LA TELA DEL REGNO

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    Antonio sedette sul bordo arrotondato della fontana e fissò lo sguardo su Martino, appoggiato alla balaustra e curiosamente assorbito dalla lettura del volume di “Filosofia Antica” che reggeva tra le mani. Proprio in quel momento, Elisa passò alle spalle del figlio, gli rivolse un saluto distratto e continuò a scendere la scalinata di pietra, dirigendosi a passo spedito verso le scuderie, senza tuttavia notare la presenza dell’amico, né che egli facesse alcun gesto per richiamare la sua attenzione.
    Quella di ozioso spettatore dell’altrui adoperarsi, era un’occupazione alquanto insolita per il dottor Ceppi; l’espressione amara che gli incupiva lo sguardo sarebbe, d’altronde, bastata a rivelare, in lui, pensieri tutt’altro che lievi e indolenti.
    Socchiuse gli occhi e abbandonò il capo all’indietro, chiedendosi quale avrebbe potuto essere la reazione della cognata, se avesse potuto sospettare, sia pure in minima parte, ciò che si celava dietro la sua lealtà inossidabile.
    Da più di quattro anni Antonio si dibatteva, con un atroce senso di rimorso, tra il vincolo indissolubile del giuramento fatto all’amico di sempre, e il debito di fedeltà nei confronti delle persone che gli erano più care. La scelta si era rivelata ardua, eppure necessaria e irrevocabile.
    Quando Fabrizio lo aveva reso, per la prima volta, partecipe di quelle che, allora, gli erano apparse solo come delle assurde farneticazioni, cercando di coinvolgerlo nel piano folle che prefigurava la propria sparizione dalla scena, aveva provato in tutti i modi di dissuaderlo.

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    Ciononostante, si era visto costretto, in seguito, ad ammettere che l’idea del conte aveva una sua logica, seppur agghiacciante e spietata. L’alternativa al suo salto nel buio sarebbe stata la rovina definitiva della casata Ristori e una sentenza di morte per se stesso, forse persino per coloro che amava più al mondo. Quella “follia” aveva così, gradatamente, vinto anche la sua naturale reticenza ed era diventata ineluttabile.
    Fabrizio aveva preferito, però, mantenere un assoluto riserbo sui dettagli del “mistero”di cui era entrato involontariamente in possesso. Si trattava di un segreto talmente inquietante da costituire un pericolo per chiunque ne venisse a conoscenza. Ceppi si era fidato della parola dell’amico rispettando il suo volere.
    E così aveva orchestrato, con sapiente abilità, la sostituzione della presunta salma, poco prima che la bara venisse interrata, ed era divenuto il reticente, e tuttavia impassibile, testimone della tragedia che si era consumata sotto i suoi occhi, dello strazio insopportabile di coloro che lo circondavano, ben sapendo di essere il depositario dell’unico segreto che avrebbe potuto dissolvere tutti i nodi di pena e di afflizione.
    Non aveva mancato, all’occorrenza, di dispensare equivoche parole di conforto, con la morte nel cuore e l’ipocrisia sulle labbra e adesso, che tutto si svelava e che Elisa si riappropriava pian piano della verità, sentiva di meritare tutto il biasimo e lo sdegno che sarebbero inevitabilmente ricaduti su di lui.
    Era indispensabile che sua moglie ed Anna rimanessero all’oscuro di tutto, aveva decretato Fabrizio, almeno fino a quando egli non avesse avuto in mano delle prove sicure; sapere avrebbe fatto correre a tutti, inutili rischi. Ogni particolare doveva conservare un’apparenza di verità così schiacciante da non dare adito all’ombra di un sospetto. E così era stato.
    La verosimiglianza si era rivelata tale, da instillare, talvolta, a distanza di tempo, anche nella sua mente di uomo di scienza, il dubbio che non si fosse trattato soltanto di una messinscena ad uso e consumo dei nemici.
    Del resto, dal giorno in cui gli aveva detto addio, augurandogli buona fortuna, nemmeno Ceppi aveva avuto più notizie dell’amico.

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    Per motivi di sicurezza si era imposta l’esigenza che ogni legame venisse reciso. Il conte Ristori era, dunque, svanito nel nulla senza lasciare tracce di sé e, con il passare del tempo, il dottor Ceppi aveva perduto la certezza e, persino, la speranza che il cognato fosse ancora in vita, paventando costantemente che gli fosse accaduto qualcosa di irreparabile.
    Pochi mesi e tutto si sarebbe risolto, tale era stata la rosea previsione iniziale, e invece i giorni avevano seguito i giorni, e la fiducia si era affievolita, rendendo definitive quelle che avrebbero dovuto essere soltanto delle condizioni provvisorie.
    Se solo avessero entrambi potuto prevedere quanto la meta di quei progetti fosse lontana e ingannevole!
    Antonio riaprì gli occhi e vide l’oggetto delle sue riflessioni in piedi innanzi a sé, chino appena sul suo viso. Elisa appariva pallida ed eccitata.
    - Ho appena fatto delle interessanti scoperte – esclamò senza preamboli torcendosi convulsamente le dita - sono certa che resterai sorpreso nell’apprendere i nuovi risvolti delle mie indagini – fece qualche passo verso un cespuglio di ortensie, cogliendo distrattamente un fiore ancora scintillante di rugiada, in attesa della reazione dell’amico, che continuava a fissarla con un’espressione indecifrabile. Ma era troppo agitata per soffermarsi su qualcosa che non fosse il suo turbinio interiore. Riprese a parlare senza attendere oltre – Fabrizio agisce sotto falso nome, quello di una casata francese …non mi resta che stabilire l’esatta origine del titolo e confidare nella buona sorte… -
    Era giunto il momento di sciogliere i misteri e le reticenze, a qualunque prezzo. Antonio le strinse le mani con un gesto nervoso, poi le lasciò andare:
    - Credo che anche tu resterai sorpresa nell’apprendere la natura delle mie meditazioni…c’è qualcosa che devo assolutamente dirti, Elisa, o probabilmente non ne troverò mai più il coraggio…-
    Una luce di stupita interrogazione accendeva lo sguardo della contessa, Antonio si alzò continuando a fissarla sgomento:
    - Comprenderò, se me ne vorrai, per ciò che sto per dirti. Io stesso, del resto, faccio fatica a trovare delle giustificazioni plausibili alle mie azioni…-
    - Che dici, Antonio, che cosa puoi avere mai fatto, tu, di così tremendo? – un sorriso incerto le apparve sulle labbra.
    - Per quanto mosso dalle più lodevoli intenzioni ….ho ingannato la tua fiducia in modo riprovevole… perché vedi, io ero a conoscenza di tutto, da molto, molto tempo …-
    Ogni cosa prese a vorticarle intorno in modo curiosamente allarmante, si lasciò cadere debolmente sulla panca di pietra, incapace di distogliere lo sguardo dagli occhi colpevoli dell’amico.
    Intanto che ogni più piccolo dettaglio veniva alla luce, ed ogni parola di Antonio investiva le sue orecchie faticando, tuttavia, a penetrare la sua mente, ella rimaneva impassibile e sconcertata.

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    “…un giuramento irrevocabile” stava cercando di spiegare, adesso, Ceppi “aveva dovuto mantenere fede alla parola data a Fabrizio anche se il peso di quel segreto era stato insostenibile” ogni frase si combinava alla precedente senza tuttavia placare la rabbia che sentiva levitare dentro di sé “suo marito aveva soltanto voluto proteggere, lei e i bambini, dalle conseguenze di un duello pericoloso, senza esclusione di colpi…”
    Come poteva essere stata così ingenua? Per tutti quegli anni aveva vissuto in un incubo inimmaginabile ed ora scopriva di essere stata soltanto la vittima di una beffa crudele, di un inganno di proporzioni enormi in cui era coinvolto anche il suo amico più caro.
    L’aria mite del mattino, le sembrò improvvisamente opprimente, irrespirabile. Si alzò di scatto, non voleva più ascoltare una sola parola della confessione oltraggiosa di Antonio. Aveva solo bisogno di fuggire da quella realtà inaccettabile e rifugiarsi altrove.
    D’improvviso gli volse le spalle, senz’altra risposta che uno sguardo ferito in cui vibrava tutto il risentimento della disillusione e corse su per le scale, senza dargli il tempo di fermarla. Del resto, egli non si era atteso nulla di diverso, la reazione di Elisa era più che plausibile. La desolazione e il rimorso che Antonio provava, erano troppo profondi perché egli stesso pensasse di avere una sola possibilità di trovare comprensione.
     
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    Immersa tra i grossi volumi di “Araldica”, che aveva tratto dagli scaffali più alti della biblioteca, la contessa scorreva con occhi ansiosi i titoli altisonanti che ricoprivano le pagine ingiallite dal tempo.
    Un intero pomeriggio dedicato a quell’alacre attività di ricerca, era valso a restituirle un equilibrio mentale che nessuna riflessione avrebbe potuto darle, e le aveva parzialmente pacificato lo spirito, slegandola da vani rancori, così poco confacenti alla sua natura.
    L’attitudine che la animava, però, era tutt’altro che mite e rassegnata; quell’ultima rivelazione aveva, semmai, contribuito a renderla ancora più pervicace e combattiva. Se tutto cospirava contro di lei, ebbene, avrebbe dimostrato quanto era arduo tenerla in un cantuccio e indurla alla resa!
    Di colpo, il suo indice si fermò sullo stemma che affiancava la casata d’Anvau - un leone rampante blu su campo dorato - .
    Si trattava quindi di un titolo legato ad un’illustre famiglia parigina! Era ben poca cosa, ne era consapevole, ma aveva fatto una promessa a se stessa: mai più nulla si sarebbe messo tra lei e Fabrizio. Il suo tentativo di proteggerla non sarebbe servito neanche questa volta!
    Ricordava un tempo in cui aveva lottato da sola contro l’impossibile, contro una sentenza che non lasciava speranze. Eppure la sua tenacia, il suo amore, avevano trovato la strada…
    Rammentava momenti terribili, in cui aveva creduto di aver perso per sempre suo marito. Il dolore l’aveva annientata, un dolore talmente sordo e divorante, da non lasciare più nulla di vitale in lei. Non era stata, per mesi, che un corpo inerte, privo di impulsi, incapace di vivere il presente. Negli scarsi momenti di lucidità si era chiesta che cosa la trattenesse dal mettere fine ai suoi giorni; la risposta era sempre lì a riscuoterla dal suo delirio: la piccola Agnese.
    Ora, la consapevolezza che nemmeno la morte aveva potuto separarla da Fabrizio, le dava nuova forza. I pericoli, gli ostacoli, per quanto oscuri e temibili, non sarebbero riusciti ad impedire il loro amore. Una nuova paura, tuttavia, la assalì: “E se qualcun altro, come lei, fosse arrivato alle sue stesse conclusioni, risalendo alla falsa identità del conte Ristori?”
    Questa volta sarebbe stato molto più arduo, per lei, lottare contro un nemico senza volto!
    I suoi presentimenti non erano del tutto privi di fondamento…c’era già chi agiva nell’ombra, un’ombra molto più vicina di quanto Elisa potesse sospettare…
    Allo scalpiccio di zoccoli sul selciato, la contessa chiuse di scatto il librone e si avvicinò alla vetrata scostando i tendaggi. Non avrebbe esitato, in seguito, a riconoscere l’irrequieto tiro a quattro che aveva appena varcato i cancelli della dimora.

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    Il cocchiere, in livrea nera e oro, tirò le redini davanti all’ingresso principale e la dama elegante che occupava la carrozza, scese con grazia ineffabile, seguita da un gentiluomo in marsina color prugna che Elisa non fece fatica a identificare come il duca Liberati, medico di fiducia di Sua Maestà dopo l’allontanamento del marchese Salvati, e non meno intrigante del suo predecessore.
    Quell’avvenimento bizzarro non faceva che aggiungersi alle tante, inspiegabili fatalità che continuavano a scandire, di recente, le sue giornate.
    Mosse verso l’ingresso in un fruscio di seta.
    - Cara contessa Ristori – esclamò la gentildonna, andando incontro alla sua ospite retriva – perdonate la nostra intrusione inopportuna, in realtà il duca Liberati, ha cercato a lungo di dissuadermi dal recarvi visita senza alcun preavviso, ma vedete, la vita di corte è talvolta talmente noiosa, che sono certa vorrete essere magnanima! Il mio slancio è dettato, ve ne assicuro, dalla più sincera amicizia!– concluse con assoluta naturalezza, sembrando ignorare del tutto l’eccentrica stravaganza della sua condotta.
    La contessa non riuscì a dissimulare una certa stupefatta sorpresa:
    - Siete la benvenuta Signora…-
    Madame Lavoulère scosse i celebrati capelli corvini, che la brezza primaverile scomponeva appena, le labbra piegate in un sorriso di soave insolenza. Continuava a parlare seguendo la contessa nel salottino “blu di Prussia” che si affacciava sull’ampia terrazza. Elisa cominciava a interrogarsi mentalmente sullo scopo di quella visita.
    Lo sguardo rapace ed i modi intriganti della gentildonna la tenevano costantemente in stato di allerta e l’atteggiamento cerimonioso del duca, per quanto sempre rispettoso dell’etichetta, non le era mai piaciuto, lo giudicava un ipocrita e un opportunista.
    Mentre conversavano del più e del meno scambiandosi convenevoli, la contessa aveva spesso la sensazione che gli occhi del gentiluomo spiassero le sue mosse e la scandagliassero, come per carpire i suoi segreti.
    Gli ospiti si trattennero a lungo, compiacenti e salottieri; il duca Liberati si spinse persino a far mostra di una smisurata ammirazione per il suo collega – il dottor Ceppi - e si dichiarò curioso di conoscere in modo più approfondito, i risultati di tanti anni di ricerche e di infaticabili studi.

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    L’espressione inappropriata di Antonio lasciava comprendere quanto egli si prestasse controvoglia alle attenzioni di cui era oggetto. L’unica persona capace di reggere amabilmente il gioco era Anna.

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    Apparentemente ignara dell’atmosfera insidiosa e grottesca che avvolgeva ogni parola e ogni gesto, nella sala, ella sembrava perfettamente a suo agio. Rideva garbatamente e rispondeva ai vuoti motteggi con assoluta presenza di spirito e una naturale cortesia.
    Alla fine della visita Elisa si sentiva sfibrata e nervosa, lo sforzo che si era imposta per apparire allegra e loquace, aveva esaurito le sue ultime risorse d’energia. Sentiva che doveva agire, muoversi in fretta, anche se non le era ancora ben chiaro in quale direzione.
    Fu mentre osservava la carrozza sparire oltre la barriera di olmi che cingevano la cancellata, che venne folgorata di colpo “dall’idea”.

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    Un piano che coglieva di sorpresa persino lei, per l’audacia e la spregiudicatezza della sua concezione, andava lentamente prendendo forma: sarebbe partita, con Agnese ed Amelia, alla volta di Parigi.
    Il cuore palpitante della Francia, teatro di tanti intrighi, sarebbe stato il punto di partenza per le sue ricerche.
    Ma che cosa le avrebbe riservato una città così grande e sconosciuta? Sarebbe riuscita a dipanare la matassa da sola e senz’altro indizio che un falso nome?


    FINE DELLA PUNTATA
     
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    V PUNTATA


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    La carrozza sfrecciava a tutta velocità per la via che conduceva alla porta sud di Parigi; a quell’ora tarda, si sarebbe detto che fosse inseguita dai briganti.
    Una fioca luce lunare illuminava la strada al cocchiere, che diveniva sempre più impaziente di varcare la barriera. Più di una volta lo staffiere si era affacciato all’interno dell’abitacolo per accertarsi che tutti quegli sbalzi non creassero alcun fastidio alle tre passeggere. Certo, era stato di una temerarietà folle, da parte della giovane contessa, intraprendere un viaggio così lungo, senza una scorta adeguata, ma non era compito suo giudicare le scelte della nobildonna.
    D’altro canto, il movente che aveva spinto Elisa ad un gesto così estremo, non aveva nulla a che vedere con i dettami della saggezza, né tanto meno della ragione. La rivelazione che Fabrizio viveva e che era in pericolo, era stato un motivo più che sufficiente per indurla a dimenticare qualsiasi richiamo alla prudenza.
    A quell’ora, la capitale francese appariva deserta e ostile. Solo lo scalpiccio degli zoccoli sul selciato rompeva il silenzio delle strade. Di quando in quando, mentre la carrozza procedeva ad un’andatura più lenta, la luce balenante di un fanale o di una torcia ne illuminava l’interno lasciando intravedere, ora un volto paffuto di bimba abbandonato nel sonno, ora una mano inguantata. Ad una certa distanza risuonò la voce cadenzata della ronda. Il postiglione si affrettò a raggiungere la locanda del “Cervo d’oro” indicatagli per la notte, alloggio adeguato per una signora dell’alta società.

    ******


    Nello stesso momento, intanto, alla corte sabauda si svolgeva un’interessante conversazione tra il re e il marchese Montiglio, suo consigliere:
    - Vostra Maestà ho una cattiva nuova da comunicarvi…sventuratamente il piano per l’eliminazione del marchese Salvati è fallito, qualcuno deve avere organizzato la sua fuga.
    - Com’è potuto accadere? – ruggì il sovrano, non era la prima volta, negli ultimi tempi, che gli sfuggiva la situazione di mano e l’orribile sensazione di essere stato raggirato gli faceva perdere il senno - Dannazione…marchese, mi avevate dato la vostra parola che non vi sarebbero stati più intralci!- lo fulminò con lo sguardo- …E invece, mi deludete tristemente ancora una volta. La vostra imperdonabile mancanza di lungimiranza ci mette in una situazione estremamente incresciosa. Adesso abbiamo un potenziale testimone nelle mani del nemico. Vorrei che rammentaste che, se la Corona verrà coinvolta in uno scandalo, sarete il primo a piangerne le conseguenze!!! – la sua voce era raggelante – In verità, comincio a chiedermi che cosa mi induca ad usarvi tanta clemenza…-
    Il suo consigliere gli restituì uno sguardo di ironica tranquillità:
    - Forse l’irrefutabile consapevolezza che io sia il solo a condividere con voi degli oscuri segreti che potrebbero portarvi alla rovina, Sire?- questa volta sfoderava un’insolente sicurezza che non mancò di colpire il bersaglio.
    Le narici del re fremettero pericolosamente:
    - Non vi conviene lasciarvi andare a queste basse insinuazioni, mio caro marchese! - nella sua voce vibrava una collera che minacciava di esplodere da un momento all’altro.
    - Dovete aver mal compreso, Sire.- rispose con voce morbida l’altro gentiluomo - Intendevo soltanto dire che, al momento, ci troviamo accomunati dalla stessa sorte, incerta e misteriosa, tanto nel bene, quanto nel male. Del resto, Vostra Maestà non ha mai avuto motivo di dubitare della mia profonda devozione.-
    Il re parve gradatamente riacquistare il controllo di sé, si sedette sulla poltrona e si appoggiò lentamente all’alto schienale rivestito di broccato:
    - La vostra sicurezza mi dice che avete già pensato ad un piano alternativo. Vi ascolto con il più vivo interesse..-
    - Se mi permettete di darvi un suggerimento, a questo punto non rimane che una possibilità, Sire, rintracciare il vostro più temibile avversario, l’unico che potrebbe avanzare dei diritti sulla corona, e liberarsene definitivamente, questa volta. -
    Sua Maestà sospirò stancamente, la rabbia aveva ceduto il posto ad una profonda inquietudine:
    - Anche su quel fronte, pare che le ricerche non abbiano sortito gli effetti sperati, sappiamo solo che venne affidato ad una famiglia di contadini, che si trasferì, poi, nei pressi di Venezia. Malauguratamente il desiderio di disfarsi in fretta delle prove, ha fatto perdere le tracce della famiglia in questione. Tuttavia… non bisogna demordere …se trapelasse qualcosa, se il segreto finisse tra le mani della persona sbagliata…sarebbe la catastrofe! Nessuna nuova del misterioso infiltrato? -
    - Nulla Sire, chi indaga agisce con notevole astuzia…c’è di più, i pochi indizi trovati, sembrano stati intenzionalmente lasciati da qualcuno che desidera farsi beffe di noi!! -
    - Intendete forse dirmi, caro marchese che, un piano che ha richiesto anni di caute e ingegnose macchinazioni, rischia di venir vanificato a causa di una banda di incompetenti senza nome? Deve pur esservi un modo …–
    La sua mano era chiusa spasmodicamente ad artiglio intorno al ben tornito bracciolo della poltrona.
    Tacque a lungo, sembrando perdersi dietro a un suo segreto pensiero:
    - Eppure, già da tempo mi sorprendo a pensare…conosco una sola persona che sarebbe capace di simile spregiudicatezza, e che avrebbe il movente per agire così, il conte Fabrizio Ristori di Rivombrosa! Se non fosse morto anni fa, avrei più di un motivo per sospettare di lui…non capisco in che modo…le indagini del duca Liberati e di Madame Lavoulère hanno portato a qualcosa ? – lo incalzò.
    - Non ancora…la contessa, così come il dottore, sembrano ignari di tutto. -
    - Non fidiamoci marchese …non molliamo la presa, con la dovuta discrezione, beninteso! Non dimenticate che la contessa Elisa Ristori, con la sua aria innocente, ha già sventato una volta i nostri piani… Non intendo permettere, ancora una volta, ad una vile servetta, di prendersi gioco di noi! – le sue labbra si torsero in un’espressione di animoso disprezzo.
    - Al momento, Vostra Maestà, siamo ad un punto morto, pare che la contessa sia partita per far visita ad una parente, a Lione…la durata della permanenza non è stata ben precisata. –
    Vittorio Amodeo si voltò di scatto a fronteggiare il suo interlocutore. Dal suo sguardo traspariva una irremovibile determinazione:
    - Non bisogna lasciarsi sfuggire alcun particolare, anche se apparentemente trascurabile, scoprite dov’è andata…e se è ancora la famiglia Ristori a mettere il naso negli affari della Corona, questa volta non sarò tanto indulgente.. -
     
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    Quel pomeriggio, quando aveva lasciato la locanda di “rue du Rempart”, per avviarsi alla consueta passeggiata quotidiana in cerca di una blanda distrazione dal suo sconforto, Elisa si era chiesta se, in realtà, non fosse stato un errore madornale, quello di venire a Parigi. Subito dopo il suo arrivo, non aveva avuto grandi difficoltà a trovare il palazzo d’Anvau, in una delle vie più eleganti e meglio frequentate della capitale francese, ma all’entusiasmante scoperta non avevano fatto seguito le fortunate concomitanze che si era attesa, in un primo momento. Aveva scoperto, al contrario, con amara disillusione, che il palazzo era temporaneamente disabitato e si era detta che, la sua impulsività l’aveva miseramente tradita. Incapace di darsi per vinta, nondimeno, indugiava, un giorno dopo l’altro, interrogandosi su quale fosse la risoluzione più saggia da seguire.
    All’interno della biblioteca, Elisa liberò le mani dal manicotto e si diede a cercare con impazienza tra gli scaffali, qualcosa che rispondesse alle sue incerte esigenze. Prendeva un libro dopo l’altro, lo sfogliava, poi lo deponeva scuotendo dubbiosamente il capo. La sua scelta era, finalmente, caduta su un volume di versi, quando una gentildonna, che veniva distrattamente verso di lei, la sfiorò facendoglielo sfuggire di mano.
    - Vogliate perdonarmi, signora – sentì dire Elisa da una voce armoniosa e gradevole, mentre la sconosciuta si abbassava a raccogliere il libro e glielo porgeva.
    Prendendo il volume, la contessa alzò lo sguardo e si ritrovò a fissare il volto di un’attraente dama non più giovanissima, dagli occhi scuri e cordiali. La gentildonna le sorrise e guardò il libro che lei teneva in mano – Trovo che abbiate fatto un’ottima scelta! - le tese con calore una mano - Sono Florence de Marguéry – disse, poi la guardò sembrando riflettere qualche istante – E’ perché mancate da tempo, da Parigi che non vi ho mai veduta in società? –

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    La domanda diretta colse di sorpresa la contessa che, tuttavia riuscì a rispondere con una certa, pacata serenità:
    - Sono in Francia da poco meno di due settimane, Signora, e credo, in realtà, di non avere molte conoscenze in città – mentì, offrendo alla sua interlocutrice un quadro lievemente più roseo della sua situazione attuale.
    L’altra sorrise, e vi era una tale complice vitalità in quel sorriso, che ella sentì nascere in sé un istintivo moto di simpatia.

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    Poiché voi mi avete detto il vostro nome, Signora, posso avere l’onore di dirvi il mio? Sono la contessa Elisa Ristori, in viaggio dal Piemonte per … certi affari personali e …- si avventurò, incoraggiata da quell’accoglienza.
    - Non siete tenuta a darmi alcuna spiegazione, mia cara, sono certa che se siete qui, avrete le vostre buone ragioni. Scusate, ve ne prego, la mia inopportuna invadenza…-
    - Oh, non dovete assolutamente dirlo. Il vostro è il primo volto amico che incontro da giorni e credo fosse, proprio, ciò di cui avevo bisogno. Perciò vi ringrazio per la vostra affabilità, Signora. –
    Mme de Marguéry chinò la testa su un lato, in un movimento aggraziato che le era abituale, quando un’idea esaltante le attraversava la mente. La semplice schiettezza dell’altra gentildonna l’aveva subito conquistata. E adesso, che alla prima positiva impressione si aggiungeva anche quella di una giovane donna bisognosa di aiuto e di amicizia, Florence sentiva cedere anche l’ultima barriera di diffidenza che aveva eretto. Precipitarsi in soccorso delle persone che si trovavano in difficoltà, del resto, era sempre stato un suo istinto naturale:
    - Sarei estremamente lieta, se voleste avere la compiacenza di unirvi agli ospiti che interverranno al ricevimento che darò, questa sera. Vi farò pervenire l’invito al più presto, se mi direte dove alloggiate. –
    In qualunque altra situazione, quella domanda sarebbe apparsa dettata da una curiosità indiscreta e fuori luogo, ma i modi della dama francese erano così squisiti e genuinamente cordiali, che Elisa non parve minimamente dubitare della sua buona fede:
    - Alloggio alla locanda del “Cervo d’oro”, in rue du Rempart …–
    - Molto bene, allora… – esclamò fissando lo sguardo negli immensi occhi, chiari e franchi della sua interlocutrice, che il grigio perla del mantello, dall’impeccabile fattura, metteva delicatamente in risalto - Posso già anticiparvi che il vostro fascino non mancherà di attirare una nutrita schiera di ammiratori, nella cerchia delle mie conoscenze! –
    Elisa arrossì vivamente, e in modo incantevole, al complimento, l’altra proseguì senza lasciarle il tempo di replicare:
    - E’ venuto il tempo di congedarmi, adesso…- disse cambiando argomento in modo repentino - Spero possiate trarre giovamento dalla lettura di quel libro di poesie - tese infine la mano ad Elisa – Vi attendo per questa sera, dunque…-
    La contessa annuì, accompagnando il saluto con un sorriso.
    Qualche minuto più tardi, mentre si apprestava a raggiungere Amelia ed Agnese nella vicina bottega di una modista, Elisa si sentiva più fiduciosa.
    L’amicizia di Florence de Marguéry, così amabile e gioviale, sembrava segnare una nuova svolta nel suo presente incerto, e l’orribile sensazione di solitudine impotente che non l’abbandonava da giorni, lasciò il posto ad un sorridente pronostico, ricco di promesse.
    Nel cuore dell’aristocrazia parigina, molte porte le si sarebbero, finalmente, spalancate e lei avrebbe potuto, più agevolmente, perseguire i suoi intenti. D’improvviso si guardò intorno: alla luce del nuovo ottimismo che la animava, le pareva di scoprire per la prima volta la suggestiva bellezza del panorama cittadino.
    La Senna era una lunga distesa scintillante che si assottigliava, a perdita d’occhio, tra i sobborghi di periferia; le due rive del fiume erano fittamente disseminate dei più variopinti padiglioni che una fiera potesse offrire. Venditori di “petites tartes sucrées” e pan di zenzero, di nastri e fronzoli, di vivaci “poupées” di porcellana e preziosi gingilli, attiravano allegramente gli avventori con le loro voci squillanti e instancabili.
    Una folla eterogenea di persone la circondava, percorrendo distrattamente l’elegante rue du Pont-Neuf, in ogni direzione; abiti e prematuri cappellini dai toni accesi, si mescolavano alle tinte più cupe di certe lunghe zimarre, attenuandone l’austerità in pennellate improvvise, e offrendo una combinazione vivida e mutevole di contrasti di colore. Di tanto in tanto, uno sguardo incuriosito si soffermava brevemente sul fascino fresco e inconsapevole che offriva il volto delicato di Elisa, alla luce pura del mattino. Il vento e il movimento le avevano gettato indietro l’ampio cappuccio, che disegnava uno sfondo argenteo ai chiari capelli sfavillanti di sole; ai raggi obliqui, gli immensi occhi cangianti parevano sfumarsi del verde liquido dell’acqua.
    La raffinata bottega di “Madame Grisette”- faceva angolo con la sontuosa rue Royale; appena prima di entrare, Elisa si lasciò attrarre da un delizioso fichu di seta ricamata, che adornava, assieme ad altri capi sofisticati, la vetrinetta allestita con gusto, e si disse che avrebbe completato alla perfezione la toletta che intendeva indossare quella sera.
    La testolina ricciuta di Agnese, fece prontamente capolino dalla porta a due battenti, su cui trionfava la bella insegna in legno decorato, e la bimba si tuffò, in uno slancio incontenibile, tra le braccia della mamma ancor prima che questa prendesse coscienza della sua presenza. Elisa aspirò la fragranza delicata che emanava dai capelli vaporosi e morbidi di sua figlia, e ricambiò con tenerezza il suo abbraccio impetuoso

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    - Mamma, finalmente sei tornata…! –
    - Ti ho fatto aspettare tanto, amore?- chiese Elisa afferrando la manina che si protendeva alla ricerca della sua – Sono certa che tu e Amelia avrete scelto tante cosine belle, per la mia piccola principessa! – esclamò lanciando uno sguardo al cappellino di foggia parigina, che la piccola tentava di sottoporre alla sua attenzione. Agnese sfoderò un sorriso trionfante.
    - Oh sì, così sono “très à la mode”, ha detto Madame, non è vero, mamma?– si pavoneggiò, ripetendo goffamente l’elogio, nel suo francese zoppicante.
    La contessa rise di cuore alla moina aggraziata che sembrava anticipare un’insinuante civetteria femminile e si sorprese a pensare che da tempo, non riusciva ad essere così spensierata.



    Edited by dordogne - 8/2/2011, 16:53
     
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    Se mai Anna avesse potuto scorgere in uno specchio magico quel che accadeva a Parigi, in quei giorni, alla cognata, vi avrebbe visto immagini che l’avrebbero, in parte, alleggerita dalle sue ansie.
    Ma non era certo in suo potere leggere nel destino e nulla pareva, d’altro canto, avere la facoltà di placare i pensieri di inquietudine che la turbavano.
    Quel pomeriggio, nella Galleria del primo piano, sullo sfondo di una delle grandi finestre a riquadri che si aprivano sul parco di Rivombrosa, in un abito di seta leggera dai toni spenti che sembrava sottolinearne lo stato d’animo malinconico e sgomento, Anna Ristori parve ad Antonio irresistibilmente vulnerabile e, forse proprio per quella ragione, ancor più desiderabile. L’espressione di tristezza assorta che soltanto la piega amara delle labbra dava ad un viso altrimenti morbido, sembrava aver raggiunto i grandi occhi luminosi. La osservò abbandonare la fronte contro il vetro freddo della finestra, e intrecciare con forza le mani sulla bocca. Trattenne il respiro e le si fece silenziosamente vicino, poggiandole due mani incerte sulle spalle, in un gesto protettivo che era quasi una carezza.
    Anna rimase immobile, quasi a voler deliberatamente ignorare la sua presenza. Non riuscì tuttavia a reprimere un breve tremito rivelatore.
    - Hai freddo? – si sentì chiedere. Vi era una nota di apprensione nella voce dolce di Antonio.
    Anna rabbrividì ancora, ma cercò di riaversi:
    - No – disse attendendo ancora qualche istante prima di volgersi – non ho freddo …tuttavia, non credo di essere ancora pronta a …comprendere le tue ragioni …- le parole le salirono alle labbra d’impulso, aspre e penose a un tempo.
    Adesso gli occhi di sua moglie apparivano più duri, e la bocca più risoluta, nel volto pallido.
    - Sei molto severa, Anna. – replicò – e credo, in parte, di meritarlo. Ma non sono sicuro di riuscire a reggere a lungo il gelido mutismo che hai innalzato contro di me. Ritengo che dar voce alle nostre emozioni, farebbe bene ad entrambi … -

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    un profondo senso d’impotenza s’impadroniva di lui. Anna aveva distolto ancora lo sguardo e, attraverso il tessuto impalpabile che le ricopriva le belle spalle erette, egli poteva sentire la tensione di ogni suo muscolo - Non saprei che altro dire a mia discolpa, se non che le mie azioni sono state dettate da una profonda devozione. Non potevo rompere il giuramento fatto a tuo fratello... -
    - …E hai potuto invece tollerare di vivermi accanto, nella menzogna, per tutto questo tempo?– si premette rabbiosamente una mano, chiusa a pugno, sulla bocca - Per quanto mi sforzi, non riesco ad impedirmi di volertene per le tue calcolate dissimulazioni, per le “vostre” cospirazioni, sorde al dolore di tante persone.. – disse con voce spezzata.- e adesso…che a tutto questo si aggiunge anche l’ansia per le sorti Elisa e Fabrizio, credo proprio di non riuscire a sostenere…- lacrime di sconforto, e contenuto rancore, le salivano finalmente agli occhi.
    Antonio le prese il volto tra le mani fissandola con intensità, avrebbe dato qualunque cosa per riuscire a far breccia nel muro di desolato riserbo che sua moglie gli opponeva:

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    - Davvero desideri continuare ad affrontare da sola ogni cosa, e tenermi lontano da te? – una luce di vinta rassegnazione gli accendeva ora lo sguardo – Non sopporto di vederti soffrire ancora per causa mia, se è questo quello che vuoi…non ti rattristerò più con la mia presenza! –
    Si scostò da lei in un gesto brusco e doloroso, prese a percorrere lentamente la galleria, poi a scendere l’austera scala di marmo. Fu allora che un rapido susseguirsi di passi lo fece voltare e, prima che fosse in grado di comprendere, Anna era già tra le sue braccia, il volto nascosto tenacemente tra le pieghe della cravatta di pizzo. Nessuno meglio di lui sapeva quanto doveva esserle costato mettere da parte il suo orgoglio e corrergli dietro. Antonio carezzò con tenerezza la nuca inerme di sua moglie, sussurrandole all’orecchio parole dolci e appassionate. La strinse a sé con forza, le sollevò il mento con un dito, indugiando con le labbra sulle belle palpebre socchiuse, poi i sussurri e le scuse si persero in un bacio che suggellava, finalmente, la pace ritrovata

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    Elisa, a Parigi, aveva da qualche tempo lasciato la locanda del “Cervo d’oro”, per trasferirsi in un palazzo in affitto in rue Saint-Honoré. La presenza di una giovane contessa piemontese, vedova e avvenente, aveva ben presto destato la curiosità del bel mondo e risvegliato l’interesse di molti gentiluomini.
    I clamori e i pettegolezzi della corte sabauda erano lontani, così Elisa poteva esser certa, almeno per il momento, che nessuno conoscesse la sua storia. Il suo Francese “scolastico” le aveva creato non pochi problemi d’inserimento, soprattutto all’inizio, ma l’accento straniero aveva contribuito a conferirle fascino e mistero. Era entrata in poco tempo nelle grazie di Mme de Marguéry che, non avendo figlie in età da marito, aveva preso ad “occuparsi” di lei a tempo pieno, considerando il compito di introdurla in società, quasi un dovere.
    La Parigi aristocratica si era abituata a vedere la contessa in tutti i salotti alla moda e, in breve, una fitta schiera di corteggiatori si formò al suo seguito, subissandola di lusinghe che non mancavano di divertirla. Elisa partecipava ad ogni ballo, ad ogni serata, nella speranza che, prima o poi, i suoi quesiti avessero risposta.
    Aveva ottenuto facilmente le informazioni desiderate, in maniera discreta. Il palazzo d’Anvau - le aveva raccontato la sua fedele amica - era rimasto disabitato per lungo tempo, i proprietari si erano trasferiti in una residenza dello Champagne. Da qualche anno, però, il giovane erede era tornato a riappropriarsi della sua dimora – un jeune homme très ravissant et mystérieux – tuttavia egli frequentava di rado la buona società ed era molto selettivo nella scelta delle amicizie. Lo si vedeva quasi sempre in compagnia del cavalier de Salmy. Molte nobildonne, con figlie in età da marito, avevano esultato al suo arrivo- la casata d’Anvau era infatti pregevole e ambita – ma, presto, l’atteggiamento schivo e riservato del conte aveva scoraggiato anche le dame più ambiziose e intriganti. Elisa aveva avuto un intimo moto di soddisfazione a quella notizia, non era infatti che una rinnovata conferma dell’amore di Fabrizio per lei.
    Madame de Marguéry avrebbe voluto presentarle l’affascinante rampollo, ma da alcuni mesi pareva che egli fosse temporaneamente tornato nello Champagne, per occuparsi di certi affari della tenuta, o, almeno così, si diceva in giro. Quelle informazioni accrebbero l’impazienza di Elisa, le infinite distrazioni mondane non bastavano a distoglierla dalle sue ansie. Al contrario, l’attività frenetica cominciava a stancarla.
    Quella sera aveva ricevuto un invito per l’ennesima serata letteraria, da Madame de Meuilly. Negli ultimi tempi Elisa aveva così poco tempo da dedicare a sua figlia, che fu tentata di rinunciare.
    Mme de Marguéry, però, insistette che la sua giovane amica non doveva mancare, rifiutare un invito di Mme de Meuilly sarebbe stato considerato un’offesa.
    Così, si fece aiutare da Amelia a completare la sua toletta ricercata, diede la buonanotte ad Agnese, che faceva i capricci tra gli sbadigli, e si avviò….
    Il palazzo di Mme de Meuilly era uno sfavillio di luci, tutta la Parigi che contava era presente alla serata, a fare bella mostra di sé in tolette fastose e sovraccariche. Nei molteplici salotti, gli invitati facevano capannello intorno agli artisti che si cimentavano in gare poetiche o filosofiche. Elisa stava ascoltando un po’ distratta i versi ampollosi di un madrigale dedicato ai begli occhi dell’ospite, quando Mme de Marguéry la riscosse, tirandole leggermente la manica: - Mia cara Elisa, siete fortunata…non vi avevo forse detto che sarebbe stato un peccato declinare l’invito? Le serate della nostra ospite sono sempre dense di sorprese….guardate laggiù…- e accennò, con il ventaglio, ad un punto in fondo al salone – E’ riapparso il conte d’Anvau!-
    Elisa era paralizzata, sentiva il sangue pulsarle alle tempie e, per qualche istante, temette di perdere l’equilibrio. Lui era lì, appoggiato con noncuranza al grande camino, perfettamente a suo agio nella sua marsina azzurra intessuta d’oro e risplendente alla luce delle candele. Conversava piacevolmente con un altro gentiluomo in color pulce,“ Dio…quanto le era mancato…”- si disse la contessa.
    - Cara Elisa, voi non mi ascoltate! – la voce insistente della sua amica la riportò brutalmente alla realtà - Ahimè, sembrate anche voi ammaliata dal conte, vittima del suo fascino misterioso, su, venite, vi presento!-
    Mentre avanzava nel salone al braccio di madame de Marguéry, Elisa si sentì mancare, era arrivato il momento tanto atteso, ed ora come si sarebbe comportata? Avrebbe saputo fingere per non tradire la sua copertura?…

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    FINE DELLA PUNTATA
     
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    VI PUNTATA



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    Elisa percorse come in trance la distanza che la separava da Fabrizio, mentre Florence de Marguéry continuava a parlare e parlare…

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    Frammenti delle più svariate conversazioni da salotto raggiungevano le sue orecchie: “Veramente elegante… la nostra ospite… sì, da non credere, l’abilità con cui...vedrete mia cara, sarà il debutto della stagione…”.
    Non era in grado di concentrare la sua mente sul senso di quelle frasi, sentiva ogni muscolo del proprio corpo proteso verso quel momento che aveva atteso a lungo, tutto il resto non contava.
    Qualche metro prima che Elisa raggiungesse il gruppo accanto all’enorme camino di marmo istoriato, Fabrizio distolse lo sguardo dal suo interlocutore e lo posò con indolenza sulle dame che si avvicinavano. Per un lasso di tempo, che durò pochi secondi, sgranò impercettibilmente gli occhi, impallidì, si contrasse.

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    Sembrò, però, ricomporsi quasi subito, riuscendo ad ostentare persino una certa indifferenza.
    Mme de Marguéry le sussurrò all’orecchio: - Cosa vi avevo detto mia cara? La vostra bellezza e la vostra grazia non potevano lasciare indifferente il nostro conte, lo avete colpito, lasciatemi fare…-
    Il conte e il cavalier de Salmy si inchinarono alle gentildonne.
    - Caro conte d’Anvau, ormai risulta palese a tutti che non può che trattarsi di una strategia tattica, ci lasciate per settimane a languire in vostra assenza…- proruppe Mme de Marguéry in tono salottiero.
    - Gli affari, Signora, gli affari!! – rispose il conte con noncuranza.
    - Sì….che noioso pretesto..-
    La gentildonna tirò fuori un delizioso ventaglio in pizzo, montato su stecche d’avorio operato, e iniziò a farsi vento con una frivola moina.
    - Ho il piacere di presentarvi una mia carissima amica, la contessa Ristori, è venuta ad allietare la monotonia della nostra vita direttamente dalla Sabaudia. -
    Fabrizio sfiorò lievemente con le labbra la mano di Elisa, che rabbrividì. Florence continuava a parlare chiocciante:
    - La nostra sfortunata amica ha perso il marito da qualche anno…-

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    Il conte d’Anvau inarcò leggermente un sopracciglio, le sua labbra si incresparono nella piega ironica che Elisa gli conosceva bene; fu con un tono carico di sarcasmo che disse:
    - Una notizia alquanto spiacevole contessa….Ristori, avete detto, non è vero? Trovo difficile credere che una signora di tale bellezza non abbia trovato un nuovo amore a far breccia nel suo cuore! Che cosa vi ha condotto in Francia? –
    Touchée, le parole erano state intenzionalmente offensive, Elisa non riusciva a proferire sillaba, sprofondava in quegli occhi provocatori cercandovi l’antica complicità; non era preparata a una tale freddezza.
    Le ci volle qualche attimo per riacquistare il controllo di sé. Ignorò volutamente l’allusione malevola e si sentì rispondere in tono pacato:
    - Il desiderio di iniziare una nuova vita…..lontana dagli spettri del passato, conte….avete detto d’Anvau, se non sbaglio… gli echi dei divertimenti della capitale francese di tanto in tanto raggiungono anche la corte torinese, costituiscono un’attrazione allettante per chiunque…In verità da settimane la mia vita non conosce riposo! -
    - Sapete, conte, la contessa ha già fatto strage di cuori….- lasciò cadere l’altra gentildonna, candidamente insinuante.
    - Non faccio fatica a crederlo…Mme de Marguéry, ora se volete scusarmi- tagliò corto Fabrizio - vedo là in fondo la nostra ospite. Signore, immagino non mancheranno occasioni per rinnovare il piacere della reciproca presenza.-
    Senza lasciare il tempo di aggiungere altro si allontanò, dopo un inchino sbrigativo in direzione di Mme de Meuilly. Il suo portamento fiero e altero attirò molte occhiate femminili, numerose dame si scambiarono sguardi ammiccanti facendosi schermo con i ventagli.
    Elisa si allontanò a sua volta dal gruppo con un pretesto qualsiasi, aveva bisogno di rimettere ordine nei suoi pensieri. Aveva previsto che Fabrizio avrebbe finto di non conoscerla, non avrebbe potuto essere altrimenti, ma non si era certo aspettata quel distacco, quel tono sprezzante!
    La testa le ronzava per lo shock….forse equivocava, forse il suo atteggiamento era una difesa, in fondo lo aveva colto di sorpresa…sì, doveva essere così.
    Si soffermò distrattamente ad ascoltare un giovane bellimbusto che declamava i versi di una poesia allegorica sotto gli sguardi ammirati degli astanti. Quando Monsieur de la Morne ebbe terminato, vi furono lodi e dotte discussioni. La contessa Ristori si complimentò con il poeta e si allontanò alla ricerca di un salottino tranquillo dove placare il tumulto delle emozioni. Gli arazzi alle pareti del lungo corridoio, illuminato appena da pesanti candelabri, raffiguravano scene di caccia. Elisa si soffermò a guardare quelle mirabili rappresentazioni policrome, ansante.
    D’un tratto si sentì, ancora una volta, afferrare e trascinare in una stanza appartata. Questa volta non ebbe paura, non vi era alcun dubbio sull’identità del rapitore.

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    Si liberò dalla stretta e ricambiò con occhi sereni lo sguardo di fuoco del conte d’Anvau :
    - Pare che ultimamente sia divenuta una preoccupante consuetudine per voi, Signore, afferrare giovani dame alle spalle!-
    Fabrizio le strinse brutalmente le braccia in una morsa, quella spavalderia lo indispettiva, tuttavia… le sue mani fremevano di desiderio al contatto di quella pelle morbida e vellutata, fece fatica a dissimulare la sua emozione:
    - Credi forse sia tutto uno scherzo, Elisa? Cosa ci fai qui….riesci ad immaginare che shock è stato per me? Hai forse una remota idea di che rischio stai facendo correre ad entrambi? Si tratta di una questione di vita o di morte, non immagini nemmeno…-

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    - No, e come potrei? – lo interruppe bruscamente - Non ti sei nemmeno degnato di mettermi a parte dei tuoi segreti che, per soprammercato, mettono a repentaglio anche la mia vita, quella dei tuoi figli…Mi hai costretta a subire la tua morte, ed ora che cosa pretendi? Ti dissi una volta che avevi imprigionato il mio cuore, non la mia volontà…non riuscirai più a tenermi in un cantuccio, non lo capisci? Voglio dividere tutto con te...io, ti amo!!! – proruppe, infine, in uno slancio incontrollabile.
    Fabrizio guardò il volto sconvolto di sua moglie, sua moglie…provava sempre un fremito alla sola idea che era stata sua…e forse, avrebbe potuto ancora esserlo…no, doveva ricacciare quel pensiero, non poteva indulgervi! Quegli occhi, che lasciavano trasparire una determinazione sorprendente, in una donna in apparenza tanto fragile e vulnerabile, avevano penetrato la sua anima, lo rendevano tutt’ora prigioniero di un sentimento talmente intenso da fargli male. Avrebbe voluto baciarla, stringerla ancora, farla sua…lì, nella penombra complice di quel salottino appartato….liberare la sua passione troppo a lungo contenuta. Invece le sue parole furono ancora di ghiaccio:
    - Tu non fai più parte della mia vita, da molto, molto tempo…! Io pretendo che tu e Agnese torniate a Rivombrosa! –
    Elisa vacillò a quelle frasi aspre, a quello sguardo inflessibile:
    - Non ti riconosco più, sembri ridiventato il gentiluomo borioso che si divertiva ad umiliarmi, a darmi ordini, a prendersi gioco crudelmente di me, che ne è stato dell’uomo che un tempo ha lottato per amor mio contro il mondo…che ne è stato di quel domino che mi ha stretta tra le sue braccia non molto tempo fa? - si protese in avanti, in attesa.

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    - Un fantasma, non era che un fantasma! L’uomo di cui parli è morto anni fa…in un’imboscata.-

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    Ogni parola risuonava inclemente, carica di una risolutezza che non concedeva spazio ai rimpianti - Un giorno mi dicesti che non eri che una donna che aveva avuto la condanna di amarmi! Ebbene, ora sei tu la mia condanna, imparerò a conviverci. Hai sciupato tutto molto tempo fa, quando hai concesso il tuo cuore, il tuo corpo al principe Caracciolo! Adesso, non riesco più a guardarti senza vedere le sue mani su di te, il tuo volto abbandonato nello slancio della passione…- concluse con voce in cui vibrava un rabbioso risentimento.

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    Il dardo aveva colpito in pieno il bersaglio; adesso Elisa appariva disorientata e incredula:
    - Io credevo che tu fossi morto, è solo colpa tua se è accaduto, TU hai permesso che accadesse…lo capisci? -
    - No, non lo capisco…nessuna donna ha mai potuto prendere il tuo posto, un sentimento così profondo non avrebbe potuto essere sostituito, eppure, non sono mancate le occasioni! Ma forse il titolo di Principe era troppo invitante! Una bella scalata per una serva…-
    Quelle parole la trafissero come lame taglienti, e la sua reazione fu istantanea e incontrollabile, voleva colpirlo con una veemenza proporzionale all’offesa.
    La mano di Fabrizio fu più rapida, le afferrò fulminea il polso prima che il colpo fosse inferto, lasciandola tremante di sdegno:

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    - Bene, sei stato fin troppo chiaro, non intendo impormi ad un uomo che mi disprezza e che mostra una così scarsa stima di me…sappi però, che non lascerò Parigi, finché non avrò scoperto cosa celano questi misteri. Lo devo ad Anna, ad Antonio …e a tutti coloro che amo! Rivombrosa non è più sicura, qualcuno ci spia, ci controlla..-

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    - Sapere metterebbe ancora più a rischio le vostre vite, dammi retta, meno conosci, più sei al sicuro. Devi partire al più presto..prima di suscitare sospetti. –
    La risposta le salì alle labbra, immediata:
    - …Non ti riguarda più quello che faccio, l’hai detto tu….-
    Per un istante, che sembrò eterno, Elisa sostenne lo sguardo di suo marito con aria di sfida, cercò di cogliere in quegli occhi di ghiaccio un accenno di cedimento, di dolcezza…invano.

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    Si voltò di scatto e lasciò la stanza in un fruscio di seta, a passi rapidi e determinati.
    Fabrizio provava un’irrefrenabile voglia di correrle dietro, di fermarla…invece rimase pietrificato, incapace di muovere un muscolo, lo sguardo perso nel vuoto…
    Mai come in quel momento sentì di averla perduta irrevocabilmente…

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    I pesanti tendaggi erano stati tirati, ma la luce che filtrava smorzata nella stanza lasciava intuire che doveva già essere mattino avanzato. Elisa si stiracchiò pigramente e si tirò a sedere.
    Gli accadimenti della sera precedente le tornarono subito alla memoria, rinnovando l’amara consapevolezza che tutto era finito…
    La sua determinazione a non abbattersi, tuttavia, era un punto fermo; era stanca di piangersi addosso. La condizione di serva da cui proveniva l’aveva resa più fiera, le aveva insegnato a tenere il capo alto dinanzi a chiunque avesse tentato di umiliarla e piegarla.
    Se Fabrizio era convinto che sarebbe stata arrendevole ed obbediente di fronte ai suoi ordini perentori, si sbagliava di grosso! Elisa aveva un’indole tutt’altro che docile…il conte d’Anvau avrebbe scoperto presto il disinganno.

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    Mentre si spazzolava con vigore i capelli, si disse che occorreva alla svelta fare il punto della situazione. Innanzitutto doveva capire cosa si nascondeva dietro quegli intrighi …Doveva esservi, in qualche modo, coinvolta la corona, oltre agli accenni di Antonio, anche la drastica sparizione di Fabrizio dalla scena sembravano darne conferma. Ma cosa aveva scoperto, di così pericoloso? – si chiese -.
    In Francia, suo marito aveva ottenuto sicuramente l’appoggio di qualche personaggio di spicco dell’aristocrazia del luogo – con tutta probabilità il cavalier de Salmy -. Anche la casata d’Anvau pareva coinvolta, garantendogli la copertura a Parigi. Bene, le sue nuove ricerche sarebbero partite dallo Champagne….
    Dei leggeri colpi alla porta interruppero le sue meditazioni. Non fece in tempo a voltarsi, che Agnese le saltò in grembo correndo, con il suo consueto buonumore:
    - Mamma, mammina….possiamo andare ai giardini, guarda c’è il sole! -
    Quell’allegro spiritello la riportava sempre prepotentemente alla realtà, ricordandole i suoi doveri di madre; c’era stato un tempo in cui solo il suo amore per lei l’aveva salvata dalla pazzia.
    Mentre la osservava salterellare instancabile da un punto all’altro della stanza, afferrando tutto ciò che le capitava sottomano, Elisa pensò, con una fitta, che la bimba aveva l’energia e il piglio ostinato di suo padre.
    - Allora mamma, andiamo? - Ripeté Agnese insistente.
    - Si amore, ora vieni qui e abbracciami! –
    Non si poteva negare nulla a quell’amabile folletto. Del resto una passeggiata all’aria aperta avrebbe giovato a tutti quanti.
    Già da tempo, ormai, la sede della corte e il centro degli interessi dell’aristocrazia si erano spostati a Versailles, ma i giardini de Les Tuileries costituivano, da quando Luigi XIV ne aveva commissionato la ristrutturazione, una delle passeggiate più alla moda per il bel mondo. Lo scenografico alternarsi di boschetti e aiuole fiorite in una perfetta simmetria di forme, gli ampi viali, le statue monumentali, la grande fontana coreografica e soprattutto le terrazze da cui si godeva una splendida vista di Parigi, rappresentavano un elegante polo d’attrazione. Quella mattina d’aprile i giardini erano un trionfo di colori. Arabeschi geometrici di ortensie, camelie ed iris impreziosivano le aiuole ben curate, sprigionando nell’aria le loro delicate fragranze.
    Alzando di tanto in tanto gli occhi dal suo libro, Elisa osservava con indolenza l’instancabile andirivieni di dame in abiti pastello e parasole, al braccio di giovani dandies dinoccolati.
    Gli squittii di Agnese, che lanciava la palla ad una conciliante, quanto affaticata Amelia, le impedivano di concentrarsi sulla sua lettura. Del resto il libro non era stato che un pretesto elegante per potersi isolare e perdersi nei suoi pensieri. Cercava caparbiamente di trovare una logica in quell’intrico di enigmi.

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    Senonché, a un certo punto una voce ben nota la distolse, ancora una volta, dalle sue elucubrazioni. A una certa distanza vide Agnese che correva per recuperare la sua palla, rotolata ai piedi di un gentiluomo in color tabacco.
    Le ci vollero solo pochi istanti per riconoscere, in quel cavaliere solitario, il conte d’Anvau…
    Il cuore, suo malgrado, la molestò con un sussulto, che riuscì a reprimere prontamente. Agnese gli si fece innanzi con la sua aria birichina e gli chiese, con la freschezza abituale dei bambini, di restituirle la palla, che lui nel frattempo aveva raccolto.
    Fabrizio rimase a guardare sua figlia, la gola stretta dall’emozione, mentre tratteneva il giocattolo ancora un po’, per prolungare il più possibile quel momento. Agnese si muoveva con grazia nella sua veste di mussola a fiori, due riccioli ribelli le erano sfuggiti dal nastro e le ricadevano sulle guance arrossate per l’affanno del gioco, la boccuccia aveva assunto una piega imbronciata.
    - Buongiorno Agnese….- gli sfuggì con voce tremante.
    - Buongiorno Signore, come fate a sapere il mio nome….io non vi ho mai visto, conoscete la mia mamma? -
    Con il ditino indicò la madre poco distante.
    - Si…conosco la tua mamma…-
    Fabrizio incrociò lo sguardo di Amelia, che fece un rapido inchino in sua direzione, abbassando due occhi carichi d’imbarazzo.
    La triste consapevolezza di aver perduto i momenti più importanti della vita di sua figlia, in quel momento divenne un dolore insopportabile per Fabrizio. Non era stato presente quando Agnese aveva pronunciato le prime parole, né quando aveva mosso i primi passi incerti….non sarebbe stato accanto a lei a gioire delle sue gioie di fanciulla o a dolersi per le sue prime delusioni d’amore. Per sua figlia, lui era e sarebbe sempre stato un estraneo.

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    La bambina lo guardava con aria stupita e, all’oscuro dei cupi pensieri che lo turbavano, tendeva le mani in attesa della palla. Suo padre gliela lanciò, infine, con un gesto giocoso e le diede un buffetto sulla guancia.
    Per rispetto delle regole dell’etichetta, Fabrizio si avvicinò a rendere omaggio alla figura armoniosa che leggeva all’ombra del boschetto di olmi, fingendosi ignara di tutto. La madre di Agnese suscitava ben altre emozioni in lui, la sua bellezza non aveva mai cessato di abbagliarlo e di sorprenderlo. Poté constatare, non senza una punta di dispetto, quanto poco Elisa avesse preso in considerazione l’urgenza delle sue sollecitazioni a partire, e non mancò di farlo notare.
    - Buongiorno contessa, vedo che vi siete guardata bene dall’ascoltare il mio saggio suggerimento! – il suo contegno era perfetto. Non pareva altri che un gentiluomo che scambiasse cortesi convenevoli con un’occasionale conoscenza.
    Agnese li osservava incuriosita, la manina adagiata con noncuranza sul grembo di sua madre.
    - Buongiorno a voi, conte…- rispose con la stessa gentile indifferenza, Elisa - dovreste sapere che difficilmente tengo conto di suggerimenti contrari alla mia volontà, soprattutto se mi giungono da un gentiluomo arrogante e borioso… -
    Aveva pronunciato quelle parole con un candore che contrastava con le implicazioni provocatorie di quanto detto. Fabrizio non riuscì a trattenere un sorriso. Quella donna era sempre riuscita a tenergli testa in modo superbo. D’altronde era stata quella stessa fierezza a conquistarlo.
    - Siete una gentildonna estremamente pervicace ed irritante, contessa, ve lo aveva mai detto nessuno? –

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    - …..Un tempo forse…qualcuno che si è perso nelle nebbie dei ricordi, conte.- accompagnò la frase con un gesto vago e aggraziato della mano - I suoi modi erano esecrabili e scortesi quanto i vostri. – rispose con insidiosa serenità.
    Sul volto di Fabrizio si dipinse un’espressione visibilmente divertita e quel sorriso canagliesco era irresistibile, Elisa dovette distogliere lo sguardo dai suoi occhi per non vacillare.

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    Ora, se non vi dispiace, ero molto assorta nella mia lettura, conte….non mancheranno, mi auguro, occasioni per replicare il piacere della reciproca presenza. –

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    Pronunciò le ultime parole con un moto di compiacimento: “Se l’era cercata!”. Il conte d’Anvau incassò lo smacco con stile e si congedò sprofondando in un inchino esageratamente cerimonioso, a sottolineare l’aspetto grottesco della situazione. Sorrise con dolcezza ad Agnese e si allontanò.
    La partita non era ancora conclusa, pensò Elisa combattiva.
    ******
    Frattanto, le visite del duca Liberati e di Mme Lavoulère a Rivombrosa si erano fatte sempre più frequenti, i due venivano a chiedere notizie della contessa e ad informarsi sulla data del suo ritorno. La loro presenza costante e invadente metteva Anna in un continuo stato d’ansia e indisponeva Antonio, che non si era mai sentito a suo agio di fronte alla superficialità ed all’ipocrisia del bel mondo.
    Già da tempo le loro indagini avevano rivelato che la presunta parente di Lione, a cui Elisa era andata a rendere visita, non aveva in realtà mai goduto della sua presenza. I nostri amici si erano guardati bene dal parlare dell’evoluzione nelle loro ricerche, dimostrandosi, al contrario, ancor più cortesi e devoti.
    Fu così che una lettera di Elisa, finì “accidentalmente” tra le mani di madame Lavoulère, mentre quest’ultima cercava un libro ameno nella grande biblioteca.
    Le paure di Fabrizio erano fondate, tutte le precauzioni prese per anni sarebbero state, in breve, inutili; a un passo dal perseguimento degli ideali di giustizia, il suo piano avrebbe subito una battuta d’arresto…ma il nostro eroe ignorava ancora l’ennesimo voltafaccia che gli riservava il destino.

    FINE DELLA PUNTATA
     
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    VII PUNTATA



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    Era un tardo pomeriggio mite e riposante, Elisa osservava, attraverso le grandi vetrate del bovindo, Parigi animarsi nelle attività consuete, mentre il rossore iridato del tramonto lambiva i tetti delle case. Non si era ancora del tutto abituata allo sfavillante spettacolo che offriva la capitale francese da quelle finestre, e rimaneva sovente ad osservare ogni cosa, come sospesa. Le ombre si allungavano all’interno della grande biblioteca inghiottendo pian piano anche gli ultimi tremolanti bagliori; quel singolare gioco di luci ed ombre conferiva a tutto una dimensione irreale.

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    Quando Marie entrò ad accendere i candelieri d’ottone brunito, la stanza sprofondava nell’oscurità. La cameriera informò la contessa che Mme de Marguéry la attendeva nel salottino cremisi.
    La visita inattesa di Florence rallegrò la contessa distogliendola dai pensieri molesti. L’ospite era del suo abituale buonumore, amabile e ciarliero, e la intrattenne a lungo sugli ultimi pettegolezzi della stagione. Elisa ascoltava il flusso sconnesso e inarrestabile di parole, senza soffermarvisi; i modi frivoli e volubili della gentildonna le erano divenuti ormai familiari ed aveva imparato a riconoscere, dietro quell’apparenza fatua, una mente vivace ed un animo sensibile.
    Quando il nome del conte d’Anvau inframmezzò il suo lungo monologo, Mme de Marguéry riuscì ad ottenere la completa attenzione della sua amica:
    - ….Sapete, ho incontrato l’altra sera il conte d’Anvau da Monsieur de la Roque, che stile, che portamento, che spirito….parola mia, è uno degli spiriti più raffinati che abbia mai conosciuto…- di sotto le lunghe ciglia seriche, Florence cercava di captare una reazione alle sue parole, ma Elisa, continuava a fingere un’assoluta indifferenza - ….pare che lui e il cavalier de Salmy abbiano in programma, domani sera, di rendere visita al nostro sovrano….la qual cosa mi ha portato a riflettere che è proprio giunto il momento per voi, mia giovane “protetta”, di recarvi a Versailles –
    - Riuscite sempre a trovare gli argomenti giusti, mia cara Florence! Credo proprio che mi lascerò tentare da una visita a Versailles…- lasciò cadere Elisa con noncuranza.
    - Ora torno a riconoscervi, amica mia, negli ultimi tempi, in verità, il vostro umore mi è parso un po’ ombroso….una ventata di mondo è proprio quello che vi ci vuole! -
    In Francia, come in Piemonte, ogni nobile ben inserito in società, considerava doveroso il compito di rendere periodicamente omaggio al sovrano. La sua approvazione o disapprovazione avevano il potere di esaltare o rovinare chiunque ne fosse oggetto.
    Elisa si fece quindi trascinare di buon grado in questa nuova esperienza mondana, da tempo desiderava ammirare il fasto di una corte tanto chiacchierata, inoltre una vocina, in un cantuccio della sua mente, le diceva che avrebbe potuto rivelarsi una nuova occasione per rivedere Fabrizio...
     
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    Il giorno seguente la carrozza da città di Monsieur de Marguéry, con il suo tiro di bai, varcò i cancelli di Versailles ben oltre l’imbrunire, dopo aver proseguito da Parigi senza un attimo di sosta.

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    Elisa si sporse curiosa cercando di scorgere qualcosa attraverso la densa oscurità della notte. Le poche lanterne che punteggiavano il percorso fino alla Cour Royale, non garantivano, tuttavia, una visibilità sufficiente, così si rassegnò ad attendere pazientemente.
    L’ampia corte rischiarata da grandi torce e dalle numerose finestre illuminate del maestoso palazzo regale, produceva un effetto magico su chi emergeva dalla semioscurità .
    Monsieur de Marguéry oltrepassò rapidamente i valletti all’ingresso, seguito dalle due gentildonne, che, dopo aver affidato le mantelle ad un sollecito servitore, si avviarono, tra la confusione della folla, verso la “Galerie des Glaces”, dove si sarebbe svolta quella sera la “levée”.
    Elisa restò stupefatta: il gioco di specchi alle pareti alterava la percezione delle dimensioni dell’alta galleria, che appariva molto più grande di quanto in realtà non fosse. Il fenomeno della rifrazione centuplicava le candele in una fantasmagoria di luci e di riflessi variegati. Gentiluomini e gentildonne, in abiti dai tessuti fruscianti e risplendenti, si accalcavano cercando di farsi strada verso la parete di fondo, dove si trovava il re.
    Il giovane Luigi XVI sedeva su un trono d’oro, accanto all’imponente camino. Un’infinità di riccioli disposti in larghe volute adornavano la sua enorme parrucca, conferendogli un aspetto quasi grottesco. L’abito di raso rosa era sovraccarico di trine dorate e, un po’ dappertutto, occhieggiavano appariscenti preziosi. Il volto pingue del sovrano, cosparso di nei posticci, appariva indolente ed annoiato. Di tanto in tanto, un elegante movimento della sua regale mano, tentava di nascondere uno sbadiglio importuno. Lo circondava una nutrita schiera di gentiluomini di corte che all’occorrenza, non mancava di ricolmarlo di attenzioni pronte e devote.

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    Monsieur e Madame de Marguéry si avvicinarono per rendere omaggio, e la contessa Ristori si inchinò profondamente al sovrano, che mostrò di gradire il suo saluto. Il re si degnò poi di rivolgere a Mme de Marguéry i suoi complimenti per la contessa, mentre la regina espresse apprezzamenti e lusinghe per la sua raggiante bellezza.
    Dopo il rituale richiesto dall’etichetta, Elisa cercò di sgusciare fuori dalla folla per bere qualcosa di fresco. L’eccessiva confusione la infastidiva quanto la rigida osservanza del protocollo, il suo spirito libero cominciava a rivendicare i suoi diritti.
    Il duca de Stainville, suo aperto ammiratore, s’inchinò al suo passaggio proclamandosi trafitto dagli strali dei suoi occhi, mentre monsieur de Penthièvre baciò con fervore la sua mano, paragonandola ad un’ eterea ninfa dei boschi.
    I due cavalieri si sfidarono su chi fosse il più abile ad esprimere i meriti della sua incomparabile beltà, infarcendo le celebrazioni di dotte metafore. Elisa dovette fare un notevole sforzo di autocontrollo per non lasciarsi andare all’ilarità di fronte a quegli stucchevoli elogi, e si costrinse a sorridere compiacente a quei gentiluomini che si prendevano terribilmente sul serio. Mentre i suoi occhi rassegnati si guardavano distrattamente intorno, incrociarono fortuitamente lo sguardo del conte d’Anvau, intento a conversare piacevolmente con Mme de Neuilly.
    Era preparata a quell’incontro, ma vedere suo marito le suscitava sempre un intimo turbamento, la coglievano un’intempestiva sensazione di fragilità e una pulsione inconfessabile.
    Qualcosa nello sguardo in tralice del conte le fece intuire che non gradiva le attenzioni premurose di cui sua moglie era oggetto. Sorrise tra sé, dopo tutto, malgrado i tentativi di convincerla del contrario, Fabrizio non poteva impedirsi dal considerarla ancora una sua esclusiva proprietà. Quella rivelazione la indispettiva e la gratificava al tempo stesso.
     
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    Rientrata in possesso della propria mano, Elisa riuscì finalmente a liberarsi dei due pedanti corteggiatori ed a scivolare fino alla “Salle de guerre”, dove venivano serviti i rinfreschi. Alcuni gentiluomini erano intenti a sorseggiare vini francesi ed a gustare appetitosi pasticcini. Una voce alle sue spalle la fece sussultare:
    - Una gentildonna non dovrebbe mai servirsi da bere da sola … sono certo che uno degli amabili cavalieri al vostro seguito sarebbe stato ben contento di farlo per voi …servo vostro contessa. –

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    Elisa guardò la mano affusolata del conte d’Anvau chiusa elegantemente intorno ad un calice di Borgogna che un servitore gli aveva offerto prontamente

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    Conte, anche voi qui…suscitare un’altra schermaglia poetica tra il duca e Monsieur de Penthièvre, su chi sarebbe stato il più degno dell’onorevole compito, avrebbe rischiato di farmi morire di sete! –

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    Fabrizio sorrise a quella caustica ironia.

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    Ancora una volta non poté trattenersi dall’ ammirare la figura snella e aggraziata di sua moglie, la tonalità pacata del vestito metteva in risalto il suo incarnato delicato. Captò la luce divertita nei suoi immensi occhi da cerbiatta.

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    Mi era sembrato di vedervi rendere omaggio al Sovrano poco fa, siete sempre più intenzionata ad affermarvi tra l’aristocrazia parigina …e con successo, è il caso di aggiungere. Siete una dama molto bisbigliata! Finirete con l’oscurare le timide debuttanti della stagione…-

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    …Sapete conte, mi sono detta che un gentiluomo di corte potrebbe essere un degnissimo bersaglio per una scalatrice sociale come me….-
    Aveva detto quelle parole con un tono sarcastico che rivelava quanto profondamente Fabrizio l’avesse ferita. Egli colse l’allusione e provò una fitta di rimorso:
    - Non volevo insinuare….sapete bene che non intendevo …-

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    - E come potrei sapere cosa intendete, conte…ultimamente i vostri atteggiamenti appaiono alquanto destabilizzanti! –

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    Il conte contemplava assorto il riflesso del vino nel calice, eluse volutamente l’ultima implicazione e proseguì :
    - Attualmente il mio più grande desiderio sarebbe quello di conoscere i vostri futuri progetti, contessa.

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    - Davvero conte? Sono ben contenta di soddisfare la vostra curiosità…credo proprio che un’escursione nelle terre dello Champagne potrebbe rivelarsi istruttiva e illuminante! –

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    Fabrizio le afferrò il polso stringendolo con forza, i suoi occhi avevano bagliori tutt’altro che rassicuranti:
    - Lasciatemi conte, mi fate male…volete forse spaventarmi? – una nota ironica scandì le ultime parole.

    - Cerco di essere all’altezza del mio ruolo, Signora. Il gentiluomo arrogante, dai modi esecrabili, che voi avete tanto efficacemente dipinto, non intende deludere le vostre aspettative! Devo forse continuare a ripetervi che non si tratta di un gioco…state alla larga da affari che non vi riguardano…finirete col mettervi in qualche guaio serio! –


    Elisa liberò il polso dalla stretta con un movimento spazientito. Qualcuno degli astanti cominciava già ad osservare la scena con curiosità. Con un perfetto tempismo, la voce semiseria e leggiadra del duca de Stainville interruppe la conversazione allentando la tensione che, tuttavia, aleggiava ancora nell’atmosfera. Sua grazia si portò comicamente una mano al petto:
    - Conte d’Anvau, dovrete passare sul mio cadavere prima di rapire il cuore di questa incomparabile principessa delle fate! Badate, potrei sfidarvi a duello per contendervi la sua mano! -
    - Mio caro duca state bene in guardia! Gli occhi di una fata celano sovente oscuri poteri e….con un sottile maleficio possono imprigionare, per sempre, il cuore di un malcapitato cavaliere…- il conte si allontanò bruscamente, senza cerimonie.
    Sul viso del duca apparve una buffa espressione di sbigottimento, il tono sferzante delle parole dell’altro risultava inadeguato alla scherzosa schermaglia amorosa.
    Elisa riuscì con prontezza a riportare la discussione ad una sfumatura frivola e leggera.
    Qualche tempo dopo, notò il conte d’Anvau, impegnato in un accalorato scambio d’idee con il cavalier de Salmy . Si chiese quale potesse esserne l’argomento, probabilmente i loro piani erano stati turbati da un elemento imprevisto. Elisa non poteva sapere quanto la sua intuizione fosse vicina alla realtà.

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    Molto più tardi, quella stessa notte, mentre si lasciava aiutare da Amelia a disfare la complicata acconciatura, Elisa socchiudeva gli occhi e riviveva frastornata il fasto chiassoso e frenetico di Versailles.
    Alla domanda di Amelia, su quale fosse la ragione di quell’espressione spenta e tirata, aveva risposto in modo evasivo che era molto stanca e che aveva solo bisogno di riposare.

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    La fedele governante la guardava sospettosa, la conosceva da troppo tempo per non sapere che le stava nascondendo qualcosa. Tuttavia tacque, per discrezione.
    Dei pesanti colpi al portone d’ingresso interruppero la quiete della notte, la contessa trasalì e si chiese chi potesse mai essere a quell’ora così tarda.
    Il guardaportone, per quanto impassibile per abitudine, manifestò una certa sorpresa. Quando il gentiluomo chiese se la signora fosse ancora alzata, e sottolineò che si trattava di una questione urgente, rispose cortesemente che si sarebbe informato, lasciandolo ad attendere nell’atrio. Dopo qualche minuto Marie entrò, con aria assonnata, ad annunciare la visita del conte d’Anvau. Elisa si sentì in parte sollevata e diede istruzione di farlo accomodare. Marie obbedì senza proferir sillaba, ma continuava a ripetersi mentalmente che le abitudini delle nobildonne piemontesi erano alquanto scandalose.
    Mentre si affrettava a raggiungere il salotto cremisi, Elisa si domandava quale fosse il motivo che poteva avere indotto il conte a venire con una tale urgenza.
    Fabrizio era in piedi vicino al fuoco, i sui movimenti nervosi tradivano una profonda agitazione.
    Ella gli rivolse uno sguardo interrogativo, mentre si chiudeva la porta alle spalle; nella casa ripiombò il silenzio più assoluto.


    - Vi chiedo perdono….ti chiedo perdono se ti ho disturbata a quest’ora della notte, ma ho qualcosa di estremamente urgente da comunicarti. – esordì.

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    Mi hai fatto un po’ allarmare, a dire il vero, ma….non perdiamo altro tempo, accomodati. –
    - Sono accadute cose che ….sconvolgono ogni programma, se prima la tua presenza qui era solo inopportuna, ora è diventata oltremisura pericolosa! –
    - Cosa accade dunque, non tenermi sulla corda…-
    - Un mio informatore ha segnalato, non più tardi di ieri, la presenza del marchese Salvati a Parigi. Tu non sai…e come potresti ! Quell’uomo è capace di tutto, è un opportunista senza scrupoli. Si è spinto fino …ad uccidere il vecchio re pur di compiacere il nuovo sovrano.-
    Fabrizio attese la reazione di Elisa, che tuttavia fu più controllata di quanto si sarebbe aspettato.
    - Sì, credo di averlo sempre sospettato…quell’individuo non mi è mai piaciuto. Ma non vedo perché la sua presenza dovrebbe preoccuparmi. A quanto ne so, sparì molto tempo fa, dopo essere caduto in disgrazia. Un nemico della corona non può essere nostro nemico…o c’è qualcos’altro che dovrei sapere? Sappiamo entrambi che taci altri misteri…-
    Fabrizio finse di non sentire l’ultima affermazione:
    - Tu sottovaluti la gravità della faccenda. Ignoriamo il motivo che lo ha condotto qui, i suoi continui voltafaccia non promettono nulla di buono. Sarebbe persino capace di vendere l’anima al demonio per tornare in stato di grazia! Ad ogni modo, se lui è qui, qualcun altro potrebbe arrivare presto a noi, sulle sue tracce…o sulle tue. Tu e Agnese partirete al più presto! -
    Il tono perentorio delle sue ultime parole non mancò d’irritare, ancora una volta, Elisa. Chi si credeva di essere per continuare a trattarla a quel modo? Non era più il suo padrone da tempo, ormai. Quell’uomo aveva il potere di farle ribollire il sangue dalla rabbia, tuttavia cercò di apparire calma quando rispose:
    - Deciditi Fabrizio, devi scegliere che ruolo assumere nella mia vita. Non molto tempo fa hai sentenziato che io non facevo più parte della tua. Ebbene, non consento ad un estraneo di darmi ordini, né tanto meno di prendere delle decisioni al mio posto! –

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    - Non sei altro che un’indisponente testarda! – sibilò in un impulso di collera – Finiscila, ti ripeto, d’impuntarti soltanto per farmi dispetto…! – le aveva afferrato di scatto le spalle e prese a scuoterla con veemenza.
    - Non intenderai piegarmi, con la forza, alla tua volontà…! Dovresti sapere che non otterresti nulla! –
    Per quanto animato dalle migliori intenzioni, ogni suo tentativo di indurla alla ragione risultava brutale e maldestro, e otteneva un effetto diametralmente opposto a quello desiderato.
    Elisa non si era lasciata scalfire da una sola delle sue sensatissime motivazioni, se ne stava lì, eretta e impassibile, negli occhi un’espressione di snervante compiacimento. Avrebbe voluto schiaffeggiarla! Continuava a guardare indispettito la piega decisa della sua bocca ben disegnata, e d’un tratto, si sorprese a trovarla sinistramente sensuale.

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    Inspiegabilmente, provò l’impulso irrefrenabile di baciarla, di stringerla a sé. La sua pulsione sempre più urgente, in netto contrasto con l’emergenza della situazione e con il suo stesso sdegno lo irritava e lo disorientava.
    Inspiegabilmente, provò l’impulso irrefrenabile di baciarla, di stringerla a sé. La sua pulsione sempre più urgente, in netto contrasto con l’emergenza della situazione e con il suo stesso sdegno lo irritava e lo disorientava.
    Elisa turbata, percepiva tutta l’energia contenuta che si sprigionava dai loro corpi sospesi. Sentiva il magnetismo che la calamitava a lui, respirava la forza del suo desiderio

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    Fu inevitabile…Fabrizio cedette a quell’impulso impellente perdendo i contatti con la ragione.

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    Le sue labbra si muovevano affannose su quelle di sua moglie, con veemenza. La mente di Elisa si aggrappava a mille, validi pretesti per trovare la forza di resistere: lui l’aveva umiliata, disprezzata, ferita, respinta, doveva fargliela pagare…I suoi flebili tentativi di opporre resistenza le morirono in gola: - No…lasciami, no….no…- Sentiva che la fortezza cedeva al nemico, inesorabilmente. Anche Fabrizio combatteva la sua battaglia personale, non poteva, non doveva…deglutì a fatica. I suoi sforzi erano vani, la sua bocca continuava a cercare quella di lei e non riusciva a saziarsi di quel contatto:

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    - Mia dolce ossessione…. ho provato a resisterti… Dio solo sa, se ho provato….tu mi sei entrata dentro…come un veleno..-

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    La sua voce roca pronunciava parole sconnesse, mentre si sentiva invadere da un desiderio sempre crescente di farla sua.
    Le sue mani febbrili le slacciavano il corsetto, s’insinuavano tra le sue nudità.
    Aspirava il profumo inebriante dei suoi capelli, della sua pelle, divorandola con baci brucianti, appassionati. I suoi movimenti imperiosi esigevano di più, ancora e ancora…

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    Sui suoi muscoli guizzanti danzavano i riflessi delle fiamme del camino. Elisa si abbandonava senza più difese, ormai, stordita dal suo impeto. Si inarcava, sentiva ondate di piacere pervaderla, e intanto lo stringeva a sé con gesti disperati, quasi sentisse che quella sarebbe stata l’ultima volta. La sua voce soffocata farfugliava insistente: - Amore mio…. mio solo, mio unico amore…-

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    L’aria vibrò dei loro gemiti ardenti. Un’esplosione di emozioni, di sensazioni sublimi li trascinò in un crescendo fino al parossismo, lasciandoli poi senza fiato.
    Per un lungo momento rimasero a guardarsi tremanti, gli occhi dentro gli occhi, sul grande tappeto accanto al fuoco, interrogandosi tacitamente sulle implicazioni del loro gesto.

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    Era stato ineluttabile, ne erano entrambi consapevoli. Il loro amore era stato e continuava ad essere un fiume in piena che dirompeva, una fiamma divorante. Avrebbero pensato in seguito alle conseguenze…per il momento era dolcissimo assaporare quegli istanti di intimità suprema, perfetta.

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    Elisa tratteneva il respiro per paura di rompere l’equilibrio, Fabrizio si soffermava con le labbra sull’incavo del collo, sulla nuca, sulle palpebre, sulle tempie; vi adagiava piccoli baci delicati, le tuffava le mani tra i capelli, che le ricadevano in ciocche fluenti sulle spalle e sui seni, mai stanco di guardarla, di accarezzarla, nemmeno ora che la sua passione era appagata.

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    Le sue carezze erano diventate più tenere adesso, meno insistenti. Le sue mani seguivano i contorni armoniosi del corpo nudo di sua moglie, disegnando parabole infinite, nel tentativo di ritrovare tutti quei particolari che aveva cercato tante volte nel ricordo, come porti rassicuranti a cui approdare e abbandonarsi, una volta per tutte. Elisa socchiudeva gli occhi beata e temeva di svegliarsi da quel sogno.
    Infine egli interruppe quel silenzio sacrale, denso di pensieri: - Sono venuto a cercarti ogni notte in sogno, ma nessun sogno è stato mai in grado di eguagliare la realtà….- Nella sua voce vibrava una nota struggente. Sua moglie si rannicchiò più stretta tra le sue braccia sfiorandogli il mento con le labbra.
    - … e io ti ho accolto ogni notte, mi sembrava quasi di sentire il tuo respiro…le tue mani; avrei voluto rifugiarmi per sempre nella notte…-

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    principessa delle fate…dimmi, qual è il soave maleficio che mi tiene incatenato a te? –

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    - …le fate non rivelano mai i loro segreti….mio sprovveduto cavaliere…- lo canzonò.
    - Mi è bastato guardarti una volta negli occhi…per sentirmi prigioniero, crudele ammaliatrice…-
    La sua voce sembrava provenire da un’altra dimensione, Fabrizio continuava a crogiolarsi nelle sue fantasticherie:
    - I miei sogni spesso si tramutano in incubi, mi tormentano, … vedo le sue mani sul tuo corpo nudo e mi sembra di impazzire…-

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    Quelle parole ridestarono l’eco di un ricordo doloroso, Elisa si irrigidì, si liberò di scatto dalle sue braccia come se la bruciassero. Sentì il bisogno di proteggere la propria nudità da quello sguardo divenuto ormai importuno, imbarazzante. L’equilibrio si era inevitabilmente incrinato. Sapeva che c’erano cose che andavano dette, a qualsiasi prezzo, lo guardò con fermezza:
    - Basta così…..tu non hai alcun diritto di giudicare nessuna delle mie azioni! L’hai perso quando hai deciso di …morire. Io non sono tenuta a darti alcuna spiegazione, ma sappi che Cristiano non è mai stato uno strumento per salire nella scala sociale…. come hai potuto…come hai potuto anche solo pensare quelle cose infamanti! ….Io dovevo rifarmi una vita, rischiavo di perdere il senno….ma lui… non ha mai potuto colmare l’immenso vuoto che tu hai lasciato! -
    Lui le afferrò il volto tra le mani, contemplando a lungo il riflesso delle fiamme nei suoi occhi disperati, colmi di sdegno:
    - Non pensavo ciò che ho detto quella notte, volevo solo ferirti quanto tu avevi ferito me….Lo so, è stata anche colpa mia…non sarei mai dovuto sparire, farti credere che ero morto; è stato un gioco crudele! Ma l’ho fatto solo per te, per Agnese, io….volevo proteggervi. Il re sapeva che avevo scoperto il suo segreto, dovevo uscire dalla scena prima che accadesse qualcosa di irreparabile, prima che si avventasse su di voi…-
    - Non capisci che avrei preferito, cento volte, rischiare la mia vita accanto a te, piuttosto che vivere giorni vuoti, inutili, pensando di non rivederti mai più? E’ stato presuntuoso da parte tua! –

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    - Sì… ho molto da farmi perdonare…- Fabrizio si alzò e, iniziò a rivestirsi con movimenti lenti. Elisa sentiva che stava per perderlo ancora, lui era già mille miglia lontano da lì…continuò a parlare con voce stanca .

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    Forse un giorno riusciremo a perdonarci entrambi, a dimenticare… quando tutto questo sarà finito…e a ricominciare tutto daccapo…- le parole che seguirono erano velate di angoscia –

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    - Per il momento Elisa, ti prego ascoltami…questa volta non intendo darti degli ordini, ti supplico di starmi a sentire, devi partire, tornare a Rivombrosa…-

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    Sapeva in cuor suo di aver già ceduto, sarebbe partita dopo aver trovato con i nuovi amici un pretesto plausibile. Ma il suo orgoglio ferito le impediva di mostrarsi apertamente vinta
    La magia si era inevitabilmente spezzata. Troppe recriminazioni, troppe incertezze pesavano nell’aria.
    Il conte si avvolse nel lungo tabarro e, dopo un ultimo, tormentato sguardo, avvelenato già dagli spettri, si allontanò nella notte.
     
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    dordogne tu hai anche il tuo libro illustrato e impaginato da me ricordi?
     
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