA PUNTATA
     
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    XI PUNTATA

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    Victor cercò di respirare a fondo, era perfettamente conscio dello stato di ansiosa aspettativa in cui teneva i suoi amici. Avrebbe voluto appagare all’istante la loro curiosità, condividendo i risultati di tante faticose ricerche, ma la ferita ancora dolorante gli imponeva di prendersi tempo, tra una parola e l’altra:
    - …La regina aveva una dama di compagnia fidatissima…. un’amica devota. Quando Anna Cristina Luisa morì…. ella svanì come per magia. Qualcuno a corte…. si sta ancora chiedendo con inquietudine dove sia finita…-
    Il conte Ristori levò impercettibilmente le sopracciglia, il suo sguardo penetrante si fece più attento:
    - Cominciate ad interessarmi incredibilmente, amico mio…-
    - Ero certo che sarebbe stato così, conte! ..La donna, dicevo, scomparve in barba a tutti…e si suppone che abbia portato con sé terribili segreti…-
    Elisa non riuscì a contenere le domande che le si affollavano alle labbra:
    - E voi…..siete già riuscito a parlarle, monsieur Bénac? O quanto meno.. conoscete il suo nome? -
    - …No, contessa…non sono ancora riuscito ad avere un colloquio con lei, e temo che la mia condizione mi impedirà di farlo, ancora per un po’. Quanto al suo nome, però, posso facilmente soddisfare la vostra curiosità: al tempo in cui era dama di compagnia si faceva chiamare madame de Vaubin, ed era la giovanissima vedova di un generale dell’esercito che godeva fama di eccezionale coraggio, in guerra…-
    Elisa ebbe una sensazione vaga a quelle parole, inspiegabile. Ad ogni modo non vi fu il tempo di pensare; la voce di monsieur Bénac si sovrappose al suo tentativo di precisare quell’intuizione folgorante:
    - Sono riuscito a seguire le sue tracce fino in Francia..- uno spasimo gli si spense in gola, dovette darsi tempo, respirò a fondo - …vive a Parigi, dove ha sposato un gentiluomo ben inserito in società: un certo monsieur de Marguéry. –

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    L’ultima frase aveva dato conferma alla premonizione della nostra eroina. Il conte invece, che non aveva sospettato nulla fino a quel momento, volse il capo in direzione di Elisa, negli occhi uno sguardo di stupita interrogazione. Il caso sembrava divertirsi a giocare con le loro vite, disseminando strane coincidenze sul loro cammino.

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    Delle grida festose interruppero la conversazione privata tingendo d’arcobaleno quel quadro a fosche tinte. Una voce inconfondibile di bimba raggiunse ovattata la stanza spingendo Elisa ad accostarsi alla finestra. L’immagine di Agnese che saltellava correndo per il grande parco, seguita da Amelia, le riscaldò subito il cuore riportandola alla dolce consapevolezza della propria maternità.
    La giornata era luminosa, il tempo volubile del giorno prima aveva lasciato nel cielo strappi di nuvole candide che ne facevano risaltare ancor più l’azzurro acceso. La leggera brezza primaverile arruffava dispettosa le foglie, faceva levitare impercettibilmente la veste leggera di Agnese, dandole un’apparenza eterea.
    Fabrizio prese teneramente sua moglie alla vita e le depose un piccolo bacio furtivo sul collo:
    - Ho programmato il loro arrivo, sin dalla mia partenza. Ritengo che qui nostra figlia sia più al sicuro e… sono felice di averti piacevolmente sorpreso…!-

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    Quella semplice frase esprimeva una complicità nuova, la promessa di un meraviglioso futuro insieme.

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    Victor si perse per un attimo nella contemplazione di quel quadretto che si stagliava contro la luce limpida del mattino. Non poté impedirsi di provare una fitta d’invidia, priva tuttavia di ogni traccia di gelosia. Era definitivamente guarito dalla passione travolgente che aveva nutrito per Elisa e ora cominciava a chiedersi se anche lui, un giorno, avrebbe condiviso un sentimento altrettanto profondo con qualcuno.
    Elisa, cullata dalle parole di Fabrizio, non riusciva più a contenere la sua gioia, l’emozione la invadeva a ondate creando un piccolo ingorgo dolente alla gola.

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    Gli occhi le si riempirono di lacrime che non riuscì a ricacciare indietro, per quanti sforzi facesse. I richiami insistenti di Agnese riecheggiavano sempre più vicini: - Mamma, mammina mia! - ripeteva cinguettando lieta

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    Senza più indugiare la contessa corse incontro a sua figlia, che le si gettò tra le braccia con la fresca spontaneità di sempre. La strinse a sé assaporando appieno la tenera sensazione di quel contatto.

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    Prese tra le sue le manine della bimba e, scostandola leggermente da sé, la osservò per un lungo istante soffermandosi su ogni particolare, come per imprimerselo nella memoria.
    Una cascata di soffici riccioli, trattenuti da un nastro rosa le incorniciava il visetto paffuto ricadendole sulle spalle in boccoli ordinati. La boccuccia protesa era un bocciolo soave e delicato.
    Amelia, che era riuscita faticosamente a tenerle dietro, arrivò in quel momento, il petto palpitante per l’affanno; strinse la mano di Elisa al colmo della commozione:
    - Oh Elisa, che paura mi hai messo, se non fosse stato per Sua Signoria – s’inchinò rispettosamente in sua direzione – sarei impazzita dalla preoccupazione. Ma cosa è successo piccina mia? –

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    Il suo rapporto con Amelia era sempre stato speciale, l’aveva considerata molto più che una semplice governante, quasi una seconda madre.
    - E’ una lunga storia Amelia, ti racconterò…- esclamò la giovane donna elusiva. Non le andava di sciupare quel momento con tristi pensieri.
    Fabrizio aveva osservato la scena con sorniona benevolenza, avvolgendo con lo sguardo due tra le persone che più amava al mondo.

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    Si ripeté che nulla di brutto avrebbe potuto turbare la sua felicità perfetta. Non poteva certo presagire quale tiro mancino gli riservasse ancora la sorte…
     
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    Sua Maestà Vittorio Amedeo camminava nervosamente, misurando a grandi passi la sala consiliare. Qualcosa doveva aver irrimediabilmente turbato i suoi pensieri, e quella preoccupazione appariva evidente in tutta la sua imponente persona. La sua regale mano diede espressione alla rabbia che si impadroniva di lui assestando un pugno sul grande tavolo di mogano intarsiato.
    Quell’opera mirabile dei più rinomati artigiani francesi, tuonò sotto quel colpo possente ripercuotendone il suono amplificato per tutta l’ampiezza della stanza.
    La persona che il re attendeva con impazienza venne finalmente introdotta; madame Lavoulère portava, sotto il cappello a tese larghe, una veletta scura che le celava parzialmente il volto. Sollevò il sottile schermo di pizzo con un movimento aggraziato della mano affusolata e si inchinò profondamente al sovrano.
    Il suo viso ben disegnato si rivelò allora in tutto il suo splendore; la bella bocca dalle labbra provocanti aveva una piega decisa, che lasciava intravedere quanta ostinata determinazione si nascondesse dietro quell’apparenza angelica. Eléonore, per quanto giovane, sapeva già molto bene quello che voleva dalla vita.
    L’ “amicizia” del re le aveva spalancato molte porte e, avendo assaporato il gusto inebriante del potere, non avrebbe permesso che nulla al mondo si mettesse tra lei e la sua scalata verso l’autoaffermazione. L’indole candidamente immorale che la contraddistingueva lasciava agevolmente supporre che i mezzi con cui si riprometteva di raggiungere i suoi scopi non sarebbero stati sempre onorevoli. La sua voce soave pose fine alla trepida attesa del sovrano:
    - Vostra maestà vorrà avere la bontà di scusare il mio ritardo….ma il viaggio di ritorno è stato poco agevole…- si liberò del grazioso cappello, adorno di morbide piume che sormontava una complicata acconciatura “à la capricieuse”, e restituì al re uno sguardo denso di implicazioni.
    - Parlate dunque, Eléonore – la sollecitò impaziente - quali nuove mi portate? –
    - Purtroppo nessuna buona nuova, sire…i nostri piani, come anticipava peraltro la missiva, non sono andati a buon fine….-
    - Che cosa è accaduto? - il re parve quasi sul punto di perdere ancora il controllo - tutto sembrava procedere per il meglio. Avevamo finalmente tra le mani una pedina strategica!- ruggì.
    - Così sembrava in un primo tempo, Vostra Maestà. Per colmo di sventura, la contessa è riuscita a fuggire prima che tutto fosse portato a compimento. Il duca Liberati…malauguratamente ha perso la vita in un’imboscata. Le autorità del luogo sostengono si sia trattato di un agguato di briganti… ma io e voi sappiamo bene quale firma rechi l’attentato…-
    - Il conte Ristori è vivo, dunque è così…? - i suoi occhi fiammeggiavano d’ira - Mi uccide gli amici e, come se non bastasse, minaccia seriamente di scardinare la mia reggenza fin dalle sue fondamenta! Non vi avevo affidato che un unico incarico per ripagarmi della fiducia che avevo riposto in voi: liberarmi di lui, un volta per tutte! Non siete che dei buoni a nulla! – ringhiò in un impeto di collera incontrollabile.
    Madame Lavoulère non parve minimamente turbata da quello sfogo. Aveva imparato a trattare con quel sovrano dai furori repentini, e si era fatta un’idea precisa degli stratagemmi da utilizzare per rabbonirlo. Le sue sottili arti di seduzione femminile erano ancora un’arma efficace. Dopo tutto anche il re era un uomo; mise bene in mostra la profonda scollatura, che rivelava un seno procace e invitante, e disse suadente:
    - Non è ancora detta l’ultima parola, Sire! Se volete il mio parere, non credo che il conte abbia nulla di schiacciante in mano, o avrebbe già da tempo fatto una mossa…-
    - Non pretenderete che rimaniamo qui ad attendere che agisca, sulla base di una supposizione, signora ? - disse in tono che diveniva visibilmente meno aggressivo.
    Il suo sguardo indugiava su quelle forme attraenti, già distratto da altri pensieri. Quella donna aveva la facoltà di soggiogarlo rendendolo schiavo del suo desiderio per lei. Perfettamente consapevole del suo potere Eléonore continuò quasi in un sussurro insinuante: - Mi fate il torto di sottovalutarmi se pensate che non intendessi che questo. Vi sono infiniti modi di mettere i bastoni tra le ruote a qualcuno. – completò la frase in modo volutamente misterioso. Il re sembrò incuriosito ed ammaliato a un tempo:
    - …E voi signora, immagino che abbiate già qualche idea in proposito…- disse languidamente.
    La giovane donna lo fissò con uno sguardo complice mentre gli si faceva sempre più vicina:
    - ..Dimenticate suo figlio Martino, Sire, il conte sembra essere molto sensibile ai legami di famiglia…-
    Il re aveva lasciato scivolare le sue labbra voraci sulla seducente curva del collo di Eléonore, definitivamente vinto dal suo fascino, mentre le sue mani la stringevano con veemenza. Ella aveva di gran lunga oltrepassato la distanza lecita che un suddito dovrebbe mantenere con il suo sovrano, si abbandonò alle piacevoli sensazioni abbassando le lunghe ciglia sensuali. La solenne conversazione segreta venne temporaneamente rinviata.

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